I due anni appena trascorsi, caratterizzati dalla fase acuta della pandemia – non che questa si sia a oggi conclusa – hanno sì messo in evidenza le criticità strutturali del carcere, esplose in tutta la loro brutalità, accendendo talvolta riflettori oramai polverosi sull’universo penitenziario, ma anche innescato un dibattito prevalentemente emergenziale, finalizzato a evitare il contagio e a salvaguardare i soggetti più fragili. Superato il momento più critico nella diffusione del virus, bisogna però riconoscere che le criticità sono rimaste e anzi esse sono state esasperate, e intanto pochissimi passi in avanti per garantire una migliore qualità della pena sono stati fatti. Dunque resta ancora più evidente la distanza tra pena effettiva e pena legale: è proprio con quest’ultimo assunto che inizia il diciottesimo rapporto sulle condizioni di detenzione dell’Associazione Antigone, che da oramai venticinque anni visita le carceri nazionali attraverso il suo Osservatorio, offrendo alla società civile un presidio costante di garanzia e legalità negli istituti di pena, proprio lì dove troppo spesso garanzia e legalità sono inesistenti.
Il sovraffollamento rimane una delle peggiori piaghe: dopo un trend al ribasso dovuto alle misure emergenziali anti-Covid, le presenze hanno ripreso a salire e superano le 54mila unità, un dato molto lontano dal rispetto della capienza regolamentare delle carceri e ancor di più da quella effettiva, considerate le zone fatiscenti e/o in ristrutturazione e quindi inutilizzabili. Seppure non siano stati ancora raggiunti i numeri pre-pandemici, la tendenza è chiara e non si tratta altro che di schemi che già si sono ripetuti, in particolar modo in seguito alla sentenza Torreggiani.
Ricordiamo che con quest’ultima l’Italia era stata condannata per trattamenti inumani e degradanti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale aveva individuato nel sovraffollamento un problema strutturale del sistema penitenziario italiano, che si ripercuoteva sulla qualità della vita e della pena dei detenuti. Da allora nulla è cambiato: per evitare le sanzioni il Governo si era affrettato a varare misure emergenziali per svuotare le carceri – a dimostrazione che tutto è possibile se c’è volontà politica – ma dopo qualche anno le presenze hanno ricominciato a crescere. Bisogna però precisare che la soluzione non può essere la costruzione di nuovi istituti, per sostituire e supportare quelli fatiscenti attualmente in uso, ma bisogna pensare a un nuovo modo di intendere la pena, che allontani dal carcere il connotato dell’afflizione che oramai lo caratterizza.
Se il fine della pena è, secondo la Costituzione, la rieducazione e dunque il rientro in società, bisogna sottolineare come non solo l’Italia prediliga, a differenza degli altri Paesi europei, la pena detentiva a discapito di modalità alternative di condanna che si rivelano in realtà anche più efficaci in termini di recidiva, ma ha anche sposato un’idea di carcerazione che è punizione e afflizione, e dunque non solo mera privazione della libertà. Un simile modello si è però rivelato inefficace sotto tutti i punti di vista e così la maggior parte delle persone che escono dal carcere torna a delinquere proprio perché il fine rieducativo auspicato non è stato raggiunto, e in realtà neppure perseguito se si guardano i dati che l’Associazione Antigone ha raccolto nel suo rapporto.
Nel 17% degli istituti visitati, infatti, mancano spazi per la socialità e nel 32% non ci sono spazi per le lavorazioni, percentuali che aumentano a dismisura se si guarda agli istituti più vecchi. Addirittura nel 45% delle carceri non è in funzione un’area verde per i colloqui con i familiari: questo ci dà l’idea di quanto sia sacrificato il diritto all’affettività delle persone recluse e il loro bisogno di mantenere saldo il legame con i loro cari. Le percentuali restano deludenti anche per le attività trattamentali, risocializzanti e sportive e probabilmente in questi dati possiamo trovare le risposte a molte domande sull’(in)utilità del carcere.
Le caratteristiche degli spazi si ripercuotono sull’intera vivibilità del penitenziario e sull’umanità della pena in termini di salubrità degli ambienti e quindi di diritto alla salute. È anche su quest’ultimo aspetto che si concentra il Rapporto di Antigone, sottolineando la difficoltà di accedere alle cure, persino se basilari, ma anche di conoscere il proprio quadro clinico in maniera completa, nonostante si tratti di diritti che teoricamente sarebbero garantiti. L’Associazione Antigone si prodiga anche con il difensore civico per supportare i detenuti che si trovano in queste condizioni, ma i problemi strutturali rimangono tali e non possono essere risolti con interventi di volontariato, per quanto autorevoli e professionali essi siano. Tuttavia, è l’intero quadro psico-fisico che viene messo a dura prova dalla detenzione: i dati dimostrano l’essenza patogena del carcere, in particolare se siamo di fronte a disturbi psichici che possono facilmente sfociare in atti autolesionistici e tentativi di suicidio. Ricordiamo che sono state ben 57 le persone a essersi tolte la vita in cella nel solo 2021 e il 2022, se possibile, si sta dimostrando anche peggiore.
Inoltre, se nell’ultimo periodo il carcere ha occupato il dibattito pubblico è stato soprattutto per le vicende tristemente note riguardanti le torture perpetrate ai danni dei detenuti di alcuni istituti, tra cui in particolare quello di Santa Maria Capua Vetere, dove si è svolta, nell’aprile 2020, una vera e propria mattanza, una spedizione punitiva ai danni delle persone recluse, colpevoli di aver protestato temendo per la propria salute mentre nei reparti detentivi si diffondeva il Covid. Non si tratta purtroppo di casi isolati e numerosi sono quelli per i quali l’Associazione Antigone ha presentato esposti per denunciare tali brutalità o i processi in cui si è costituita parte civile. Basti pensare ai fatti di San Gimignano, i cui video hanno avuto, così come per il carcere campano, una rilevanza mediatica che è straziante ma anche necessaria. Simili avvenimenti rivelano in realtà strutture di potere insite nel mondo penitenziario e per i quali non si può più parlare di mele marce.
Il carcere è un non luogo, lontano da diritti e garanzie, e molto spesso da occhi attenti che sappiano cogliere ciò che realmente si cela dietro quelle mura. Uno spazio disumanizzante e alienante in cui ci si dimentica di esseri umani. Organizzazioni come Antigone ci aiutano a mettere insieme i pezzi di un puzzle che tutti dovrebbero avere ben chiaro poiché ciò che succede in un istituto di pena riguarda l’intera società: la strada è ancora lunga e tortuosa, ma assolutamente necessaria.