Venerdì sera, mentre le agenzie, i siti dei maggiori quotidiani e l’informazione radiotelevisiva erano intenti a seguire in trepidante attesa se il condannato per frode fiscale Silvio Berlusconi avesse sciolto la riserva sulla sua candidatura alla più alta carica dello Stato, l’aeroporto Leonardo da Vinci della Capitale si è illuminato del sorriso di Mustafa e della gioia del suo papà, della mamma e delle due sorelline giunti in Italia con un volo da Istanbul.
Lo scorso anno, il piccolo Mustafa El Nezzel, nato senza arti, e il padre Munzir, mutilato, vittime entrambi dei bombardamenti della guerra maledetta che in Siria ha provocato oltre 384mila morti e circa undici milioni di profughi, erano stati immortalati nella foto-simbolo Hardship of Life (La difficoltà della vita) del fotografo turco Mehmet Aslan, vincitrice del prestigioso Siena International Photo Awards (SIPA) 2021, che ha fatto il giro del mondo imponendosi su un’informazione occupata prevalentemente nel conteggio di morti e contagiati di una parte del pianeta – nonostante vaccini sufficienti a contrastare la pandemia – ma ignorante l’altra consistente parte i cui contatori della morte non si sono mai fermati a causa di malattie, guerre, mancanza di cibo e sieri vaccinali.
Dalla Siria, terra della peggiore crisi umanitaria dal dopoguerra, con bambini che muoiono di fame e di freddo, la famiglia di Mustafa è stata accolta a Siena su iniziativa della Caritas locale e sia il piccolo che il suo papà saranno sottoposti a cure mediche di lungo termine presso il Centro Protesi Vigorso di Budrio, a Bologna. Uno spaccato di umanità in un mondo dove i numeri della finanza travolgono quelli delle troppe vittime di violenza, mentre aumenta la produzione di armi, che il SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute) ha stimato in un incremento di oltre 75 miliardi di euro. Solo negli ultimi cinque anni, il 40% delle armi importate è stato prodotto negli USA – di cui il 24% acquistato dall’Arabia Saudita –, seguiti dalla Russia, secondo Paese esportatore al mondo.
Di queste armi micidiali, sei anni fa una potente bomba fu lanciata sul mercato di una città siriana al confine con la Turchia da un caccia del regime di Bashar al-Assad colpendo anche i genitori del piccolo Mustafa, ancora in grembo, che subì danni irreversibili che lo portarono alla nascita senza alcun arto. Quella foto realizzata nell’aprile scorso da Mehmet Aslan, dunque, è riuscita in un solo scatto a cogliere il dramma di un popolo, di intere famiglie vittime della violenza omicida e degli interessi dei Paesi dove la parola pace riempie le bocche dei maggiori leader e l’inutilità delle azioni ONU, nel mentre le fabbriche di armi continuano a lavorare a pieno ritmo.
Recentemente, un altro fotografo, Tamer Turkmane, oppositore del regime di Assad che vive in Turchia, ha raccontato al Corriere della Sera che da alcuni anni è impegnato a dare un volto alle vittime delle atrocità della guerra in Siria raccogliendo fino a oggi 185mila nominativi e di circa la metà anche le foto, in risposta alle Nazioni Unite che hanno smesso di contare le vittime civili.
Il sorriso di Mustafa che ha illuminato venerdì l’aeroporto di Roma, il saluto continuo e gioioso a chiunque incrociasse lungo il tragitto dall’aereo all’uscita, porta alla mente quello spento definitivamente, dal 2011 al 2017, ai 32mila bambini che non ce l’hanno fatta, alle 18mila donne, ai 49mila uomini secondo i dati delle vittime identificate dall’Osservatorio per i diritti umani di Londra.
Ma una parte del mondo non sembra interessarsi di guerre, fame, esodi biblici di interi popoli perseguitati che scappano in cerca di una terra dove poter esistere e null’altro: altri numeri costituiscono la priorità di un sistema impietoso nei confronti di quella parte di mondo ma anche di questa, all’interno di Paesi del benessere, dove si generano disparità, disuguaglianze e nuove povertà che la pandemia ha aumentato a causa di scelte scellerate e politiche tappabuchi prive di qualsiasi prospettiva futura.
Le braccia aperte dell’accoglienza alla famiglia di Mustafa a opera di un’organizzazione umanitaria che opera nella solidarietà, gli aiuti concreti quotidiani a quanti italiani e stranieri necessitano di sostegno e le tante ONG che operano nel mondo sono la risposta all’incapacità dei governi di attuare politiche dell’immigrazione e accoglienze che rispettino la dignità delle persone, non relegandole in centri più simili a lager anziché a sistemazioni civili che dovrebbero essere di breve permanenza.
Quante lacrime, compreso quelle di chi scrive, guardando le immagini della famiglia siriana giunta in Italia e quanta intolleranza e insofferenza a ogni sbarco, a ogni visione di uomini, donne e bambini sulle nostre coste, nelle nostre città, nelle nostre scuole, sui luoghi di lavoro e in quelli di svago.
Commozione e intolleranza, lacrime e insofferenza, verità e ipocrisia, pronti ad accettare il peggio del peggio nelle nostre istituzioni: truffatori, bugiardi e pregiudicati, pronti a puntare il dito verso chiunque costituisca un elemento di diversità, certamente preferibile a quella di natura morale e penale dei soggetti della politica nostrana squallida e dei loro complici sostenitori.