Contraria al referendum costituzionale per la riduzione dei parlamentari, nonché al DL Scuola, e accusata di restituire al Microcredito anziché sul conto gestito dal comitato restituzioni del MoVimento 5 Stelle parte degli emolumenti stabiliti, Rina Valeria de Lorenzo, deputata eletta nelle file pentastellate nel marzo del 2018 – l’anno del boom dei consensi, quel 32.6% oggi stimato poco più del 14% con una pattuglia parlamentare ridotta di 101 unità –, siede oggi tra i banchi di LeU.
Componente della XI Commissione Lavoro Pubblico e Privato, è particolarmente impegnata in questi giorni per la vicenda della Leonardo Divisione Aerostrutture la cui direzione è ricorsa alla cassa integrazione ordinaria a zero ore presso alcuni stabilimenti del Mezzogiorno che interessa 3400 lavoratori. Le abbiamo rivolto alcune domande sulle imminenti elezioni del Capo dello Stato, sulle eventuali elezioni anticipate e sul M5S precedente forza politica di riferimento.
Nel Paese del perenne clima elettorale, anche la prossima nomina del Capo dello Stato sembra essere entrata già da tempo in una competizione sponsorizzata da alcuni leader politici certamente non nuovi a iniziative che potrebbero portare a elezioni anticipate. Quale il Suo parere?
«La campagna per le presidenziali è partita con un anticipo irrefrenabile mentre impazza il toto-nomi che non mi appassiona perché la scelta avverrà in Parlamento con la massima condivisione delle forze politiche, al netto dei franchi tiratori. Tutto questo accade mentre il governo Draghi sta affrontando due priorità: pandemia e piano economico di ripresa. L’emergenza Covid è stata affrontata con rigore e pragmatismo, ma l’avversario non è ancora del tutto sconfitto. Quanto al Recovery Fund, il nostro Paese ha mostrato al mondo credibilità e solidità come non accadeva da decenni. Questa la fotografia del momento a cui fa da sfondo una campagna elettorale permanente in cui prevale l’idea eremitica della primazia dell’interesse individuale sulla buona politica che ha cuore il benessere dell’intera comunità».
A proposito di Capo dello Stato, a Suo parere conta preferire una donna per la più alta carica dello Stato o forse sarebbe più opportuno dare priorità a una figura autorevole di provata esperienza politica indipendentemente se uomo o donna?
«Il richiamo a una donna ha aggiunto suspense a un’elezione che da sempre muove grande interesse. In Italia si parla di donne ai vertici in modo indistinto senza nome né curriculum, quasi a voler mescolare le carte in gioco in una maggioranza unita dall’emergenza Covid. Mi sembra un’offesa, l’ennesima alle tante donne che in politica si sono distinte per competenza, doti di concretezza e capacità di fare squadra. Nel Paese con la Costituzione più bella del mondo c’è ancora una diffidenza antica quanto ingiustificata verso le donne: la politica è femminile, ma il potere resta ancora appannaggio maschile. Nella storia della Repubblica abbiamo avuto grandi donne, dalla Anselmi a Nilde Iotti, tuttavia temo che non siamo ancora pronti per rompere il soffitto di cristallo».
Ritiene realizzabile l’ipotesi Berlusconi al Quirinale?
«Il Presidente della Repubblica è garante della Costituzione e Berlusconi l’ha violata sia prima che dopo il suo ingresso in politica facendo strame dei principi fondanti della nostra democrazia: dignità delle donne, legalità, uguaglianza, disciplina e onore. È stato espulso dal Senato, interdetto dai pubblici uffici. Con questo profilo un qualunque cittadino non può nemmeno partecipare a un concorso pubblico.
La sua candidatura al Quirinale è improponibile».
Nell’eventualità di elezioni anticipate, ancora una volta la sinistra potrebbe presentarsi frammentata, anche tenuto conto del tandem PD-M5S che potrebbe non favorire un accordo tra le varie componenti di ciò che della sinistra resta. Quale, secondo Lei, la strategia migliore per arginare un’eventuale avanzata del centrodestra e quale sarà quella di Liberi e Uguali?
