L’Italia non è un Paese per bambini. L’Italia non è un Paese per nessuno. Nelle ultime settimane due importanti report hanno fotografato la triste condizione di bambini e adolescenti nel mondo e nel nostro Paese, dove (spesso) sono parimenti ignorati. Nessuno dei due, però, ha suscitato particolare interesse né nell’opinione pubblica né, ancora peggio, nella politica chiamata a costruire un mondo anche per chi adesso ha una voce appena più giovane.
Il primo rapporto si chiama Impossibile 2022. Costruire il futuro di bambine, bambini e adolescenti. Ora ed è a cura di Save The Children. Un focus che parte dalla riforma della scuola per arrivare alla costruzione di un mondo che sia non solo più a misura di bambino ma, più in generale, di uomini e donne pronti ad affrontare le sfide quotidiane che inevitabilmente spettano loro e a cui – altrettanto inevitabilmente – finiscono con l’arrivare impreparati.
Se negli ultimi decenni i principali indicatori sulle condizioni di vita dei bambini e delle bambine nel mondo avevano segnato dei progressi – troppo lenti, ma significativi – nel biennio pandemico il trend si è bruscamente interrotto e oggi è a forte rischio. Così, i diritti fondamentali che dovrebbero essere sempre garantiti restano ancora, per la vita quotidiana di milioni di minori, solo degli slogan vuoti.
Nello specifico, l’indagine si sviluppa in cinque punti: conflitti e crisi climatica, migrazioni, educazione e lotta alla povertà, territori di crescita e talenti. Tematiche e settori apparentemente distanti, eppure interconnessi quanto basta a condizionare la sana crescita della più piccola come della più grande delle comunità. L’emergenza infanzia assume, infatti, dimensioni catastrofiche in alcune parti del mondo, ma si manifesta anche in paesi più avanzati, come l’Italia, dove si registra un impressionante declino demografico, crescono le disuguaglianze e aumenta la povertà minorile, assieme al malessere psicologico e sociale degli adolescenti.
Come abbiamo spesso ripetuto, le crisi globali rappresentano un acceleratore di disuguaglianze e un moltiplicatore di minacce. Pensiamo alle guerre, che sono sempre contro i bambini. Vittime dirette dei conflitti ma, anche, vittime provocate dall’effetto a catena che questi vanno a scatenare. Come in Siria, dove la metà dei minori è cresciuta non conoscendo altro se non la guerra, un’intera generazione che non sa cosa voglia dire svegliarsi in un Paese normale.
A questo si aggiungono le conseguenze della crisi climatica, con eventi meteorologici sempre più estremi e frequenti che, a loro volta, alimentano il circolo vizioso di crisi umanitarie, povertà, nuovi conflitti e nuovi migranti, quelli – appunto – climatici, che non risparmiano nemmeno i più piccoli. Le migrazioni nel mondo coinvolgono, infatti, milioni di bambini. E nei loro confronti – ci ricorda Save the Children – l’Europa ha un obbligo di protezione e di accoglienza alla luce della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Convenzione che, sin troppo spesso, si scontra con le misure frontaliere restrittive e di respingimento che violano anche il più basilare senso dell’umanità.
Anche in Italia, dal 2017, una legge nazionale definisce le norme per un’accoglienza di qualità in particolare per i cosiddetti minori non accompagnati, vale a dire coloro che arrivano senza adulti di riferimento, quindi più vulnerabili. Tuttavia, ancora oggi questa legge non risulta per molti versi attuata e si stenta a riconoscere nei minori migranti una risorsa per il Paese, piuttosto che un peso o, addirittura, una minaccia. Eppure, attualmente, circa l’8.5% della popolazione residente sul nostro territorio è di cittadinanza non europea e a mitigare l’effetto dell’ennesimo record negativo di denatalità sono soltanto i nuovi nati, figli di genitori immigrati.
Lo studio si concentra, poi, sull’educazione e sulla lotta alla povertà. Ovviamente, partendo dalla scuola: La pandemia ha prodotto un vero tracollo degli apprendimenti degli studenti […] che, già prima della crisi sanitaria, disegnavano la mappa di un Paese disuguale, incapace di garantire equità nelle opportunità di crescita. Che si tratti di dispersione scolastica implicita o esplicita, i più colpiti sono, ovviamente, gli studenti delle famiglie più povere, quelle che vivono al Sud e quelle con background migratorio.
