A seguire i media in questi giorni di campagna elettorale, si ha l’impressione che i giochi siano ormai fatti, e non solo per i motivi opportunamente citati nel recente articolo del collega Alessandro Campaiola su di una legge elettorale che in pratica ha bollato l’elettore come un utile idiota che non ha nessuna voce in capitolo. Sono i continui sondaggi veri, falsi, manipolati o commissionati su misura che, complice l’informazione, danno la percezione di una verità assoluta che riesce a condizionare anche quel minimo di dibattito sui temi reali creando falsi miti e mostri da annientare.
Stando ai primi rilevamenti, l’avanzata del partito di Giorgia Meloni appare inarrestabile e la premier in pectore tiene a lanciare messaggi fin troppo chiari anche al Presidente della Repubblica sul “diritto” di nomina in caso di successo della sua lista. Intanto, il socio di minoranza Silvio Berlusconi preferisce tacere e tenere un atteggiamento distaccato sull’argomento nei suoi interventi in stile presidenziale. Dovesse esserle conferito, infatti, l’eventuale incarico sarebbe mal digerito dall’inossidabile ex Cavaliere, ma molto dipenderà anche dal risultato che conseguirà ciò che resta dei forzisti e quanto riuscirà a tenere la coalizione con un rapporto di forza che, in maniera decisa e per la prima volta, cambierebbe sostanzialmente gli equilibri all’interno del centrodestra.
I sondaggi più attendibili saranno certamente quelli a pochi giorni dell’apertura delle urne, quando le maggiori società di rilevazione cercheranno di salvare la faccia almeno in dirittura di arrivo. Ma se la fiamma della Meloni dovesse confermarsi davvero un’onda lunga come sembra, dovremo farcene una ragione, subendo l’originale di una destra fino a oggi dal volto cangiante e apparentemente più digeribile.
Non sono lontani i giorni dell’odio e dell’intolleranza seminati da Matteo Salvini con il consenso dell’allora Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e di Luigi Di Maio, che in tema di sondaggi sembra proprio non riscuotere i favori neanche dei familiari ma che astutamente pare abbia messo il proprio posto al sicuro. Tuttavia, un ruolo certamente centrale in queste settimane è quello dell’informazione che sembra aver imboccato una strada a senso unico, i nomi di Enrico Letta e Giorgia Meloni primeggiano ponendo in secondo piano le altre forze politiche in campo ed escludendo del tutto quell’Unione Popolare di recente formazione, assente non solo nei sondaggi ma anche nei confronti televisivi accontentandosi di ospitate mattutine, contrariamente all’altrettanto recente formazione politica che fa capo a Luigi Di Maio che, pur indicato con uno zero virgola, gode dei favori delle emittenti sia pubbliche che private. Misteri di un’informazione sempre più di parte e dei grandi gruppi, che non intende invertire la rotta nonostante continui a registrare vendite costantemente al ribasso.
Poco più di venti giorni per conoscere quale governo possibile dare al Paese, quale maggioranza possa garantire stabilità e capacità di affrontare un inizio di autunno per niente tranquillo, tra i più difficili del dopoguerra con la pandemia ancora presente, il conflitto bellico in corso, la crisi energetica e le sanzioni che stanno impoverendo e mettendo letteralmente in ginocchio in particolare il nostro Paese. Un governo che sia di gradimento agli States e anche all’Europa, sperando che bastino i giuramenti di fedeltà fatti nella recente nuova fase meloniana, i rapporti mai chiariti del tutto tra la Lega di Salvini e la Russia e quelli dell’ex Cavaliere con Putin. Un quadro davvero intricato che metterà in serie difficoltà il Presidente Mattarella per assegnare l’incarico in caso di una netta affermazione del centrodestra.
Queste elezioni, però, potrebbero rivelarsi utili per stabilire i rapporti di forza tra i partiti con l’ipotesi di un ritorno a un probabile governo di emergenza nazionale a guida, manco a dirlo, Mario Draghi, che costituirebbe una garanzia per quelle potenze che hanno tanto a cuore il nostro Paese. E su tale ipotesi e sulla brevissima durata di un possibile governo a trazione Meloni, si è pronunciato anche l’ex capo politico dei Cinque Stelle in una intervista rilasciata a La Stampa. Una profezia, quella di Di Maio, attuale Ministro degli Esteri in carica, che dovrebbe pur far sorgere qualche sospetto, quantomeno dubbi anche in relazione alla sua veste istituzionale.
Dato, purtroppo, alquanto attendibile è invece quello relativo al partito degli astensionisti quantificato al 35%, pari a circa sedici milioni di elettori. Un serbatoio a cui puntano tutte le forze politiche ma per il quale la poca chiarezza dei programmi, la mancanza di credibilità della maggioranza della classe dirigente, l’assenza di coraggio di radicali cambiamenti, in verità più volte promessi e altrettante volte disattesi, nonché la conseguente voragine apertasi da tempo tra i cittadini e le istituzioni, non fanno presagire un contenimento, con la percentuale in costante aumento negli anni.
Intanto, i dati pubblicati in queste ore dall’ISTAT parlano di un’inflazione all’8.4% ad agosto che produrrà un nuovo salasso ai bilanci delle famiglie tradotto dal Codacons in una maggiore spesa di oltre tremila euro annui tra generi alimentari, carburanti, luce e gas, con salari e pensioni fermi da più di dieci anni. In risposta, la destra da una parte cerca di gettare la palla all’attuale capo del governo, anche a costo di ulteriore indebitamento, dall’altra continua a sventolare la bandiera dell’abolizione del reddito di cittadinanza per massacrare definitivamente i poveri e racimolare così qualche consenso in più.
Alla luce di una situazione generale già preoccupante, occorre ribadire con forza che il voto utile, votare turandosi il naso con rassegnazione, è l’elemento che ha portato questa nostra cara Italia al disastro che stiamo tutti vivendo. Votare sì, ma coscienti di aver dato fiducia alla forza che, oltre a un programma condivisibile, abbia uomini credibili che guardino alla politica come servizio, perché costruire un’altra società deve essere possibile: occorre dire no alla rassegnazione.