Omosessualità, parola usata spesso a sproposito per racchiudere il vastissimo mondo LGBTQ+. Parola che ancora oggi può generare disturbo e polemica. A fare gran parte del lavoro sull’attività mentale degli individui sono i media e il modo in cui rappresentano la realtà ci influenza enormemente. Ecco perché, in occasione del Pride Month, vogliamo ripercorrere l’evoluzione – e l’involuzione – dell’omosessualità nella storia del cinema. Come sono stati descritti i personaggi omosessuali nelle pellicole tra ieri e oggi? Quali gli sviluppi? E come sono stati percepiti dal pubblico medio?
Sebbene i movimenti LGBTQ+ siano esplosi nei primi anni Settanta, vi sorprenderà scoprire che l’omosessualità nel cinema è presente fin dall’anno di nascita della settima arte. Parliamo di Dickson Experimental Sound Film, del 1895, diretto da William K.L. Dickson. Si tratta del primo cortometraggio con sonoro registrato dal vivo e girato per kinetofono (il precursore del proiettore cinematografico, per intenderci). Nel film due uomini danzano una sorta di valzer, mentre lo stesso Dickson suona il violino. Nonostante il ballare insieme non implichi necessariamente una relazione amorosa, la suggestione omoerotica è evidente anche al pubblico. E, per l’epoca, non era un problema. Cos’è andato storto, dunque, negli anni?
Non è raro nelle pellicole del tempo vedere uomini o donne omosessuali. Il primo film ad affrontare il tema della transessualità e del travestitismo è datato addirittura 1914. A Florida Enchantement, regia di Sidney Drew, narra le vicende di una donna che cambia genere e orientamento sessuale dopo aver mangiato un seme magico. Lo stesso succede al fidanzato. Inutile dire che il tono è goliardico ma la commedia propone un mero e spassionato intrattenimento. Non passerà troppo tempo – precisamente tredici anni – per assistere al primo effettivo bacio gay: stiamo parlando di Ali, di William A. Wellman, il primo (e l’unico muto) a vincere l’Oscar al miglior film nel 1929.
Nel tempo, purtroppo, lo stereotipo prenderà il sopravvento. Gli uomini omosessuali vengono tendenzialmente mostrati effeminati, riconoscibili da baffi sottili, carattere mite e un garofano appuntato sulla giacca, simbolo dello scrittore inglese, omosessuale, Oscar Wilde (Gli sporcaccioni, 1923, di Ralph Ceder o Marocco, 1930, di Josef von Sternberg, con protagonista Marlene Dietrich e che include anche il primo bacio lesbo).
L’atteggiamento, associato al trucco e agli equivoci, evidenzia la resa terribilmente macchiettistica e il loro ruolo, perlopiù di contorno alla trama principale, è quello di generare ilarità. Lo si può vedere ad esempio nelle gag di Charlie Chaplin o nello stesso A Florida Enchantement. Interessante notare come sia molto più accettato e affascinante che una donna si atteggi da uomo rispetto al contrario – chissà, sarà forse per la bassissima considerazione del femminile che ha da sempre la storia?
Il 1929 è l’anno della Grande Depressione e anche l’industria cinematografica ne è ovviamente assai danneggiata. Il modo migliore per gli Studios di attirare il pubblico è attraverso scene forti, esplicite, che aizzano vari gruppi cattolici – come la Legione della decenza e no, non è uno scherzo – decisi a boicottare tutto ciò che non è in linea con l’etica del tempo. Ma non finisce qui. Un certo Will H. Hays è destinato a essere ricordato come l’inventore di uno dei maggiori flagelli cinematografici negli USA: il Codice Hays. Vengono imposte, nel 1934, precise linee guida che limitano enormemente la produzione cinematografica, specificando cosa sia moralmente accettabile e cosa no. La simpatia del pubblico non dovrà mai essere indirizzata verso il crimine, i comportamenti devianti, il male o il peccato – è scritto nei punti chiave – la Legge, naturale, divina o umana, non sarà mai messa in ridicolo. Vengono proibiti i nudi e le parole ritenute offensive, le allusioni alle perversioni sessuali e alle malattie veneree, le relazioni fra persone di razze diverse. Viene proibita anche la rappresentazione del parto.
L’omosessualità, considerata tra le perversioni, e tutte le tematiche queer sono quindi ufficialmente bandite dagli schermi. Se un romanzo importante contiene tematiche LGBTQ+, il suo adattamento è sì concesso – ah, il dio denaro! – ma deve essere rimodulato. Così succede ad esempio in Un tram che si chiama Desiderio (1951), diretto da Elia Kazan e con protagonisti Vivien Leigh e Marlon Brando. Basato sull’omonimo dramma di Tennessee Williams, il film viene sottoposto a un’enorme censura per rimuovere qualsiasi riferimento all’omosessualità. Oppure in Giorni perduti di Billy Wilder (1945), dove la discesa nell’alcolismo dello scrittore protagonista, che nel romanzo originale è conseguenza della sua confusione sessuale, nel film è a causa di una crisi creativa. Ma c’è la possibilità di rappresentare l’omosessualità secondo il Codice Hays? Ebbene sì. Semplice, i personaggi gay devono essere i cattivi. Assassini (Nodo alla gola di Hitchcock, 1948), malviventi, maniaci, possono avere un orientamento sessuale non etero poiché rientra nel profilo di vita scellerata che è fondamentale mostrare al pubblico.
