Che cosa vuol dire vedersi rappresentati? Vuol dire non sentirsi soli. Vuol dire riconoscersi come parte di una società, sentirsi inclusi, avere pari dignità. Abbiamo bisogno di rappresentazioni, tante, diversificate, perché tanti e diversificati sono gli esseri umani. E abbiamo bisogno di rappresentazioni felici. È per questo che Heartstopper è importante. Serie tv britannica attualmente su Netflix, la prima stagione è balzata subito nella Top 10 dei prodotti in inglese più visti sulla piattaforma, registrando ottimi ascolti e critiche più che positive. Si tratta della trasposizione dell’omonima serie di graphic novel scritta e ideata da Alice Oseman, artista 28enne che conta già svariate pubblicazioni, aventi come tema cardine la vita adolescenziale nel Regno Unito. Heartstopper, in particolare, affronta direttamente tematiche LGBTQ+, amicizia, amore, scoperta di sé. Nulla di nuovo, direte voi. Ebbene, un po’ sì ma anche un po’ no. Andiamo per gradi.
Alla regia troviamo Euros Lyn, che abbiamo già conosciuto per aver diretto alcuni episodi di note serie come Doctor Who, Sherlock, Daredevil e del secondo episodio di Black Mirror, mentre Zoranna Piggott è alla produzione. La serie si può definire un teen drama queer e narra le vicende di Charlie, timido adolescente vittima di bullismo per la propria omosessualità a seguito di un outing – che non è un coming out, meglio ribadirlo, non si sa mai. Fortunatamente è circondato da tante persone che lo amano, fra cui sua sorella Tori e gli amici Tao, Elle e Isaac. Al secondo anno della Truham Grammar School, scuola prettamente maschile, gli viene assegnato un nuovo compagno di banco, Nick, molto popolare poiché membro della squadra di rugby. Il feeling che si instaura tra i due è immediato e i ragazzi finiscono per condividere sempre più tempo, fino a sorpassare quella linea che separa l’amicizia da qualcosa di più. Ma come affronteranno le loro diversità?
Sono sempre più numerosi, specialmente nell’ultimo periodo, i prodotti a tematica queer indirizzati ai giovani e non solo. Vengono in mente ad esempio Tuo Simon, Love, Victor, Young Royals, Euphoria, Sex Education. Numerosi , però, sono anche i cliché e gli stereotipi all’interno di queste rappresentazioni. Heartstopper si pone al di sopra di tali cliché, mostrandosi realistico e rendendo protagonista l’amore LGBTQ+ e non, come spesso accade, qualcosa che è sì importante ma sempre di contorno a protagonisti etero. Inoltre, può sembrare strano e un po’ scontato dirlo, fa qualcosa non da poco: è una narrazione felice.
Volendo guardare le statistiche attuali, solo l’11% circa dei prodotti mediatici contiene personaggi queer (a dispetto di quanto si dica talvolta, che oggi se ne parla troppo) e la maggioranza di questa percentuale si concentra in particolare sulla cosiddetta narrativa del dolore e sulle difficoltà che affronta abitualmente la comunità LGBTQ+. La frustrazione del coming out, dell’accettazione di sé e da parte della società, i pregiudizi, le discriminazioni, le violenze. Come dimenticare I Segreti di Brokeback Mountain, Philadelphia, Moonlight o Boys don’t cry. Siamo quasi abituati all’associazione LGBTQ+ uguale sofferenza, tanto che la frase tipo di un genitore medio, oggi, è se mio figlio fosse gay sarei solo preoccupato per le difficoltà a cui andrà incontro nella vita. Ed è giusto, relativamente.
Non è che viviamo proprio nel paese dei balocchi, è giusto ricordare i soprusi, le battaglie e i sacrifici che ha dovuto faticosamente affrontare la comunità soltanto per poter esprimere liberamente il proprio essere. Per poter ottenere diritti e quel rispetto che la società non garantisce ancora oggi. La buttiamo lì, la possibilità di partecipare al ballo scolastico in quanto coppia gay senza che la cosa venga definita come fuori luogo. Tipo a Prato, tipo nel 2022. Sono quindi poche le narrazioni che riescono a trattare la tematica con serenità e naturalezza, mostrando sullo schermo che amare qualcuno dello stesso sesso può voler dire anche essere felici. Ci era ad esempio riuscito Luca Guadagnino con il film Chiamami col tuo nome, dove il dramma c’è ma per altre ragioni e i protagonisti e il resto dei personaggi non fanno mai neppure cenno all’orientamento sessuale.
