Sailor Moon e io abbiamo la stessa età. Sono passati trent’anni dalla prima trasposizione anime e il suo franchise continua a prosperare. Gli shop fisici e online di collezionabili e fumetti vendono limited edition di lip gloss color pastello dedicati alle guerriere sailor, riproduzioni della spilla per la trasformazione, action figures e miniature dettagliatissime, zainetti a forma di gatto e penne lunari che scrivono per davvero. In questa nuvola rosa di merchandising perlopiù fatto di plastica, mi sono ritrovata a pensare all’impatto che Sailor Moon ha avuto sulla vita dei milioni di marmocchietti (tra cui la sottoscritta) che, negli anni Novanta, fissavano come ipnotizzati gli schermi panciuti dei televisori a tubo catodico del soggiorno di casa, guardando la principessa della luna e il suo nutrito gruppo di aiutanti sconfiggere orde di malvagi la cui stravaganza nel vestire era direttamente proporzionale alla determinazione di annientare la Terra e tutti i suoi abitanti.
In trent’anni sono cambiate molte cose e le promesse di eroismo, prosperità, inclusione con le quali buona parte della mia generazione è cresciuta si sono disgregate come il castello sulla Luna della principessa Serenity sotto gli attacchi di non meglio specificati nemici. Molti dei nostri sogni e delle nostre speranze sono rimasti ancorati a mondi di fantasia, luoghi in cui siamo stati bene, in cui siamo stati protagonisti e campioni. Sarà per questo che, oggi, l’iconica gloria di Sailor Moon sopravvive alimentata dalla nostalgia nella cultura pop e che, accanto al collezionismo sfrenato di gadget in plastica dura, il fenomeno sia recentemente accompagnato da una deriva meme tinta di anticapitalismo.
Una prima contraddizione da registrare è proprio la compresenza dell’aspetto più immediatamente consumistico del franchise e la sua rivendicazione su internet da parte della comunità woke. I frame dell’anime sono diventati la base per slogan contro l’ingiustizia sociale, la crudeltà delle forze dell’ordine, la macchina capitalista, il razzismo e per messaggi positivi concernenti la sorellanza, l’accettarsi per come si è, la valorizzazione delle unicità altrui.
Seppur probabilmente lontana dalle intenzioni originarie di Naoko Takeuchi, il manga e l’anime di Sailor Moon ben si prestano a una lettura in chiave più radicale. La prima stagione dell’anime vede il gruppo di eroine scontrarsi con il malvagio Regno delle Tenebre, il cui quartier generale è significativamente posizionato in una dimensione oscura alla quale si accede dal Polo Nord. L’obiettivo dei cattivi è sottrarre l’energia agli esseri umani per alimentare l’entità di buio Metallia. I cattivi si ingegnano nell’invenzione di modi che sottraggano le persone agli affetti, al tempo libero, alla gioia e alla condivisione per carpirne ed esaurirne la forza dopo averle intrappolate in una sorta di loop che le porta a produrre sempre quello stesso tipo di emozione che il regno delle Tenebre vuole sfruttare per i propri scopi. In poche parole, gli emissari di Metallia capitalizzano la forza vitale umana per alimentare il proprio sistema.
È emblematico proprio il primo episodio della serie anime, quando un mostro (impadronitosi delle sembianze di una gioielliera) vende, dopo aver piazzato uno sconto spudorato sulle pietre preziose, un’ingente quantità di gioielli alle clienti accorse in massa per approfittare dell’offerta e poi, da questi ultimi, comincia a suggere la bramosia di consumo delle donne ignare fino a farle svenire esauste. Nella saga successiva, quella della Famiglia della Luna Nera (1992), l’energia degli esseri umani serve ad alimentare il reattore del cristallo oscuro, l’arma di distruzione di massa che aveva portato all’estinzione della vita sulla luna in un misterioso passato. Le vittime della Luna Nera vengono sostituite da droidi. Film come Matrix (1999) hanno adoperato nella propria attività di denuncia del sistema capitalistico lo stesso espediente: gli esseri umani, addormentati nel sogno amniotico del capitalismo perfetto, vengono in realtà sfruttati come fonte d’alimentazione in un mondo popolato da forze aliene.
