Sulla verità, ossia sul dire la verità dal Sesto Quaderno
Nella vita, come nella politica, è opinione diffusa che la verità non serve a niente. Del resto, provate solo a immaginare, nei giochi seduttivi piccolo-borghesi, quanto sia indispensabile il mentire. Mostrare interesse per aspetti della vita altrui che, nella realtà, ci sono completamente indifferenti. Quanto, ad esempio, è difficile dire a una donna o un uomo sconosciuti: «Mi piacerebbe fare un migliaio di volte l’amore con te». L’arte dell’affabulazione, della seduzione, in politica raggiunge picchi di perversione: è premiato colui che spara più balle di altri. La coerenza, ossia dire la verità e restare fedeli alla propria parola, è vista come zavorra etica che intralcia e distrugge ogni carriera. Per Gramsci la gentilezza non è adulazione.
È opinione diffusa in alcuni ambienti (e questa è un segno della statura politica e culturale di questi ambienti) che sia essenziale dell’arte politica il mentire, il sapere astutamente nascondere le proprie vere opinioni e i veri fini a cui si tende, il saper far credere il contrario di ciò che realmente si vuole ecc. ecc.
La classe politica italiana, forgiata nel gesuitismo e nell’ipocrisia, eccelle in questa arte della menzogna. Quasi che l’intelligenza sia la facoltà di intendere e comunicare verità secondarie a discapito di quelle fondamentali. Gramsci individua nella frivola vanità dell’intellettuale nostrano, nel suo oscuro provincialismo, il male endemico che forma e forgia i nostri politici. Il leccaculismo inteso non nella sua accezione metaforica di adulazione, ma in quella animale, di sottomissione fisica, oltre che morale, al potente di turno. Una sudditanza che escogita menzogne per essere efficace, trasformando l’intelletto in una lingua servile pronta a raggiungere le parti più recondite del corpo umano.
Nel regno animale prendersi cura del corpo del maschio alfa è un bisogno fisico, che crea armonia e sicurezza nel branco: in questo senso il leccaculismo è una forma di conformismo estremo ma, al tempo stesso, il nostro lato animale che chiede accoglienza e protezione.
Se l’opinione è tanto radicata e diffusa che a dire la verità non si è creduti, in politica ci si giustifica parlando di prudenza, riservatezza, non di menzogna nel senso meschino che molti pensano. Ma in una società formata e informata dire la verità è centrale, è una necessità politica, precisamente.
Questa intelligenza è chiamata anche talento genericamente ed è (palese in) quella forma di polemica superficiale, dettata dalla vanità di parere indipendenti e di non accettare l’autorità di nessuno, per cui si cerca di contrapporre, come obbiezioni, a una verità fondamentale, tutta una serie di verità parziali e secondarie
È la lotta meschina e disperata dell’individuo di prevaricare l’altro, servendosi, ma in modo strumentale, del potente di turno da adulare o distruggere secondo ordini di scuderia. Un uno contro tutti al quale Gramsci antepone il senso di unità, che attraverso la verità riporta al centro della scena la realtà e non le mille rappresentazioni di comodo di essa. Lo stesso concetto di “vanità”, in Gramsci, acquista un significato quasi biblico nel quale, oltre alla frivolezza, compare il senso intrinseco dell’inutilità, del vuoto pubblico: nullità che predicano nullità, questo è il giudizio severo del pensatore sardo su meccanismi endemici della politica nostrana. Non a caso sottolinea che in tutto il mondo siamo conosciuti per questo:
Gli italiani in genere sono all’estero ritenuti maestri nell’arte della simulazione e dissimulazione, ecc. Ricordare l’aneddoto ebreo: “dove vai?”, domanda Isacco a Beniamino. “A Cracovia”, risponde Beniamino. “Bugiardo che sei! Tu dici di andare a Cracovia perché io creda invece che tu vada a Lemberg; ma io so benissimo che vai a Cracovia: che bisogno c’è dunque di mentire?”.
Poche righe in cui Gramsci condensa secoli di vita politica italiana e nelle quali possiamo, purtroppo, ancora riconoscerci appieno. La realtà, con il suo carico di poesia e dolore, è la sua magnifica ossessione, dove la politica vera cancella ogni io, trasformandolo in un noi. La menzogna, quindi, scompare, trascinandosi tutta la mediocrità di una classe dirigente che serve solo a far perdurare se stessa.
Contributo a cura di Luca Musella