Lasciandoci alle spalle l’autostrada A1 e imboccando l’uscita per Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta, seguiamo le indicazioni che ci portano all’unica frazione della più conosciuta città di Capua: Sant’Angelo in Formis.
La nostra strada prosegue in salita, tra le lievi pendici occidentali del monte Tifata, sulle quali essa si inerpica, non troppo bruscamente, fino a condurci a un piazzale seminascosto ai margini del paesino.
Improvvisamente il tempo sembra fermarsi e ogni rumore si attutisce. Se non fossimo in auto e non ci fossero riferimenti contemporanei come cartelli e sistemi di illuminazione artificiale, penseremmo di esserci letteralmente arrampicati indietro nel tempo.
Sul piazzale sorge la Basilica di Sant’Angelo In Formis, un edificio maestoso – nelle sue dimensioni relativamente contenute – risalente al VI-VII secolo d.C., edificato sulle rovine di un leggendario tempio precristiano dedicato al culto della dea Diana.
Nel secolo XI, per volere dell’abate Desiderio – futuro Papa Vettore III – figlio del principe longobardo di Benevento Landolfo V, fu risistemato nella sua forma attuale di abbazia benedettina, ancora oggi dedicata a San Michele Arcangelo.
Il complesso di Sant’Angelo In Formis ha un’impronta architettonica prettamente romanica, con la quale si fondono armonicamente anche elementi bizantini, individuabili nelle arcate oblunghe del portico esterno in piperno grigio, nelle formelle policrome che compongono il pavimento e, soprattutto, nelle decorazioni pittoriche parietali interne ed esterne, tra le quali spicca il San Michele presente sull’arcata principale del portale d’ingresso.
Il ciclo di affreschi che impreziosisce l’interno rende infatti il luogo di culto un raro – forse addirittura unico, nel Sud Italia – esempio di commistione tra romanico locale e decorazione di stampo orientaleggiante, molto più affine ai mosaici del ravennate. Nonostante la peculiarità del caso, esso trova una sua spiegazione nella scelta dell’abate Desiderio di maestranze provenienti direttamente da Bisanzio per l’esecuzione degli ornamenti.
Varcando il portale di ingresso e volgendoci a osservare la controfacciata, scopriamo un’imponente rappresentazione del Giudizio universale, suddivisa in cinque registri. Essa presenta, partendo dall’alto, file di angeli oranti, schiere di beati – collocati a sinistra e divisi verticalmente per importanza sociale – e dannati, che nella parte destra vengono scaraventati all’Inferno da Satana e i suoi emissari. Al centro dell’intero ciclo, troneggia Cristo, il cui volto è purtroppo andato perduto.
Possibile il paragone, sulla base della collocazione all’interno della chiesa, con il più famoso Giudizio universale michelangiolesco, dato che quest’ultimo è contenuto nella parete absidale della Cappella Sistina, in posizione perfettamente antitetica con quello in esame.
Le decorazioni continuano sulle due file di archi che delimitano le tre navate di cui si compone la basilica e che raffigurano un cospicuo numero di episodi provenienti sia dall’Antico che dal Nuovo Testamento, tra cui la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre, la costruzione dell’Arca di Noè e vari episodi della vita di Gesù.
L’abside centrale contiene un affresco raffigurante Cristo in trono benedicente, attorniato dal tetramorfo apostolico, mentre nelle absidiole delle due navate laterali sono presenti invece pitture tardo-rinascimentali, raffiguranti la Vergine tra le Sante Anastasia e Maddalena a destra e San Giovanni Battista tra i santi Paolo e Pietro a sinistra.
Con il fiato ancora sospeso per l’atmosfera intrisa di misticità primigenia assaporata all’interno ? così diversa da quella barocca e ottocentesca che siamo abituati ad associare alla maggior parte delle chiese maggiori del Mezzogiorno – torniamo nel tepore del sagrato esterno.
Alti cipressi longevi ne orlano i lati e un’altra meraviglia – un immenso belvedere ? si dischiude immediatamente alla vista, invitandoci a percorrere la breve distanza che ci conduce alla visione della piana ospitante le città di Capua e Santa Maria Capua Vetere e che a perdita d’occhio, nelle giornate più terse, riesce a mostrarci addirittura Napoli sulla sinistra e un accenno del litorale domizio sulla destra.
Un panorama che sa di eternità e che si sposa magnificamente, ancora oggi, con la spiritualità pura e ancestrale che permea l’intero complesso, non a caso proposto dal MiBACT a Parigi per il riconoscimento come sito di Patrimonio Mondiale protetto dall’UNESCO.
Questa la cornice che, come guscio d’ostrica, racchiude una basilica, quella di Sant’Angelo in Formis, a tutti gli effetti paragonabile a una perla ? tanto rara quanto pura ? preziosa in egual maniera per i sensi e lo spirito.
*fotografie di Elisabetta Crisafulli©
articolo scritto molto bene, ricco di notizie, che coinvolge emotivamente il lettore. Ho il rimpianto per gli anni spesi in cose inutili mentre esistevano siti così belli e interessanti e creati da quei cristiani così disprezzati oggi. Eppure senza Cristo è i cristiani questa Europa decadente è perduta. Non perdiamo la speranza. Grazie alla giornalista per averci donato questo piccolo prezioso gioiello.
articolo scritto molto bene, ricco di notizie, che coinvolge emotivamente il lettore. Ho il rimpianto per gli anni spesi in cose inutili mentre esistevano siti così belli e interessanti e creati da quei cristiani così disprezzati oggi. Eppure senza Cristo è i cristiani questa Europa decadente è perduta. Non perdiamo la speranza. Grazie alla giornalista per averci donato questo piccolo prezioso gioiello.
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