Certo non è l’unica possibile interpretazione, ma non è neppure così difficile scorgere una sottile allusione alla società dei consumi e a quanto sia sfiancante starvi al passo. Proprio perché il Regno delle Tenebre adotta gli strumenti del capitale per sottrarre l’energia alle sue vittime, è interessante che a essere colpite (anche in Sailor Moon) siano in buona parte le donne e l’immagine di femminilità che devono reggere. Altri mostri si celano dietro corsi per diventare perfette dame dell’alta società, agenzie di wedding planner, crociere per single, concorsi di bellezza e percorsi di dimagrimento fulmineo.
A ciò si potrebbe obiettare che Sailor Moon e le altre paladine della giustizia lunare siano perfettamente conformi all’ideale di femminilità magro, caucasico, romantico, canonicamente bello. L’uniforme che indossano è adeguatamente ammiccante, le scene di trasformazione indugiano sulle sagome della loro nudità, portano i tacchi in combattimento (quelli di Mars, ad esempio, sono rossi fiammanti) e l’iconica posa di sfida nei confronti dei nemici somiglia più a quello che una modella fa durante uno shooting fotografico che non a una minaccia credibile. E sarebbe un’obiezione vera. Tuttavia le due cose non sono necessariamente in contraddizione. Anzi.
L’estetica sailor attribuisce valore e potenza a caratteristiche del femminile ridicolizzate, considerate segnale di distintiva debolezza del sesso gentile. Le sailor sconfiggono il male rivendicando il loro essere “femminucce”. La femminilità accentuata è inclusiva anche delle disparate identità queer che sono parte fondamentale dell’universo Sailor. Sailor Uranus, non binaria e lesbica, indossa abiti maschili quando è in incognito, mentre il suo alter ego guerriero sfoggia con disinvoltura la stessa uniforme delle altre guerriere. Gli alter ego delle Sailor Starlights sono tre uomini, rendendo il significato del rituale di trasformazione in paladine della luna ancora più profondo e inclusivo. In questo senso, anche il fatto che indossino una divisa e costituire, fondamentalmente, un corpo armato è dirompente e si pone in continuità con una lettura anticapitalista.
Sailor Moon che protegge in uniforme l’umanità si pone in contrasto diretto con la cultura machista e omofoba radicata nelle forze armate. Se, a un primo sguardo, l’idea di affidare la protezione della Terra a una squadra organizzata come corpo speciale non sembri sostenere tale tesi, qualunque sospetto di militarismo scompare dinanzi ai metodi della paladina della giustizia. Se nella società capitalistica dei consumi gli organi di polizia difendono la proprietà privata assurta a principio, le paladine sailor sono lo scudo cosmico a protezione dell’umanità e dei suoi sentimenti positivi di cooperazione.
E, se anche la maggior parte delle missioni delle eroine possa rientrare nella definizione di difesa dei confini e vi sia un’opposizione pressoché netta del bene contro il male (com’è tipico di ogni narrazione di conflitto che presenti l’altro in una luce negativa o sfavorevole), le paladine sailor lasciano sempre lo spazio al dubbio, al dialogo, anche alla comprensione. Ben presto, scopriamo infatti che Nemesis (così si chiama la luna nera) era la colonia che ospitava la prigione del Regno della Luna. I reietti, abbandonati a una vita di stenti e orrore, si rivoltano così contro chi li ha condannati.
Usagi, la leader del gruppo e la più potente, non ricorre mai alla forza bruta per sconfiggere i suoi nemici. La sua forza più grande è quella della compassione, che rischiara anche il cuore oscuro dei sudditi corrotti del Regno delle Tenebre. Nella saga della Famiglia della Luna Nera, Sailor Moon più che annientare i nemici li “cura” dalla possessione del cristallo oscuro con la luce del suo scettro lunare. Quanto al rapporto con le altre guerriere, queste non sono sue sottoposte, ma sue compagne ed è sempre grazie allo sforzo comune che la vittoria diventa possibile.
Il potere solidale e inclusivo trionfa e prospera. Ancora una volta, Sailor Moon si è trasformata, continuando a ispirare una generazione alla ricerca di ciò che è giusto e a non abbandonare la speranza, rischiarata da un debole raggio di luna.