Il destino della Seconda guerra mondiale dipende da un cadavere su di un carretto in giro per la Spagna e dall’affidabilità della fantasia di alcuni agenti segreti britannici che operano in uno scantinato della marina. Arrivato in sala lo scorso 12 maggio, L’arma dell’inganno. Operazione Mincemeat è una pellicola del regista inglese John Madden basata sulla storia raccontata nell’omonimo libro da Ben Macintyre.
10 luglio 1943. Le truppe alleate sbarcano sulle coste della Sicilia per aprire un nuovo fronte di guerra europeo contro i nazisti. Alla base di questo sbarco c’è però la più grande operazione di depistaggio della storia. Ewen Montagu (Colin Firth) e Charles Cholmondeley (Matthew Macfadyen) sono i due membri dei servizi segreti britannici appartenenti all’MI5 ai quali viene assegnata la missione di convincere i comandi nazisti che lo sbarco alleato avverrà in Grecia. I due, con l’aiuto di alcune collaboratrici, mettono assieme un piano avvincente e fantasioso. In pochi sapranno, però, che il piano fu preso in prestito da una finzione scenica letta in un romanzo di Basil Thompson da Ian Fleming (Johnny Flynn), lo scrittore dei romanzi di James Bond, e da lui suggerita all’ammiraglio inglese John Godfrey (Jason Isaacs). Secondo questo piano, i tedeschi dovranno trovare dei documenti nella valigetta di un pilota britannico annegato a largo delle coste spagnole. Tra questi documenti ci saranno delle informative per i comandi britannici, attraverso le quali avverrà il depistaggio.
La pellicola gira attorno alle vicende dei protagonisti durante queste preparazioni. Tra dialoghi avvincenti i personaggi ripercorrono la vita di un uomo mai vissuto, fantasticando su storie d’amore e vizi personali. Al contempo, si invaghiscono della stessa donna e da qui partono trame e gesti di gelosia, persino risentimento, che in qualche modo li divideranno. Alla dolorosa scelta del cadavere del soldato inglese da far ritrovare ai tedeschi si contrappone la storia romantica tra Ewen Montagu e una sua collaboratrice, Jean Leslie (Kelly Macdonald), dando così vita a una duplice trama.
Il film ci narra proprio dell’esistenza di due guerre parallele: la prima, nella quale i soldati combattono al fronte, quella vera e cruda, e un’altra, la seconda, fatta di finzioni e ombre. Quest’ultimo è il conflitto combattuto dai protagonisti per i quali la vita è un’illusione che scorre invariata e senza stravolgimenti, che ha un contatto con la guerra vera solamente attraverso i bollettini e per tale motivo compresa conteggiando il numero di morti. In questa sfera privata della vita, durante la guerra, è ancora possibile l’immaginazione infantile e creativa. I protagonisti si troveranno a dover fantasticare con leggerezza sull’identità e sulla personalità di quel soldato britannico morto che dovrà essere trovato a Huelva, Spagna, dai servizi tedeschi.
Nella messa in atto del piano le vicende dei personaggi si dispiegano nell’affascinante cornice scenica della Londra mondana degli anni Quaranta, fatta di balli e di club, per una classe sociale privilegiata. Le ambientazioni sono molto ben fatte e il ritmo alle volte serrato e alle volte lento del film ne permette l’esaltazione.
Una guerra quindi mai esistita che ci racconta di un evento venuto alla luce solamente nel 1997, anno in cui furono desecretati i documenti relativi a questa operazione. L’operazione fu voluta e supportata da Churchill che anche in questa pellicola viene presentato come un soggetto geniale e allo stesso tempo mosso da ragionamenti brillanti e irrazionali. È così che viene fuori il carattere paradossale delle operazioni belliche. Mobilitazioni di centinaia di migliaia di uomini volute da un unico soggetto che determina il corso delle loro vite. In questo caso ancora più paradossale poiché le vite dei soldati alleati dipendono dal buon fine di un’operazione che si svolge al cento per cento dietro le linee nemiche e di cui è difficile controllare l’esito. Da una stanza nel sottoscala della marina britannica, immersa nella finzione e nell’immaginazione dei protagonisti, si decide il corso della storia e della vita di uomini che avrebbero dovuto sbarcare, e forse morire, lontano da casa, sulle coste di un Paese a loro completamente sconosciuto.
Uno spy-story, L’arma dell’inganno, che non trova la sua ragion d’essere nella suspense o nell’intrigo. Il film narra di eventi reali e da qui trae forza e ritmo. La crudezza, come il ragionamento, non vengono da episodi cinematografici, ma appartengono alla sfera del reale. Il cinematografico quindi lascia spazio alla creazione immaginativa della fantasia, all’interno dei dialoghi di una divertente e intrattenente sceneggiatura.
È importante apprendere l’esistenza di questa guerra, che avviene nel sottosuolo e tra potentati internazionali, soprattutto in un momento del genere, nel quale la Russia di Putin ha invaso l’Ucraina. E chissà se anche adesso, dietro le linee russe, non vadano avanti trame di questo genere, operazioni alle quali sono legate centinaia di migliaia di vite, che sono avvolte nel mistero e che rimarranno tali a lungo.
Contributo a cura di Ignazio Cimino