È passata inosservata, non ha fatto grande scalpore, eppure qualche settimana fa è stata approvata una legge che modifica la Costituzione italiana. La tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi è stata inserita nella Carta Costituzionale con due modifiche agli articoli 9 e 41, riconoscendo di fatto la problematicità del cambiamento climatico e la necessità di intraprendere azioni in grado di arrestarlo. Le conseguenze di questo cambiamento possono essere piccole o grandi a seconda di come esso verrà interpretato e come verranno affrontate le complessità che lo riguardano. Ma, indubbiamente, inserire la tutela dell’ambiente in Costituzione significa iniziare a considerarla un valore nel quale l’Italia si riconosce.
Si tratta, dunque, di un piccolo passo in avanti, di una dichiarazione ufficiale che riconosce l’importanza della tutela ambientale e, di conseguenza, condanna le scelte non ecosostenibili, l’inquinamento e tutte quelli micro azioni quotidiane che contribuiscono a danneggiare la salute degli ecosistemi e della biodiversità. Ma resta, inevitabilmente, qualcosa di formale. Ci è capitato spesso di sottolineare come i provvedimenti intrapresi per combattere il cambiamento climatico siano raramente pratici e realistici. La maggior parte delle volte, come accaduto negli ultimi anni con l’Accordo di Parigi, a dichiarazioni formali non seguono fatti volti a realizzare le promesse o gli obiettivi posti. Lo stesso obiettivo comune all’Unione Europea di mantenere la temperatura media al di sotto dei due gradi in più rispetto al livello preindustriale è difficile da garantire con gli scarsi provvedimenti presi finora.
Alle decisioni formali, alle dichiarazioni, devono necessariamente seguire azioni concrete. Questa necessità vale per tutti gli ambiti, ma per quello ambientale, più di tutti gli altri, di fatti non ne abbiamo visti granché, né in Italia né nel resto d’Europa. Dopotutto, la Costituzione italiana riconosce moltissimi valori fondativi, parla di moltissimi diritti che poi, nella realtà quotidiana, non sono sempre garantiti. Prevede, ad esempio, che nessuno subisca alcun tipo di discriminazione a causa di qualche caratteristica tipicamente escludente, eppure in quanto a razzismo, discriminazione di genere e omofobia non siamo messi troppo bene. Questo accade perché i principi vanno attuati tramite le leggi, le quali si rivelano spesso imperfette. Dunque, per quanto la novità delle ultime settimane rappresenti un passo avanti, non è detto che essa sia realmente garantita.
A questi limiti difficili da valicare, si aggiunge anche un’altra questione. La tutela ambientale ha una problematicità di fondo difficile da arginare: la sua genericità. Non esistono, infatti, parametri specifici che determinano cosa corrisponda effettivamente a tutela e cosa invece danneggi l’ambiente. Lo stesso inquinamento è definito come una perturbazione degli equilibri di un ecosistema, termini generici che non permettono sempre di tratteggiare una linea d’azione precisa. Dell’inquinamento possiamo vedere gli effetti, chiari nelle loro manifestazioni del cambiamento climatico. Vediamo la fine della biodiversità, gli eventi atmosferici estremi, la siccità, tutti quegli avvenimenti tangibili che insieme formano il climate change. Ma su cosa li causa vige ancora la tendenza alla vaghezza, la stessa che ha permesso le negazione del riscaldamento globale per molti anni.
Questo provvedimento, dunque, seppur di grande valore simbolico, da solo non basta. Soprattutto considerando che la grande approvazione che ha avuto in Camera e Senato contrasta con le decisioni che quegli stessi politici prendono quotidianamente in merito al tema ambientale. L’Italia − come gran parte dei Paesi europei − sta mancando gli obiettivi che si è posta per arrestare il cambiamento climatico. I provvedimenti messi in cantiere con il PNRR prevedono un avanzamento tecnologico di cui al momento non disponiamo e che non risolve granché. La nostra energia dipende ancora in gran parte dal gas naturale, motivo per cui la crisi politica in atto ha contribuito all’aumento delle bollette, che se avessimo investito in infrastrutture per l’energia rinnovabile adesso non sarebbe tale. Il nostro governo ha permesso alle aziende più inquinanti − da Eni che investe continuamente in combustibili fossili, a Suzuki e Costa Crociere che con le loro attività inquinano e contribuiscono al riscaldamento globale – di sponsorizzare il Festival di Sanremo, facendo un’azione di greenwashing. Insomma, la quasi unanimità con cui la modifica è passata risulta terribilmente incoerente con le azioni seriamente messe in atto dalla politica.
Sebbene l’introduzione della tutela dell’ambiente in Costituzione presenti numerose problematicità, però, la sua formulazione ha, fortunatamente, anche dei risvolti positivi che fanno ben sperare. La modifica all’articolo 41 è quella che, di fatto, riconosce la salute e la tutela dell’ambiente come elementi che non possono essere danneggiati dall’iniziativa economica. Quindi si stabilisce che nessun progetto di tipo remunerativo possa valere il prezzo del danneggiamento ambientale. Ma è la modifica all’articolo 9 a sollevare una questione fondamentale: quella dell’equità intergenerazionale. Si legge, infatti, che la Repubblica tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle generazioni future, riconoscendo di fatto che i danni ambientali avranno conseguenze su chi verrà dopo coloro che li hanno causati.
L’equità intergenerazionale è il principio secondo cui il pianeta va lasciato alle generazioni future in condizioni non peggiori rispetto a quelle in cui è stato ereditato. Significa anche che i giovani non devono avere meno opportunità o più problemi a causa delle scelte di chi li ha preceduti e da condizioni che dunque non dipendono da loro. Ed è questo l’aspetto fondamentale della novità costituzionale. La tutela ambientale è sempre stata in qualche modo sottovalutata, perché le conseguenze del cambiamento climatico non solo sono relativamente lontane nel tempo, e quindi in qualche modo rimandabili, ma anche e soprattutto perché non riguardano chi fa le leggi e chi prende le decisioni oggi.
Le rinunce che la tutela dell’ambiente comporta sono richieste alle generazioni più grandi per preservare la vita che ci sarà dopo di loro. E mentre i giovani subiscono e subiranno le conseguenze dello sviluppo economico dei loro nonni e genitori perpetrato a scapito della salute del pianeta, sono proprio quelli meno coinvolti nel dibattito che li riguarda in prima persona e che riguarda quanti verranno dopo. È per questo che, nonostante tutti i suoi limiti, nonostante l’evidente mancanza di una garanzia che i principi citati siano poi rispettati, la modifica costituzionale rappresenta una – seppur piccola – svolta. Perché riconosce le responsabilità delle azioni passate e presenti a chi se n’è sempre lavato un po’ le mani. E riconosce il diritto dei giovani di non subire le conseguenze delle azioni di qualcun altro.