“Animalità” e alienazione: la società dei perenni conflitti dal Primo Quaderno
Il continuo successo dell’alienazione contemporanea, contro “l’animalità” dell’uomo e i suoi istinti naturali, è un processo irreversibile. Soggiogare l’istinto a rigide abitudini di ordine e omologazione è il doloroso calvario della modernità. Uomo macchina e uomo a servizio della macchina. Questi mutamenti di coercizione di massa vengono imposti crudelmente, ma con strategie subdole, oltre che malvagie.
La selezione degli uomini adatti al nuovo tipo di civiltà, cioè al nuovo tipo di lavoro, è avvenuta con inaudita brutalità, gettando nell’inferno delle sottoclassi i deboli, i refrattari.
Così anche le incessanti successioni delle crisi, pur mantenendo intatte prerogative peculiari di ciascuna di esse, sono in realtà dei meccanismi per accelerare la debolezza e l’alienazione di determinate classi sociali. Per ottenere una trasformazione al nuovo scenario che il potere vuole imporre, si esercita un’enorme pressione sulla società. Il primo risultato è una spinta a una sorta di ideologia “puritana”, che diventa volano di persuasione e consenso alla intrinseca coercizione. Il secondo risultato è che quando la pressione si spezza, palesando la crisi, si è pronti e anestetizzati per il suo superamento.
La guerra è un chiaro esempio di questa feroce messa in scena del potere che fa apparire inevitabili situazioni che viceversa ha essa stessa creato ad arte. Oppure, ad arte ha sfruttato. Il fanatismo crea quel clima di interventismo che azzera le intelligenze in un frullatore di sentimenti contorti e irrazionali: chi si farebbe ammazzare altrimenti? Naturalmente fomentare l’odio è prerogativa delle classi dominanti, mentre morire per quest’odio di quelle subalterne. Un sistema per il quale è indispensabile che parte della popolazione dipenda per i propri bisogni primari dal potere. Così non solo non si sottrae alla disciplina, ma crea un conformismo mentale talmente solido che anche vivere in una trincea alla lunga sembra normale. Quanto vivere attaccato a un macchinario dell’industria, con i bisogni fisici, ad esempio fare la pipì, regolamentati da rigidi intenti produttivi.
Una violenza dunque circolare perché “deprava” l’uomo in ogni aspetto della sua vita. Solo un’inflessibile regolamentazione di ogni istinto, anche quello sessuale, crea le premesse indispensabili ai nuovi modelli di vita e di lavoro che si vogliono imporre. Un rafforzamento della famiglia “in senso largo” fa parte di questa pianificazione ossessiva dei rapporti umani. Del resto, i fenomeni di deprivazione creano scontento e rivolta, mentre i meccanismi di stabilità, qualunque essa sia, creano sonnolenza e accettazione.
In questo scenario il fattore ideologico più depravante è l’illuminismo, la concezione “libertaria” connessa, però, soprattutto alle classi agiate e non manualmente produttive.
Si forma una situazione a doppio fondo, tra l’ideologia “verbale” che riconosce le nuove necessità e la pratica “animalesca” che impedisce ai corpi fisici di realmente acquisire le nuove abitudini.
Ecco il meccanismo della nevrosi di massa moderna: un continuo oscillare tra i sogni e i bisogni, tra i potrei ma non posso, i vorrei ma non posso, che ci fa supporre di essere liberi, ma che ci impone (auto-impone spontaneamente) di sospendere questa libertà per il tempo necessario a superare quella determinata situazione. Ma, guarda un po’, appena la superiamo se ne presenta una nuova. Un’atmosfera di generale ipocrisia che, con i suoi oscuri ingranaggi, spinge al totalitarismo. A varie forme di totalitarismo.
Come al solito, chi predica ogni virtù ne è completamente sprovvisto. Sono le masse che devono acquisirle, ma in forma di auto-disciplina. L’equilibrio misterioso di questo meccanismo si regge sulla perenne rottura del medesimo: quando le masse acquisiscono l’assetto adatto ad affrontare il nuovo ordine che è stato imposto loro, bisogna romperlo e ricominciare tutto daccapo. In caso contrario, pericolosi scenari di emancipazione potrebbero irrompere sulla scena e, in qualche modo, sovvertire l’ordine.
Solo una perenne tensione genera l’ansia collettiva, indispensabile al potere per legittimare il suo stesso esistere. Altrimenti, nascerà una qualche forma di bonapartismo, o ci sarà un’invasione straniera, cioè si creerà la condizione di una coazione esterna che faccia cessare d’autorità la crisi. Proviamo a pensare, in questa ottica, al rapporto Covid/guerra: sconvolgente.
Contributo a cura di Luca Musella