Perciò, se è fondamentale denunciare e sensibilizzare una società che ne ha, purtroppo, ancora tanto bisogno, è allo stesso modo fondamentale normalizzare, mostrare al mondo storie rassicuranti, dove protagonisti non siano gli orientamenti sessuali ma i sentimenti stessi. Storie dove i personaggi queer non devono per forza attraversare l’inferno a piedi, dove anch’essi possono sentirsi rappresentati in modalità più relax.
In Heartstopper, il focus non è il dolore ma la scoperta di sé e dell’amore, con l’incertezza, l’emozione e la gioia tipiche di un qualsiasi adolescente. Sia chiaro, non è un libro di fiabe e sono comunque presenti temi quali bullismo o timore del coming out ma in maniera molto meno drammatica. Perché ok la denuncia, ma lo spazio per sognare e rilassarsi quando non si ha voglia di tragedie esistenziali lo vogliamo includere? Solo il titolo della serie ci fa subito comprendere che il tema centrale è l’amore, quel qualcosa di così potente da fermarti il battito per un istante. Se Euphoria si mostra angosciante, a tratti oscura, o Sex Education è più sopra le righe (pur sapendosi prendere, in certi momenti, molto sul serio), Heartstopper è fresca, tenera, romantica, commovente in senso buono. Propone una storia semplice ma non banale, dove potersi immedesimare a prescindere dal proprio orientamento sessuale e genuina sia per un pubblico giovane che per uno più adulto.
Molto del realismo è forse dato da un cast di protagonisti esordienti, molto giovani e per questo credibili. Joe Locke è Charlie, ragazzo mingherlino e insicuro che non ha problemi con la sua omosessualità eppure sente continuamente il peso delle conseguenze sulle persone a cui tiene. Si fa problemi dove non esistono e preferisce accontentarsi per evitare di ferire. Smettila di chiedere scusa è la frase che gli viene ripetuta più spesso. All’altro lato c’è Nick, interpretato da un bravissimo ed espressivo Kit Connor (il piccolo Elton John in Rocketman), personaggio tra i migliori. È lui a fare i conti con la sua sessualità, non il protagonista come spesso accade e, nonostante impersoni lo sportivo popolare, è gentile e molto maturo, come anche dubbioso e a volte impaurito.
La serie tratta egregiamente anche l’amore lesbo, la bisessualità e la transessualità, ad esempio con il personaggio di Elle (Yasmin Finney), che sappiamo essere transessuale solo da un paio di dialoghi contestualizzati tra i personaggi e senza nessun accenno a disforia o problemi associati. Solo le preoccupazioni di una comune adolescente. Regina delle regine, Olivia Colman nei panni di Sarah, madre di Nick. Interessante anche il modo in cui viene mostrato il bullismo, non violento verbalmente e fisicamente ma fatto da quelle precise frecciatine, cercando di far apparire tutto come un grande scherzo per cui bisognerebbe soltanto farsi una risata. Qualcosa di molto più vicino alla realtà, più subdolo e più difficile da essere riconosciuto, quindi condannato.
Per ricordarci che quella è prima di tutto una graphic novel, Lyn sceglie una regia che include piccoli dettagli animati per suggerire le emozioni dei personaggi, come foglioline o saette, e luci pastellate che fanno il verso ai classici occhi a cuoricino. Finalmente una rappresentazione queer scevra dai soliti stereotipi, confortante e desiderosa di ricordare che c’è anche il lato bello della vita. Su Paste è stata recensita come un’opera che getta solide basi di ciò che si può solo sperare saranno le rappresentazioni edificanti e inclusive di personaggi queer per la prossima generazione di spettatori. Speriamo davvero. In conclusione, guardate Heartstopper, fa bene al cuore e allo spirito.