Sembra una scena da film apocalittico, una di quelle che si trovano descritte nei libri distopici, una situazione così surreale che facciamo fatica a credere che sia vera. Eppure, ciò che sta accadendo a Shanghai è terribilmente reale.
La più grande città cinese, con una popolazione di oltre 26 milioni di persone, sta vivendo quello che, prima del 2020, nel nostro immaginario poteva essere pandemia: persone costrette a barricarsi in casa e incapaci di procurarsi cibo e acqua, positivi sottratti con la forza dalle loro abitazioni, famiglie separate, minori rimasti soli, strade deserte e droni che si aggirano per le vie della città emettendo annunci inquietanti che ricordano ai cittadini di non uscire di casa, come in uno strano regime del terrore futuristico in cui una polizia robotica fa il lavoro sporco per chi comanda.
Si tratta di immagini stranianti, dell’espressione di un potere che non sa quando fermarsi e quando le sue strategie stanno fallendo, per il quale l’individuo non conta se, per tutelare – tra l’altro senza alcun successo – dal contagio il resto della popolazione, è disposto a sacrificare un’intera città. Ecco, quando vedo le immagini del terrore di Shanghai, non riesco a non pensare a quando la dittatura sanitaria era il più grande problema degli italiani. L’invocazione della libertà era la protesta preferita di chi non sapeva distinguere tra negato diritto e salute pubblica, tra libero arbitrio e libero danno alla vita altrui. Lockdown, mascherine e vaccini, nei primi due anni di pandemia, hanno fatto così tanto parlare di sé da permetterci di dimenticare cosa fosse effettivamente una vera dittatura, forse fino a oggi, che la stiamo guardando sconvolti e inermi.
Da quando è scoppiata la pandemia, la Cina ha adottato la politica Covid zero, ovvero ha deciso di rendere più stringenti e più durature le restrizioni applicate nel resto del mondo, con l’obiettivo di eliminare ogni traccia del coronavirus ed eradicarlo completamente all’interno del Paese. Già fino all’anno scorso si trattava di un obiettivo abbastanza ambizioso: una strategia del genere ha potuto funzionare in luoghi piccoli e poco popolosi come la Nuova Zelanda, ma in un Paese grande e densamente abitato come quello cinese la percentuale di errori, di tamponi falsi negativi e di asintomatici non identificati cresce esponenzialmente. In più, a oggi, la situazione è molto diversa: la variante Omicron ha dimostrato una contagiosità così alta da rendere impossibile la totale eradicazione del virus. Eppure, alla Cina non importa e si ostina a privare le persone dei diritti fondamentali pur di perseguire una politica evidentemente inutile.
La città di Shanghai, in effetti, ha vissuto un’incredibile impennata di contagi. La quota di 28mila casi rende la situazione la peggiore di sempre, la più grande emergenza sanitaria dopo l’identificazione dei primi casi nella città di Wuhan. A questa esplosione dei contagi sono seguite numerose misure a dir poco agghiaccianti. L’isolamento è, infatti, totale e le persone non hanno la possibilità di uscire di casa neanche per fare la spesa. La mancanza di viveri è però solo una delle condizioni assurde e inaccettabili alle quali si sta sottoponendo la popolazione shanghaiese.
La politica Covid zero nasce dall’esigenza di tutelare un sistema sanitario messo in difficoltà dalla bassa percentuale di vaccinati e dalla scarsa efficacia del vaccino sviluppato in Cina – e l’unico utilizzato all’interno del Paese. Dunque, proprio per tenere sotto controllo i malati e per tentare di ridurre i contagi, tutti i positivi – anche quelli asintomatici – sono prelevati dalle proprie abitazioni per essere spostati nei Covid hotel. Nella maggior parte dei casi, però, queste sistemazioni consistono in delle vere e proprie camerate con file di letti, molto più simili a collegi – o prigioni – che ad alberghi.
