A tutti piace immaginarsi in un periodo storico lontano da quello in cui si sta vivendo, e se Licorice Pizza rispondesse proprio a questo desiderio insito nell’animo del suo regista? Il film, firmato e diretto da Paul Thomas Anderson, è arrivato nelle sale italiane nella prima parte del 2022. Ritenuto uno dei migliori cineasti americani in circolazione, con questo lavoro Anderson ha fatto nuovamente incetta di candidature per la vittoria della statuetta, essendo stato nominato per la miglior regia, il miglior film e la migliore sceneggiatura.
Nato a Los Angeles, nello specifico nella San Fernando Valley del 1970, il regista ambienta la pellicola nei luoghi della sua infanzia. A dare un primo indizio è già il titolo, Licorice Pizza, scelto in onore di un negozio di dischi aperto in quegli anni nella città californiana e che probabilmente lo stesso sceneggiatore ha frequentato da giovane. Il film, già ritenuto da alcuni come il più bello di questa edizione degli Oscar, mostra una storia d’amore coinvolgente e all’insegna della libertà tra Gary e Alana, lui quindicenne, lei venticinquenne.
Gary (Cooper Hoffman) è un attore bambino, brillante e impulsivo, vicino alla fine della sua carriera per via dell’età; Alana (Alana Haim), invece, è la figlia di un agente immobiliare di origine ebraica, insoddisfatta della sua vita e smaniosa di trovare se stessa. I due si conoscono il giorno delle foto dell’annuario scolastico, lui è in fila per lo scatto, lei è una delle assistenti del fotografo. Gary fa il primo passo e lotta contro la diffidenza di Alana finché, dopo appena qualche minuto di pellicola, sono già in viaggio assieme verso New York per un suo spettacolo. Da qui si sviluppa velocemente, episodio dopo episodio, la loro magica e platonica relazione, fatta di gelosie e sfide quotidiane.
Gary è alle prese con la necessità di trovare una strada diversa da quella dell’attore e si lancia nel mondo dei materassi ad acqua coinvolgendo anche Alana. La convince, poi, a fare dei provini nella Hollywood delle grandi star del tempo. Insieme, riescono ad allestire un negozio, ne organizzano l’apertura, ma poi la crisi energetica del 1973 ne provoca la chiusura e, avventura dopo avventura, sono costretti a reinventarsi in una città dalle sconfinate possibilità e in costante divenire. Gary e Alana si allontanano di continuo e di continuo corrono di nuovo l’uno verso l’altra in un vulcano di volontà e sentimento. Sono giovani e pare che tutto il mondo stia rannicchiato sotto i piedi della loro ingenua e immensa vitalità.
Los Angeles è così il luogo dove ogni cosa può accadere, dove finzione e realtà si mischiano, dove anche un ragazzo di sedici anni può aprire un negozio di successo o una ragazza al suo primo provino a Hollywood può ritrovarsi a cena con le grandi star del cinema. In questa città le vicende dei protagonisti si incrociano con personaggi ed eventi reali. Nel film viene dunque rappresentata la già citata, e profetica, crisi energetica del 1973 o la campagna elettorale per l’elezione del nuovo sindaco e, ancora, la personalità sopra le righe del produttore cinematografico Jon Peters (Bradley Cooper), marito della famosissima attrice Barbra Streisand. Il tutto in un vortice che toglie il fiato di episodi che sanno strappare una risata e poi una lacrima.
P.T. Anderson crea così un’atmosfera magica e positiva, dalle tonalità chiare e romantiche sulle note di vecchi vinili, nella quale Gary e Alana si inseguono colmi di una volontà capace di creare il destino e la stessa realtà.
Tra i due giovani, intorno ai quali ruota l’intero film, è lei a colpire maggiormente. Eppure, l’attrice non appare subito convincente nella sua prima comparsa sul grande schermo: troppo pura e smaliziata, completamente differente da qualsiasi tipologia di protagonista hollywoodiana vista nell’ultimo periodo, porta al cinema una sensualità in antitesi con i canoni attuali richiesti dall’industria. P.T. Anderson propone, dunque, una protagonista entusiasmante, dalla vitalità contagiosa, che si innamora di un ragazzo di dieci anni più piccolo e che con forza combatte per il suo futuro e contro ogni stereotipo sociale.
In effetti, Licorice Pizza, in inglese, sta a indicare letteralmente una pizza alla liquirizia, quindi una pizza di colore nero, proprio come il vinile. Licorice Pizza, in più, è l’acronimo di LP. Non è un caso che in questo film la musica assuma un ruolo centrale: infatti, non solo la colonna sonora è estremamente ben composta (Jonny Greenwood, già candidato all’Oscar 2022 con Il potere del cane), con il riadattamento di tanti classici anni Settanta, ma è proprio l’ingrediente che permette al film di arrivare ad avere quell’atmosfera onirica che tanto lo contraddistingue.
Licorice Pizza è una pellicola coinvolgente che ragiona sui confini della rappresentazione scenica e cinematografica, che accoglie la forza dell’immaginazione. Un film un po’ melanconico di un periodo della giovinezza nel quale tutto può essere, ma che passerà. Queste consapevolezze aleggiano sui personaggi e ne risvegliano l’animo tipicamente americano.
Infine, c’è da dire che le vicende comiche e meno comiche dei protagonisti sono talmente travolgenti che verrebbe voglia di farne parte, di partecipare, con loro, a quella magia. Magia che forse sta proprio nella bellezza della finzione, nell’essenza della settima arte. Un gran bel film, dunque, che riscopre il significato di “cinema”.
Contributo a cura di Ignazio Cimino