L’agenda di Giorgia Meloni è, spesso (e in questi giorni anche di più), densa di appuntamenti. La leader di Fratelli d’Italia non soltanto è impegnata nella campagna elettorale per i Comuni italiani ancora in attesa di ballottaggio, ma – la scorsa settimana – ha trovato anche il tempo di prendere un volo per la Spagna, direzione Marbella, per sostenere la candidata Macarena Olona alla presidenza dell’Andalusia. Il video del suo intervento sta ancora facendo il giro dei social.
Non è la prima volta che le parole della Meloni spopolano sul web, eppure quest’ultimo speech ha attirato l’attenzione di gran parte delle forze politiche avverse al centrodestra e anche di una nutrita fetta dell’opinione pubblica nazionale. Il motivo – manco a dirlo – sta nell’invettiva che la protagonista dell’altrettanto celebre Io sono Giorgia ha scagliato a danno delle solite categorie di persone che ritiene dannose per l’equilibrio economico e sociale del Paese.
Capace di una sintesi invidiabile, di una semplificazione dei problemi senza rivali, Giorgia Meloni ha attaccato la lobby LGBT, la violenza islamista, l’immigrazione, infilandoli nello stesso calderone della finanza internazionale e, per concludere in bellezza, ha benedetto il suo sì alla famiglia naturale, no alla lobby LGBT, sì alla identità sessuale, no alla ideologia di genere, sì alla cultura della vita, no a quella della morte, sì ai valori universali cristiani.
Viva la Spagna, viva l’Italia. Ha concluso, non dimenticando un pensiero ai burocrati di Bruxelles. Non c’è che dire, un discorso articolato, profondo e ricco di spunti di riflessione in cui, purtroppo, chi scrive non è riuscito a inoltrarsi (mea culpa!), se non per trovare pericolose analogie che richiamano a un passato drammatico della storia d’Europa e del mondo, un discorso che – e forse qui è il caso di fare una considerazione diversa dalle solite – penalizza anche coloro che Giorgia Meloni millanta spesso di rappresentare nei loro diritti e nelle loro battaglie: le donne.
Nel corso di un’intervista al programma di Diego Bianchi su La7, Propaganda Live, la giornalista Lilli Gruber sostenne che la leader di Fratelli d’Italia fosse l’unico capo politico femminile di un partito di questo bel Paese così femminista. La conduttrice – pur sottolineando la distanza tra le proprie posizioni politiche e quelle della Meloni – così facendo legittimò la Giorgia nazionale consegnandole uno scettro che non le appartiene.
Non basta, infatti, una donna a fare battaglia femminista, e la Meloni – con il suo partito – è uno dei peggiori esempi a cui appellarsi quando il tema diritti delle donne sale alla ribalta. Non basta condividerne il genere per sposarne gli slogan, spesso coincidenti con frasi tutt’altro che femministe, come quando l’ex Ministro fa appello alla famiglia tradizionale di matrice cattolica (che anch’essa, con un figlio fuori dal matrimonio, non rispetta), escludendo non solo quelle donne/madri dalla possibilità di decidere alla pari dell’uomo cosa fare del proprio nome, del proprio ruolo genitoriale, della propria carriera – spesso subordinata a quella dell’hombre vertical che porta i soldi a casa –, ma anche tutte quante amano un’altra donna, oppure, semplicemente, formano una coppia di fatto con il proprio compagno.
Per dare un’idea, la scorsa settimana, a Verona, Fratelli d’Italia ha fatto recapitare nelle case dei cittadini locali un volantino elettorale a favore del candidato Federico Sboarina, (Sindaco uscente ed esponente di Fratelli d’Italia) intestato Alla cortese attenzione del Capofamiglia. Non fosse che il concetto di capofamiglia è stato reso obsoleto dalla riforma del Diritto alla Famiglia del 1975, Meloni & co., attraverso la lettera in questione, non hanno fatto altro che ribadire il loro pensare in merito alla questione chi comanda.
Il femminismo di Giorgia Meloni si scontra continuamente con le sue posizioni anti-abortiste, frasi allucinanti scagliate verso quelle stesse donne a cui il consigliere della Basilicata, Rocco Leone, durante un Consiglio regionale, si rivolse consigliando gargarismi di pisello, riferendosi a una collega con cui era in disaccordo. Frasi come quelle di Luca Valentini candidato a Trento, che su Facebook, a proposito dei movimenti per i diritti della donna si espresse: Posso dire che due palle con ste propagande per la violenza verso la donna? Sembra sia tutto a senso unico. Se gli uomini sono così tremendi, scopatevi i cavalli. Facile.
Perché è sempre lì che battono gli uomini di Fratelli d’Italia, candidati costantemente in numero superiore rispetto alle loro college donne – a dimostrazione che una leader di sesso femminile non fa un movimento femminista – sul sesso come perversione della donna o come mezzo per sottometterla, punirla, tenerla a bada. Altro che violenza islamista, il velo come soffocamento dei diritti; altro che violenza immigratoria, la matrice è sempre la stessa, sempre di destra, sempre contro le donne.
Non basta una donna ai posti di comando per fare una battaglia in nome dei diritti, del femminismo; non basta certo Giorgia Meloni, rappresentante della destra più antica, retrograda e, anzi, conservatrice di vecchi dogmi imposti da una cultura tutt’altro che favorevole al sesso femminile. Io sono Giorgia, come tutte le componenti del centrodestra, altro non fa che strumentalizzare la questione per, poi, battere sempre sullo stesso tasto: contro l’immigrazione, contro la comunità LGBT, contro qualunque altra razza o religione che non sia quella ariana e cattolica.
Una guerra dei poveri, tra poveri, incoraggiata da qualcosa che nulla ha a che fare con il femminismo o con il nuovo che avanza, con un rinnovato modo di fare politica e guardare alle donne – tutte! a prescindere dal loro orientamento sessuale, o la posizione contrattuale o familiare – nell’ottica di un’uguaglianza da provare a raggiungere a ogni costo. La politica dei prossimi anni non può e non deve prescindere da porsi questo obiettivo come primario. E Giorgia Meloni non è la leader di cui la voce femminista che si muove nel mondo ha bisogno.