Le vite che viviamo sono tutte diverse, eppure in qualche modo legate a quelle degli altri. È questo il più evidente insegnamento da trarre da Victoria Park, l’esordio di Gemma Reeves edito in Italia da Edizioni Atlantide. Il libro si presenta come una raccolta di racconti dedicata a personaggi che apparentemente hanno in comune solo il luogo di residenza, ma le cui esistenze invece finiscono per essere in qualche modo legate le une alle altre.
I racconti che compongono il libro sono dodici, ognuno dei quali dedicato a un mese dell’anno e a un protagonista diverso: la coppia che sta provando la fecondazione in vitro, il giovane rapinatore dalla vita difficile, i due anziani che affrontano la demenza senile di lei, la donna che assiste il figlio in coma. In comune, apparentemente, hanno solo il luogo in cui vivono, un parco londinese inizialmente popolare ora divenuto borghese. Eppure, gli abitanti di Victoria Park sono in qualche modo influenzati, anche quando solo sfiorati, dalle vite degli altri.
La costruzione della narrazione ricorda un po’ le serie antologiche, caratteristica che rende il libro adatto al panorama culturale contemporaneo. I fili che legano le esistenze di ogni personaggio permettono, in qualche modo, al lettore di immedesimarsi. Ognuno di noi vive la propria vita in funzione solo della stessa o, magari, in funzione di quella dei propri cari. Questo testo, invece, mostra che ogni storia ha tanti punti di vista, ogni vita è unica e allo stesso tempo mai sola, immersa com’è in questo infinito insieme di altre esistenze che la circondano.
I racconti si inoltrano nella quotidianità di personaggi molti diversi gli uni dagli altri, eppure la voce narrante si immerge perfettamente in quello che deve essere il punto di vista del personaggio. I protagonisti hanno background piuttosto differenti e affrontano problemi nei quali è difficile immedesimarsi se non li si è vissuti in prima persona. Eppure, l’autrice incarna perfettamente le voci di ognuno di loro in modo estremamente realistico, permettendo anche al lettore di immedesimarsi nelle storie senza alcuna fatica o stridore nel passaggio da un racconto all’altro.
È la naturalezza il suo punto di forza, quella con cui riesce a descrivere ogni dettaglio. I racconti sono composti da piccole e sporadiche fasi narrative o discorsive, e sono prevalentemente descrittivi. Ogni scena è raccontata talmente bene che sembra di vederla, come fosse un film, o di assistervi in prima persona, e la narrazione segue passo dopo passo tutto ciò che fanno i personaggi, cosa vedono, cosa sentono. La presenza delle descrizioni dettagliate, però, non rende il racconto noioso, anzi stimola nel lettore il desiderio di saperne di più. Queste sequenze sono spesso intervallate da frequenti flashback abilmente inseriti che non disturbano la narrazione e che anzi aiutano chi legge a comprendere la vera storia dei personaggi.
Ciò che si impara leggendo i racconti di Victoria Park è che le storie degli abitanti del quartiere sono in qualche modo intrecciate le une con le altre. Alcune da fili sottili e quasi invisibili che legano le esistenze di persone che si sfiorano soltanto e che sembrano non influenzarsi particolarmente. Altre, invece, condividono molto di più, si condizionano a vicenda e spesso hanno vissuto esperienze importanti insieme.
Ma forse l’aspetto migliore di questa raccolta di racconti è la quotidianità delle storie narrate. L’autrice non si sofferma su momenti di svolta della vita dei suoi personaggi. Racconta stralci di vita, momenti non necessariamente fondamentali, eppure esaustivi e rappresentativi di quello che devono aver vissuto per il resto del tempo. Ogni pezzo di storia, per quanto piccolo, ha un suo significato, porta da qualche parte, anche nei casi in cui apparentemente non porta a niente, e non è mai fine a se stesso. Come, realisticamente, è ogni momento della vita che, seppur banale, significa qualcosa per chi lo vive.