La rielezione di Sergio Mattarella al Quirinale ha generato terremoti e crepe in quasi tutti gli schieramenti politici. In particolar modo, però, la conferma del Capo dello Stato eletto nel 2015 ha rovesciato il MoVimento 5 Stelle di Conte e Di Maio, facendo venire a galla tutte le divergenze tra i leader e le correnti a loro associate.
Il conflitto tra il Ministro degli Esteri e l’ex Premier covava già da tempo sotto il tappeto con cui il MoVimento cercava di nascondere tutta la polvere accumulata in questi quattro anni di una difficilissima legislatura e, nelle ore successive allo spoglio decisivo di sabato 29 gennaio, è rovinato oltre i bordi di contenimento, mostrandosi senza filtri alle telecamere.
Luigi Di Maio, fatta saltare l’ipotesi Elisabetta Belloni – caldeggiata da Conte –, ha criticato aspramente il quartier generale del suo partito, mentre l’avvocato degli italiani, senza perder tempo, rimandava al mittente le accuse. Ciò che ne è seguito è la cronaca dei giorni scorsi, ore che sanno di resa dei conti, un faccia a faccia tutt’altro che sgradito alle parti, che mirano alla conquista della leadership in vista delle elezioni politiche del 2023.
Di Maio da un lato, Conte dall’altro: stili, visioni, progetti diversi, opposti su quasi ogni fronte. Il primo, il giovane Ministro di Pomigliano d’Arco, profondamente cambiato dalla politica nei palazzi, tanto da sposarne, ormai, la linea più classica, moderata, europeista. Il secondo, il Premier divenuto celebre per i suoi messaggi in prima serata durante la fase più critica della pandemia, in cerca dell’anima radicale smarrita dal MoVimento e anche della propria essenza, ancora confuso sulle alleanze da coccolarsi, visto il recente ritorno di fiamma per Salvini e la Lega.
L’attuale capo politico dei grillini gode di buona stima tra i suoi e una nutrita fetta di parlamentari è pronta a sposarne l’idea, anche se dovesse portare all’espulsione del collega campano, dal momento che le correnti alternative alla linea comune, nel MoVimento, sono vietate. Epilogo, quest’ultimo, non impossibile, sebbene di difficile attuazione. Di Maio, che vede nel modello Draghi la composizione ideale del Parlamento, ha dalla sua diversi colleghi e mira a spodestare lo stesso leader sostenuto per oltre tre anni, unica strada – al momento – che sembra garantirgli una poltrona per il prossimo futuro.
Ma come si è giunti a questo clima di tensione? E, soprattutto, a cosa porterà? Dopo le elezioni del 2018, il MoVimento 5 Stelle si è trovato a dover fare i conti con la responsabilità di offrire risposte, non soltanto di alimentare la propaganda. La missione di trasformare le chiacchiere accese in dieci anni di piazze e piazzate si è da subito dimostrata molto più ostica del previsto e la doppia alleanza, con Salvini prima, con il PD poi, sta a testimonianza di quanto appena descritto. Aver ceduto a tutto ciò che aveva garantito ai pentastellati il 30% delle preferenze degli italiani, aver raggiunto un compromesso prima con quelli di mai con la Lega, poi con il partito di Bibbiano, ha cambiato il volto del MoVimento e ha allontanato tantissimi adepti.
Lo scoppio della pandemia, infine, ha sepolto ogni velleità dei grillini in tema di garanzia e onestà istituzionale, così le strategie hanno rimpiazzato gli ardori degli esordi, il trasformismo li ha plasmati sull’impronta di tutto quanto avevano aspramente criticato per oltre un decennio. Luigi Di Maio e Giuseppe Conte, oggi, sono il volto di questa crisi d’identità, l’opportunismo espresso nelle forme peggiori che la politica sa incoraggiare, tenersi il posto, diventare uno di loro – definitivamente – o cavalcare l’onda mai sazia del populismo e dei populisti. Qual è la strada?
Intanto, sabato scorso, mentre Sanremo cantava, il Ministro degli Esteri ha rotto gli indugi e ha presentato le dimissioni dal comitato di garanzia del MoVimento attraverso una lettera aperta a Conte e a Beppe Grillo. Di Maio lamenta quella stessa radicalità che l’ex Premier ricerca e che, anni fa, gli aveva consentito di crearsi una carriera politica dal nulla. Forse ammaliato dal sistema, Di Maio rivendica la possibilità di correnti discordi e mira alla continuità del progetto Draghi. Il quartier generale, però, non ci sta e non fa nulla per tenerlo nascosto.
«Un passo indietro giusto e dovuto, […] ha messo in grave difficoltà il partito. […] Adottati percorsi divisivi e personali». Sotto dettatura di Conte, il MoVimento rende pubblica la crisi interna e si affida all’avvocato che cerca vecchie/nuove alleanze con cui ristabilire il peso del suo gruppo. L’ipotesi che più affascina gli ancora affezionati seguaci di Grillo e compagni porta, inevitabilmente, ad Alessandro Di Battista, critico con l’ex compagno di viaggio e ben disposto nei riguardi del nuovo corso radicale voluto da Conte, tuttavia il recente tentativo di riavvicinamento con Salvini e la Lega getta ombre su un progetto che sembrava dover far da reggente di un asse democratico con il PD, proprio in contrasto al nazionalismo del Carroccio e del centrodestra.
Insomma, come già accaduto in passato, il MoVimento paga il suo voler essere tutto e non saper essere niente, la sua mancanza di progettualità e visione d’insieme, la totale incapacità di leggere le situazioni politiche e l’assenza di coraggio nel portare avanti la propria azione disturbante, ormai assorbita dalle logiche più scure della scena parlamentare italiana. Cosa significherà votare per il MoVimento? Cosa ci sarà da aspettarsi apponendo una X sul simbolo dei 5 Stelle? Qual è la visione politica in materia d’Europa, clima, ambiente, diritti, parità?
Troppe volte i grillini hanno cambiato bandiera, spostato le proprie poche idee a favore del vento che conveniva seguire. Un’identità è la prima cosa da costruire, la credibilità che lasci indietro il trasformismo e la sensazione di incompetenza che hanno accompagnato questi anni. Altrimenti, presto, le correnti discordanti non saranno soltanto un problema interno, ma ciò che tra la propria gente li spazzerà via. Così come li hanno creati.