Che cosa fareste se a un certo punto vi dicessero che l’intera umanità verrà presto sterminata da un’enorme cometa diretta proprio verso la Terra? Questa è la domanda a cui ha cercato di rispondere Adam McKay con il suo attesissimo Don’t Look Up, commedia fantascientifica del 2021.
Il film si è schiantato violentemente prima in sala, l’8 dicembre, e poi, nel giorno della Vigilia di Natale, su Sua Maestà Netflix, il cui logo troneggia indiscusso fin dai primi frame. Una soluzione, quella di coniugare una distribuzione limitata al cinema e una su una piattaforma streaming, sempre più in voga, un po’ come è successo recentemente con. È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino.
Senza ombra di dubbio, ciò che dal primo trailer ha alimentato l’hype di pubblico e critica è stato il cast da pelle d’oca scelto da McKay. Performer del calibro di Leonardo DiCaprio, Jennifer Lawrence, Meryl Streep, Cate Blanchett, Jonah Hill, Rob Morgan, Mark Rylance, Ron Perlman, Timothée Chalamet e addirittura un piccolo ma esilarante contributo di Ariana Grande.
Cosa dire di questa pellicola? Da dove cominciare? Possiamo iniziare col dire che si tratta, probabilmente, di una delle migliori pellicole di quest’anno e forse l’apice artistico di Adam McKay, il quale aveva già dato prove schiaccianti delle sue grandiose doti registiche e da sceneggiatori con i precedenti Anchorman 1 e 2 (2004 e 2013), La grande scommessa (2015) e Vice – L’uomo nell’ombra (2018). Film che oscillavano tra drammatico e satirico, muovendo pesanti critiche alla società contemporanea, in particolare quella statunitense. E Don’t Look Up ne è la summa. Basti soffermarsi sulla tag-line iniziale – basato su fatti realmente possibili – per provare a immaginare a cosa si sta per andare incontro. Il tema scelto da McKay è quello tra i più visti in prodotti fantascientifici: l’apocalisse.
DiCaprio e la Lawrence vestono i panni del Dottor Randall Mindy e della dottoranda in astronomia Kate Dibiasky, sconvolti dall’aver appena scoperto l’esistenza di una cometa non identificata. Dopo averne calcolato la traiettoria, i due si rendono conto che l’asteroide colpirà la Terra e, in un tempo di circa sei mesi, qualunque forma di vita sul pianeta verrà disintegrata. C’è bisogno di agire tempestivamente, comunicare con il Presidente degli Stati Uniti, gestire i media, i civili e compiere ogni sforzo possibile per la salvezza dell’umanità. Ma, come avrete sospettato, non sarà affatto facile.
Se c’è una cosa che Adam McKay sa fare, e anche piuttosto bene, è giocare con lo spettatore e con le sue emozioni, proponendogli pellicole divertenti e dissacranti e allo stesso tempo profondamente spiazzanti, angoscianti per il realismo rivelato. Don’t Look Up è lo specchio di una società, anzi di un’umanità malsana, instupidita, masochista. È lo specchio dell’avidità e della sete di potere, del gregge e di chi non è più in grado di distinguere quali sono le priorità della vita. McKay sceglie una determinata circostanza per poi portarla alle estreme conseguenze, vomitando addosso allo spettatore tutte le verità che la gente non vuole o fa finta di non vedere e lo fa utilizzando una delle armi cinematografiche più potenti e preziose: il grottesco.
La maggior parte dei personaggi è volutamente sopra le righe ma questa dimensione surreale non genera spaesamento o ridicolaggine, bensì ilarità mescolata a malessere. A cominciare da Meryl Streep, iconica come al solito, nel ruolo di una caricaturale Presidentessa USA, più preoccupata per gli scandali e per la campagna elettorale che per la fine del mondo. Una feroce critica è mossa anche (e nuovamente) al becero e corrotto giornalismo statunitense con Cate Blanchett e Tyler Perry, dimostrando, inoltre, come faccia molta più gola e audience la notizia della rottura tra una cantante pop e il suo fidanzato rapper. Ariana Grande interpreta infatti semplicemente se stessa, o meglio, la parodia della popstar un po’ svampita e superficiale, in fissa con i social ed è anche piuttosto brava. Personaggio parodia tra Steve Jobs ed Elon Musk è Mark Rylance, leader di un’azienda di alta tecnologia, il quale strizza l’occhio a come i super imprenditori e finanziatori riescano a esercitare una potente influenza persino sulle decisioni governative. Timothée Chalamet è ormai la tassa imposta del cinema contemporaneo ma dove lo metti è sempre bravo, quindi nulla da dire.
L’occhio di bue è però puntato su Leonardo DiCaprio e Jennifer Lawrence, eccelsi e dall’enorme feeling, perfetti nell’interpretazione di due scienziati che vengono improvvisamente catapultati in una realtà che non è la loro, sotto i riflettori e in pasto alle belve. Se DiCaprio, astronomo chiuso e un po’ ingenuo, si ritrova fagocitato da qualcosa che sembra essere più grande di lui, la Lawrence mette in scena tutta la frustrazione e la rabbia di chi è sola a battersi contro i mulini a vento.
E che cos’è la cometa in picchiata se non un pretesto per parlare della nostra società contemporanea e delle macchinazioni politiche, economiche e psicologiche che subentrano di fronte a uno stato di emergenza improvviso? Una pandemia globale, ad esempio? Sebbene il Covid-19 abbia stravolto il mondo e causato milioni di morti, c’è ancora tanta gente che sostiene sia tutta un’invenzione dei poteri forti, che i vaccini non servano a nulla e che contengano al loro interno sostanze per il controllo della mente umana. Negazionismi e complottismi sono all’ordine del giorno, anche di fronte all’oggettività, all’evidenza scientifica, colpa di una grave distorsione di informazioni, dell’uso improprio di internet, dei social e delle fake news, alcune delle quali basterebbe davvero poca attenzione in più per screditarle. Una società dove il concetto di libertà di espressione è diventato libertà di fare e dire qualsiasi cosa senza il timore di conseguenze.
La regia di McKay è come al solito impeccabile, senza particolari virtuosismi ma pulita e diretta, così come la fotografia, sebbene sia la sceneggiatura a primeggiare. Potrebbe esistere senza problemi uno spin-off per ogni personaggio, tanto accurate sono le caratterizzazioni. E che dire dei dialoghi, se non che il più delle volte rasentano l’epicità indiscussa (basti pensare alla sola scena con Ron Perlman o al monologo di DiCaprio). Due ore e un quarto circa di pura estasi e sofferenza in egual misura. E, mi raccomando, non perdetevi le due scene durante e dopo i titoli di coda. Don’t Look Up è un disaster movie mai così attuale, una satira sagace e profonda, riflesso della società del paradosso. Il tutto riassumibile nella metafora degli snack… chi ha visto il film capirà.