Dopo settimane di lockdown, la situazione sta diventando insostenibile anche per l’economia: finché è la popolazione a non reggere le condizioni imposte, è facile che alle richieste si risponda con le intimidazioni dei droni che invitano a tenere a bada il desiderio di libertà. Ma dopo tanti giorni di immobilismo il sistema rischia di bloccarsi: per questo, è stata elaborata la strategia della bolla. La necessità di molte aziende di riaprire e riprendere l’attività, infatti, deve necessariamente concordare con le restrizioni imposte dal governo e dunque i lavoratori che si recano in azienda non potranno lasciarla e vivranno lì, non tornando mai a casa per non rischiare di agevolare ulteriormente i contagi.
Insomma, le deportazioni forzate delle persone dalle loro abitazioni e dalle relazioni con i propri cari sono all’ordine del giorno, e all’emergenza sanitaria inizia a unirsi un malcontento popolare insolito per la popolazione cinese, soggetta a un regime in cui difficilmente le proteste hanno tanta libertà d’essere da approdare sui media globali. Il governo cinese, dopotutto, ha sempre avuto una linea repressiva, è stato protagonista di diverse violazioni dei diritti umani, dunque non dovrebbe sorprendere la politica adottata a Shanghai. Eppure, questa volta, c’è qualcosa di diverso.
Secondo un report di Amnesty International, nel 2021 sono stati violati innumerevoli diritti umani nel Paese di Xi Jinping: diritto alla libertà e alla sicurezza della persona, diritto alla privacy, libertà di movimento, libertà d’opinione, religione, uguaglianza e non discriminazione. Sappiamo del genocidio culturale degli Uiguri e delle proteste di Hong Kong, di tutte le violazioni dei diritti umani degli ultimi anni, eppure difficilmente le immagini di quello che accadeva hanno potuto raggiungere la rete e il resto del mondo. Con Shanghai il governo ha evidentemente superato un limite, che va oltre le libertà personali e il benessere sociale mai effettivamente garantiti, poiché sta negando alle persone l’espressione dei bisogni primari.
I regimi totalitari, per funzionare, necessitano di una riverenza incondizionata da parte dei cittadini. Gli strumenti attraverso i quali ottenere questa fiducia cieca sono semplici da immaginare: la censura e uno stato di terrore. Ma essi da soli non bastano. Secondo le analisi di Hannah Arendt, per convincere milioni di individui a fidarsi ciecamente di un regime, a non metterlo mai in discussione, è necessario separare le persone all’interno della società, renderle emarginate e prive di legami sociali soddisfacenti. Quando leggiamo di ciò che sta accadendo a Shanghai, sono proprie queste le cose che più ci fanno rabbrividire, quelle che limitano le libertà sociali. Non possiamo sopportare l’idea di famiglie separate, di persone infette strappate via ai propri cari, di bambini allontanati dai genitori. Dall’altra parte del mondo, quasi ci sembra che i bisogni primari che ci tengono in vita siano meno indispensabili di quelli alla socialità, perché è in essi che si instaurano le fondamenta della nostra libertà.
Mentre osserviamo gli alberghi-prigione per la quarantena e gli animali domestici soppressi perché potenziali vettori del contagio, ciò che non vediamo è la fame. Non vediamo che in un regime totalitario in cui quelle libertà non sono mai state realmente garantite, il benessere e la sopravvivenza sono invece bisogni primari con i quali non si può venire a patti. E mentre i cittadini di Shanghai fanno arrivare le loro grida dai balconi anche dall’altra parte del mondo, il governo cinese non accenna a cambiare strategia.
Quella attuata in Cina non è certamente una strategia vincente contro il Covid-19, e dunque la sua ostinata persistenza non ha a che fare con il successo sanitario quanto invece con quello politico. Dimostrare di avere tutto sotto controllo, che si tratti di minacce esterne come un virus pandemico o di malumori interni come una città sull’orlo dell’insorgenza, è l’unica affermazione di potere che un regime totalitario ha a sua disposizione, soprattutto se intanto attua strategie desuete e inadatte per combattere un virus ormai mutato e se i vaccini sviluppati internamente si sono rivelati molto spesso inefficaci.
Ciò che sta vivendo la martoriata Shanghai non sono le conseguenze di un’esplosione dei contagi – che pure sta creando i suoi problemi – ma gli effetti collaterali delle libertà negate e delle violazioni dei diritti umani, che si traducono inevitabilmente in un potere cieco che è pronto ad azioni irrazionali e sostanzialmente inutili pur di non rischiare di essere messo in discussione.