Saudade, in portoghese [sawˈdadɨ], è una parola che proviene dalla cultura lusitana. Approssimativamente tradotta nelle varie lingue, l’etimologia del termine deriva dal latino solitùdo, solitudinis, che significa solitudine, e salutare, salutatione, che significa saluto; il saluto solitario. È un concetto che rivela una categoria dello spirito, un sentimento affine alla nostalgia, di qualcosa, spesso indefinito, che è assente e che prescinde dal tempo: un ricordo, uno spazio; è il desiderio di poterlo rivivere e di poterlo possedere.
Nella tradizione della Commedia, Dante indica l’ora del tramonto come quel momento della giornata in cui l’individuo viene maggiormente preso dalla necessità di raccogliersi in se stesso a pensare e viaggia per mete mistiche all’interno della sua mente.
Era già l’ora che volge il disio
ai navicanti e ‘ntenerisce il core
lo dì c’han detto ai dolci amici addio;
e che lo novo peregrin d’amore
punge, se ode squilla di lontano
che paia il giorno pianger che si more;
[Purgatorio VIII, Divina Commedia]
È proprio mentre cala il sole, quando una livida luce viola colpisce i vetri della cucina, che il personaggio principale di questo racconto, ancora adolescente, avverte per la prima volta un’inspiegabile sensazione di vuoto, che proverà a colmare, ma che lo accompagnerà per buona parte della sua vita.
La sartoria di Addis Abeba – libro di Massimo Venturiello pubblicato per la collana Échos narrativa di Ensemble – è la storia di un uomo alla ricerca delle proprie radici: quelle da cui a volte siamo costretti ad allontanarci per cercare fortuna altrove, le nostre origini, che lasciano un segno indelebile e non ci abbandonano mai per davvero, e quelle che tentiamo di piantare nel corso del nostro cammino.
Il protagonista – probabilmente alter ego dello stesso autore – riavvolge i fili della sua esistenza, evocando ricordi nascosti dietro alcuni oggetti fondamentali che porta sempre con sé ovunque egli vada: una fotografia, un mezzaluna di legno, un filo nero di pizzo, dei quaderni di appunti, un anello d’oro rosso. In un carosello di memorie, al lettore è passato il testimone dei momenti più significativi della sua vita, dall’infanzia all’incontro con il suo primo vero amore, sua moglie, e poi la separazione, la passione per un’altra donna e la difficoltà di essere un buon padre, l’infatuazione per l’arte, in modo particolare per il teatro. Il teatro è malattia e guarigione, come l’amore. Il teatro è amore, sua vera vocazione, che gli permette di potersi definire sempre vivo.
Recitare è per lui l’unico modo per esprimersi davvero. L’uomo-attore non è colui che imita una parte immaginaria, del tutto separata dalla sua persona e dalla realtà, al contrario prendendo le parti di un personaggio, attraverso la voce di un altro, riesce più facilmente a mettere in scena il suo mondo, tirando fuori la sua parte più vera e intima. L’intera vicenda sembra essere uno spettacolo, uno spaccato tra il passato e il presente, che ritrae un uomo deciso a mettersi a nudo nella sua totalità davanti a un pubblico, quello dei lettori, raccontando il bene, senza escludere il male, intervenendo in prima persona sulle sue virtù e sui suoi vizi, sui suoi successi e sulle sue debolezze.
In altre parole, la narrazione sembra prendere la forma di una confessione, di un testamento scritto: l’autore, offrendosi al lettore, cerca la propria espiazione, la libertà al proprio malessere, il senso del suo vissuto, una pace interiore a lungo desiderata.
La scrittura è frammentata, disordinata, scorre veloce e poi si ferma, presenta lacune e battute a più riprese, è fallace, proprio come fallace è la memoria, ma rappresenta – in questo caso – l’unico e il più efficace strumento per esprimere in maniera indelebile il proprio omaggio a un viaggio lungo una vita.
Forse impari a dominarlo, a tenerlo sotto controllo quell’impulso visionario, ma non potrai mai cancellarlo definitivamente, e tutto sommato, io dico meno male. Non è grazie a lui che nasce la spinta ad agire, il generale movimento delle cose? Non è grazie a questo impulso che riusciamo ad accettare la nostra permanenza su questa terra, a dare un senso a ciò che facciamo, un valore ai nostri progetti, ai sentimenti?
Contributo a cura di Martina Rizzo