Lockdown, mascherine, coprifuoco, zone rosse, tamponi, vaccini, green pass: sono due anni che determinano il quotidiano di 60 milioni di abitanti, due anni di vita stravolta, stracciata, persa. Due anni di rinunce e colpevolizzazione. Eppure, tutto ciò sembra non interessare a nessuno che non sia chi certe misure le subisce senza colpo ferire, in più aggravato dal senso di responsabilità che non riesce a zittire in favore dell’istinto che reclama la sua libertà.
Accettare di sottoporsi al vaccino contro il Covid-19 è un gesto di responsabilità civica, ancor prima che sanitaria. Ce l’hanno venduta così la campagna di vaccinazione per fronteggiare l’epidemia da coronavirus, eppure, a un anno dalla somministrazione della primissima dose – il 27 dicembre scorso –, il richiamo alla coscienziosità sembra dover interessare sempre e soltanto la popolazione, mai la politica.
Tra campagne di comunicazione ambigue, talvolta completamente sbagliate, proclamazioni e allarmismi diramati – entrambi – con troppa fretta, le istituzioni italiane hanno dato prova della loro inadeguatezza, in particolar modo per ciò che riguarda il rapporto di fiducia ed empatia con la cittadinanza. Chissà, forse ha ragione chi afferma che i tanti privilegi e gli stipendi dorati contribuiscono a uno scollamento con una realtà che, ormai, non appartiene più loro, sta di fatto che i rappresentanti delle forze politiche del Paese continuano a usare l’immenso potere che la pandemia ha riversato nelle loro mani senza tener conto delle necessità delle persone di cui hanno la responsabilità.
L’Italia è anche il Paese europeo che meglio ha risposto al richiamo della campagna vaccinale, non certo a cuor leggero, ma spinto proprio da quel senso di giudizio di cui sopra e da una non più trascurabile voglia di tornare alla normalità. L’87% degli italiani, da Nord a Sud, ha unito uno Stato lacerato da divisioni politiche e sociali nel nome della fiducia negli altri e nel domani, eppure la politica ha continuato, imperterrita, a non badarvi, adoperandosi in scelte e misure che alimentano diffidenza e malcontento.
Una dose, due dosi, ora persino tre in cinque mesi. È il costo della libertà, comprata al caro prezzo della paura. Chi scrive aveva lanciato l’allarme già tempo fa: non sono le limitazioni a dar noia né l’ipotesi del ricorso al vaccino come elemento di salvaguardia, ma l’utilizzo della pandemia e dei suoi strumenti – come il green pass – per determinare della vita delle persone, per ricattarle.
Si legge ogni giorno di nuove strette, della riduzione della validità del lasciapassare vaccinale da un anno a soli nove mesi, ora in ipotesi di ridimensionamento fino a sette, forse anche a cinque, pur trattandosi di decisioni non completamente sostenute da un’adeguata giustificazione scientifica, che continua ad affermare la validità della copertura vaccinale oltre l’80% contro le forme gravi della malattia anche con le prime due somministrazioni previste. La terza dose come unico semaforo verde persino per andare a scuola, per lavorare. Perché? Perché imporre se e persino quando?
Quel che lascia sgomenti, poi, è la totale improduttività su qualsiasi altro fronte, come nell’accesso a trasporti sempre più affollati e senza l’ombra di un controllo. Lo Stato che chiede, anzi ricatta, senza dimostrare di sapersi attivare in favore di nuove soluzioni, come di un obbligo vaccinale che – stando alle spiegazioni dei tanti scienziati che occupano le tv – scoraggerebbe il sorgere di nuove varianti.
Ad aggravare questo clima insopportabile, inoltre, continua il manifestarsi di personalismi locali, nei quali i rappresentanti delle città e delle Regioni hanno dimostrato – sin dallo scoppio dell’emergenza – di trovarsi completamente a loro agio. Sindaci e Presidenti auto-investitisi della corona, dello scettro del potere anche oltre ogni legge e buonsenso, arroganti e volgari solo perché in possesso del mandato popolare.
Come in Campania, dove il prezzo da pagare alla vita è più alto. Da sempre. Che si tratti di diritti e servizi da rivendicare o, come in questo caso, di misure contenitive a cui sottoporsi, nella regione più rappresentativa del Sud Italia il costo dovuto al padrone è determinato soltanto dall’oligarca, dallo sceriffo Vincenzo De Luca, che tra offese e toni da locanda, imperversa nell’unica legge in vigore nella propria contea: la sua.
Laddove lo strumento del green pass era stato varato per consentire a quella larghissima fetta di popolazione responsabile di affacciarsi a un ritorno alla normalità tanto sofferta, il Governatore di sede a Palazzo Santa Lucia ha deciso che per le prossime feste non vi sarà differenza: tutti puniti, tutti sotto il controllo della sua leadership, senza distinzione, vaccinati e non, vietato ogni raggruppamento anche nei locali, che si tratti di lauree, compleanni, Natale. Persino bere una Coca-Cola passeggiando per strada basterà a trattare un cittadino giudizioso alla stregua di un criminale.
Quale migliore spot per i no vax, per gli scettici recatisi agli hub vaccinali nella sola speranza di conquistare una vita normale e, invece, discriminati come chi – in tutta (in)coscienza – ha scelto di non sottoporsi alla siringa americana che tutto può, già messa in difficoltà dall’incremento dei casi e dalla diffusione della nuova variante.
L’onnipotenza di De Luca – e di chi come lui adopera la pandemia per dimostrare potere – è uno schiaffo ai sacrifici e alla disperazione patita in questi due anni, a tutte le occasioni d’abbraccio a cui si è rinunciato volontariamente. È persino un disincentivo a credere proprio nelle istituzioni, nel senso di protezione e salvaguardia che dovrebbero ai cittadini. E alla stessa maniera sono da considerarsi i continui ripensamenti su vaccini, dosi e tamponi del Governo.
Repetita iuvant: non sono le limitazioni o i sacrifici a dar noia, e l’Italia ha dimostrato più di ogni altra nazione di saper rispondere con grande senso del dovere e della comunità. Sono queste forme di soft dittatura a sfibrare l’animo anche di chi – come noi – si schiera sempre dalla parte della democrazia e dell’unità. Un Paese modello green pass è un Paese che non ci piace, è un Paese che discrimina e genera mostri, che contrappone i propri abitanti mentre i suoi governanti guardano tutti dall’alto. È un Paese che non sa dimostrarsi affidabile, e forse neppure più libero.
E questo dubbio è il peggiore dei virus.