Nei territori a più alto tasso di povertà educativa, come le regioni del Sud, le aree interne, le periferie delle grandi città, l’offerta scolastica è più debole, in un circolo vizioso che si autoalimenta. Per la mancanza del tempo pieno, un bambino che cresce al Sud arriva al termine delle scuole primarie avendo alle spalle l’equivalente di un anno in meno di scuola rispetto a un coetaneo del Nord.
Ecco che, allora, se il 12.7% dei giovani italiani ha lasciato prematuramente gli studi nel 2021, il 16.3% è al Meridione. Se i bambini che hanno il tempo pieno alla primaria sono per il 45% al Nord e per il 15% al Sud, alla mensa scolastica di Milano, ad esempio, accede il 95% dei più piccoli, a Palermo appena il 6%. Ma è in Sicilia, o in Campania, che – atavicamente – si registrano i dati più alti di dispersione scolastica, nonché di povertà. Se si aggiunge, poi, che in tutto il Paese solo il 32% degli edifici è accessibile per gli studenti con disabilità motoria e che 20mila scuole sono sprovviste del certificato di agibilità, il dado è presto tratto. Ed è un dado da 1 milione 384mila minori che, in Italia, vivono in condizioni di povertà assoluta.
A simili risultati è giunta anche la più recente classifica relativa alla qualità della vita dei bambini in Italia stilata da Il Sole 24 Ore che vede al primo posto Aosta e, più in generale, una massiccia presenza di città del Centro-Nord nelle posizioni più alte in graduatoria, confermando il divario, incolmabile, con un Sud che non riesce a stare al passo. Che non si vuole tenere al passo. Ecco che, allora, Napoli finisce sul fondo perché incapace di controllare indicatori quali spazi verdi e strutture scolastiche attrezzate o, peggio, delitti denunciati a danno dei minori. Una classifica che, in particolare nelle ultime posizioni, vede le metropoli del Bel Paese fallire miseramente nella tutela dei nostri bambini, sprovvisti di giardini pubblici, spazi abitativi adeguati, scuole a norma, palestre accessibili e tanto altro.
Anche nelle opportunità di crescita dei bambini e degli adolescenti, dunque, l’Italia è attraversata da profonde disuguaglianze territoriali. Vi sono aree del Paese – quartieri di periferia, città satellite, aree interne – dove si concentrano tutte le forme di deprivazione (educativa, economica, ambientale) che rischiano di annientare le aspirazioni dei più giovani. Tali discrepanze incidono, sin dalla più tenera età, anche nella fruizione dello spazio pubblico, condizionando la crescita, lo sviluppo e il benessere di ciascuno di noi e della comunità tutta. E sappiamo bene che proprio le disuguaglianze territoriali – dove si annidano segregazione, insicurezza e potere delle mafie – sono uno dei fattori scatenanti della povertà educativa.
Già nel 2020, la campagna Riscriviamo il futuro aveva lanciato l’allarme. In questi ultimi due anni, infatti, presi dal nostro lockdown, abbiamo pensato e messo in pratica misure che poco o nulla hanno a che fare con la tutela dei più piccoli. Come noi, invece, anche loro hanno dovuto drasticamente mutare le proprie giornate, riscrivendo la scaletta della routine quotidiana secondo direttive per loro incomprensibili e pericolose. Niente più nonni, niente più scuola, niente più parco giochi o gelato con gli amichetti. Insomma, un’altra vita.
Così, quando raccontavamo che la pandemia avrebbe compromesso il futuro di bambini e adolescenti, improvvisamente schiacciati tra povertà materiale e contrazione delle opportunità educative, denunciavamo proprio questo, l’assenza di un’azione politica, sociale e culturale a supporto dei bambini, le cui conseguenze stanno ora iniziando a mostrarsi, quantomeno su carta. Là dove i numeri parlano chiaro ad adulti che non vogliono leggerli né ascoltarli. Eppure, non possiamo permettere che accada, che in un momento storico così difficile i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza subiscano un ulteriore arretramento. Non possiamo permettere che l’Italia non solo non sia un Paese per giovani o vecchi, ma che non lo sia nemmeno per bambini, finendo con l’essere un Paese per nessuno.