Anche se il Codice Hays viene abbandonato soltanto nel 1968, è impossibile per gli Studios fronteggiare tutte le pellicole, specie quelle indipendenti o straniere. L’omosessualità non viene mostrata come il male assoluto ma è comunque demonizzata attraverso la scelta di trame drammatiche ed epiloghi tragici, personaggi frustrati, disperati, autodistruttivi, salvati solo se convertiti. Tra questi, il noto Gioventù bruciata (1955, Nicholas Ray) o Tempesta su Washington (1962, Otto Preminger), in cui il protagonista preferisce morire piuttosto che mostrare se stesso. Viene anche finalmente nominata per la prima volta la parola omosessuale.
Poi succede qualcosa. La comunità queer di New York, stufa delle violenze e discriminazioni, insorge contro la polizia. Siamo nel 1969. Sono i Moti di Stonewall. La gente scende in strada per i diritti civili, grida, la mentalità comune muta. E i media – ah, il dio denaro di nuovo! – devono adeguarsi. Festa per il compleanno del caro amico Harold (1970), diretto da William Friedkin, è considerato il primo film hollywoodiano a trattare il tema dell’omosessualità senza la solita tragicità. Seguiranno capolavori come Un uomo da marciapiede (1969, John Schlesinger), che affronta la prostituzione maschile, o Cabaret (1972), diretto da Bob Fosse e ispirato all’omonimo musical.
Con la diffusione dell’AIDS, il rischio di cadere troppo spesso nel parallelo omosessualità-tragedia è di nuovo alto. Philadelphia (1993, Jonathan Demme) si distingue per aver rappresentato finalmente una coppia omosessuale normalizzata, grazie anche alle splendide performance di Tom Hanks e Antonio Banderas, sebbene ancora piuttosto retorico, edulcorato e legato al tema della malattia. Menzione onorevole anche a A Wong Foo, grazie di tutto! Julie Newmar (1995, Beeban Kidron) che tratta dignitosamente la storia di tre drag queen (una è Patrick Swayze!).
Ed eccoci al 2005, anno del grande salto. Le montagne, due cowboy e tre premi Oscar: è I segreti di Brokeback Mountain la vera rivoluzione nella rappresentazione dell’amore omosessuale nel cinema. I celebri Heath Ledger e Jake Gyllenhaal sono Ennis e Jack, destinati a innamorarsi sulle montagne del Wyoming.
Nessun personaggio effeminato, perverso o malato. Ang Lee, dopo il rifiuto di svariati registi, porta sullo schermo un rapporto vero e privo di stereotipi, criticando inoltre la mentalità omofoba degli anni Sessanta. Non solo, gli attori, due uomini etero considerati sex symbol nel mondo hollywoodiano, sono due cowboy, che incarnano proprio lo stereotipo di virilità dell’epoca. È perciò di gran lunga più facile immedesimarsi in loro. Viene mostrato l’amore romantico ma anche quello sessuale, quasi sempre edulcorato o suggerito nelle pellicole precedenti. Viene mostrata una passione estremamente mascolina. In Italia, il film viene sottoposto a diverse censure nelle scene di sesso omosessuale ma non in quelle di sesso eterosessuale o violente, cosa che suscita notevoli proteste e solo dal 2011 il film viene trasmesso integralmente e in prima serata.
Con l’avvento del New Queer Cinema e una maggiore sensibilizzazione sociale, le produzioni cinematografiche del Duemila diventano sempre più approfondite e improntate a una normalizzazione, nonché a una condanna di omofobia e discriminazioni (Milk, 2008, Gus Van Sant; The Danish Girl, 2015, Tom Hooper; Moonlight, 2016, Barry Jenkins). Un ulteriore cambiamento è dato da film come Chiamami col tuo nome (2017, Luca Guadagnino), dove la relazione tra Elio e Oliver è normalizzata dall’assenza di pregiudizio sia nella famiglia che nella comunità.
Questa storia ci insegna che le evoluzioni non sono quasi mai lineari e che le rivoluzioni sono battaglie che è impossibile combattere sottovoce. Che è la cultura ad adeguarsi al popolo e non il popolo alla cultura; che le rappresentazioni contano perché la realtà è fatta di rappresentazioni e la gente ne ha bisogno per validare la propria di realtà. E che il cinema continuerà a lottare contro ogni forma di discriminazione e censura.
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