Ogni qual volta il Paese soffre una fase di acuta tensione politica, economica e sociale, insomma, ogni qual volta si rispolvera la parola “crisi”, i partiti di centrodestra riescono ad accantonare ogni differenza che li ha tenuti divisi fino a quel momento e di colpo, in nome di un disegno più grande, si ricompattano. Così, quando l’Italia è sull’orlo del baratro, loro si riscoprono uniti e dopo aver assistito alla rovinosa caduta – o aver contribuito alla stessa – si presentano ai piedi del dirupo facendo segno di essere pronti a tendere la mano.
È così anche stavolta, e poco importa se la pandemia ancora incide drasticamente sulla vita di ognuno, se una guerra dai delicatissimi equilibri si combatte a pochi chilometri dai nostri confini, se il riverbero di entrambe incide in maniera drammatica sui conti delle famiglie: l’occasione è ghiotta e non può essere rimandata. Ecco, dunque, che Meloni, Salvini e Berlusconi ritrovano compattezza d’intenti nella crisi aperta dai 5 Stelle – che, di fatto, manda in pensione il governo Draghi –, forti di sondaggi che, mai come ora, indicano lo schieramento sovranista come il più accreditato a governare il Paese.
Giù la maschera, finalmente! No, non la loro, il cui volto è sempre stato limpido agli occhi di chi voleva osservare, ma quella dei giornalisti, i nostri colleghi che da ieri sono di nuovo liberi di avere un nemico, qualcuno contro cui scrivere, imbavagliati dalla narrazione che toccava offrire del governo delle banche, dei poteri forti, dell’Europa dei conti correnti. Il governo dei peggiori ha stracciato la veste santa di cui si vestiva: non si salva nessuno.
Mario Draghi non era il migliore, come lo hanno definito da Letta a Berlusconi, passando per Renzi e trovando d’accordo, talvolta, persino Salvini, con tutta la propaganda giornalistica a seguito. L’ex Premier, nei suoi quasi diciotto mesi di governo, è stato nient’altro che arbitro di un Parlamento ricolmo della peggior classe politica che abbia mai varcato le soglie di Montecitorio e Palazzo Madama, un vigile esperto messo a dirigere il traffico in mezzo a una vagonata di soldi su cui, un po’ per ciascuno, intendevano tutti mettere le mani.
L’Italia di Draghi – e dunque l’Italia che ha messo d’accordo (magicamente!) tutti – è uno Stato scollato dalla realtà, che non conosce la strada, i quartieri delle periferie, che non vibra di ideologie ma ha una chiara e netta visione del mondo che coincide con il capitalismo. Per Letta, Salvini, Renzi e zio Silvio, l’appoggio alla leadership dell’ex BCE è stato una dichiarazione d’intenti che non prevedeva la gente comune, i poveri, gli operai, che vedeva nelle persone nient’altro che mezzi di produzione funzionali al meccanismo del PIL, dello spread, del ce lo chiede l’Europa.
Il governo dei peggiori non ha mai tenuto conto di questi, degli ultimi che ormai sono la maggioranza, dei loro bisogni, ben distanti dai tassi d’interesse sui prestiti del PNRR, ma sensibili all’aumento del costo della vita nel quotidiano, nell’impennarsi della benzina, del gas, dei beni di prima necessità. Il governo dei peggiori ha sempre pensato che bastasse la propria presenza e la presenza di Draghi a tenere tutto in equilibrio. Ma la vita vera non si misura sull’andamento di un bond.
Così, con un vergognoso gioco di strategie e bramosia del potere, i peggiori hanno determinato la crisi – ma pur sempre in tempo utile a maturare il vitalizio – costretto il Presidente Mattarella a sciogliere le Camere e richiamare l’Italia al voto, un voto che ormai altro non è che un marchio di cera lacca da apporre su un destino già scritto, e che comprenderà loro, ancora una volta. Entrano, escono, tutto cambia per non cambiare mai.
Come pare probabile, toccherà a Giorgia Meloni e il centrodestra dirigere la prossima partita. Eppure, una noiosa sensazione non abbandona chi scrive, ossia che i peggiori di destra un’idea di Paese – tutto sommato – ce l’abbiano, seppur sia la cosa più lontana da ciò che l’Italia ha bisogno, in particolar modo sul tema dei diritti civili. Nei peggiori di sinistra, al contrario, quest’idea coincide da troppo tempo con l’opporsi prima a Berlusconi, poi a Salvini, oggi a Meloni, appellandosi a una teoria del meno peggio che non sta più in piedi.
I peggiori di Giorgia, però, non saranno i fascisti da cui Letta prova a mettere in guardia il residuo del suo elettorato. Meloni può essere rozza, conservatrice nel senso peggiore del termine, ma guai a continuare a dipingerla soltanto come una sconsiderata, le si farebbe soltanto un favore. Fratelli d’Italia sarà attenta – almeno quanto lo è stato Draghi – a non inimicarsi la NATO e l’establishment a cui l’Italia è legata al guinzaglio, a offrirsi al placet di Washington, a cominciare da un sostanziale rinforzo della difesa.
Con un bel mix di nazionalismo e indifferenza ai temi civili e ambientali, condito da un atteggiamento di sfida che sarà prontamente riproposto nei confronti dell’Unione Europea, il governo dei peggiori continuerà nel suo svolgimento dei soliti compiti, ma comunicato da una propaganda diversa.
Guardare all’appuntamento elettorale del prossimo 25 settembre mette i brividi, provoca nausea e smarrimento. La terribile sensazione che nulla potrà aiutare il Paese a recuperare un minimo della sua dignità sociale è la colpa più grande di cui oltre vent’anni di governo di un centrosinistra dei meno peggio si sono macchiati e di cui tutti pagheremo presto le conseguenze.