«La sinistra deve fare autocritica, senza preoccuparsi della lesa maestà, e contemporaneamente guardare al futuro con slancio e senso di responsabilità mettendo al centro la lotta alle diseguaglianze, i giovani e il lavoro, la scuola e la sanità territoriale da ricostruire dopo decenni di tagli indiscriminati, l’evasione fiscale e la marginalizzazione. Senza dimenticare ciò che di buono è stato fatto, è necessario affrontare la questione meridionale: un Mezzogiorno che può diventare piattaforma logistica del Mediterraneo grazie alla realizzazione di infrastrutture.
La sinistra deve tornare a farsi promotrice delle battaglie sociali evitando le “sirene” della disintermediazione che hanno fatto gridare allo scandalo in occasione dello sciopero del 16 dicembre come se le manifestazioni di piazza fossero un inutile orpello della democrazia. Vorrei una sinistra che non fosse partito del Nord ma guardasse alla realtà drammatica di ventuno milioni di abitanti costretti a emigrare per conservare la dignità. Gli investimenti del Recovery Plan sono l’occasione straordinaria per realizzare quella unificazione economica del Paese dopo quella politica del 1860. Per questo serve la politica di sinistra, per un’azione collettiva che sia alternativa credibile contro la retorica violenta, populista e antieuropeista cavalcata dalle destre. Difficile credere che alle prossime elezioni la destra produrrà un fronte unitario: lo si vede nella mancanza di una volontà comune di appoggiare la candidatura di Berlusconi, nell’incapacità di Salvini di organizzare in Europa un gruppo capace di riunire le forze di destra, nella ambiguità della Meloni durante la gestione della crisi sanitaria. Occorre rimettere in moto la capacità di pensare della sinistra, operare scelte coraggiose e restituire fiducia a milioni di italiani che hanno perso la speranza. Occorre non essere “indifferenti”, per citare Gramsci».
Il M5S, Sua precedente forza politica di riferimento, dopo il disastroso accordo con la Lega di Salvini, sembra non poter fare a meno del patto di ferro stretto con l’ex tanto odiato Partito Democratico per cercare di arginare l’ulteriore emorragia di consensi. Basteranno questo accordo e la leadership di Giuseppe Conte a recuperare la fiducia da parte degli elettori?
«In questi anni, il MoVimento 5 Stelle ha cambiato fisionomia contraddistinguendosi per una flessibilità ideologica che ha determinato un comportamento ondivago e incerto: l’ultima lapidaria regola del doppio mandato sembra essere superata attraverso escamotage linguistici che abbatteranno l’ennesimo totem. Il Vaffa Day sembra ormai lontano e il linguaggio rancoroso dell’odio e dell’invidia sociale sono solo un triste ricordo. I dissacratori della democrazia rappresentativa ne hanno condiviso la liturgia riconoscendo i limiti della democrazia elettronica del web che non ha cittadinanza nella Costituzione. Non si può blandire il potere per poi dissociarsene: una forza di governo ha la responsabilità politica di partecipare al gioco democratico attenuando quei sentimenti di antipolitica che sono sempre sottotraccia e rischiano di favorire fratture, divaricazioni, strappi sociali. Questo il percorso da seguire per ogni partito che voglia costruire il consenso creando l’ordine dal caos di una moltitudine di elettori, come scriveva James Bryce nel 1921».
È inevitabile che Le chieda il Suo parere sul nuovo corso del MoVimento, o perlomeno quello che dovrebbe essere quello tracciato dall’ex Presidente del Consiglio. Quale futuro secondo Lei?
«La vittoria del MoVimento 5 Stelle alle elezioni politiche del 2018 ha trovato terreno fertile nella profonda crisi economica e morale degli ultimi decenni. Ma dal 2018 a oggi sono venute meno molte promesse con la conseguente emorragia di consensi. Solo il passaggio a una reale democrazia interna, l’abbandono del “cesarismo”, la condivisione delle scelte con i parlamentari nello stile di leadership pacata, moderata e riflessiva dell’attuale corso politico potranno evitare ulteriori fibrillazioni interne. Il MoVimento 5 Stelle dovrà affrontare sfide e scelte complicate conciliando le pur condivisibili tematiche del passato, a cominciare dall’ambiente, con l’esperienza di governo maturata in questi anni».