Il 9 dicembre 2021, si è spenta a Roma quella che ricorderemo come una grande donna e una tra le migliori registe italiane di tutti i tempi: Lina Wertmüller. Aveva 93 anni e un primato non da poco: è stata la prima regista a essere candidata agli Oscar nel 1977. Artista senza pari, Lina mosse i primi passi verso una brillante carriera all’età di diciassette anni, quando si iscrisse all’Accademia d’arte drammatica diretta da Pietro Sharoff. Dopo un primo esordio sul grande schermo come aiuto regista di Federico Fellini, nelle iconiche pellicole La dolce vita (1960) e 8 ½ (1963), nel 1963 debuttò come regista a tutti gli effetti con I basilischi, girato tra la Puglia e la Basilicata, a Minervino Murge, di cui curò anche soggetto e sceneggiatura.
Ma il suo successo esplose con l’incontro e la collaborazione con Giancarlo Giannini, attore che reciterà nella maggior parte dei suoi maggiori capolavori. Come Mimì metallurgico ferito nell’onore (1972), presentato in concorso al 25º Festival di Cannes, la storia di un manovale catanese fortemente di sinistra, costretto a emigrare a Torino dopo aver perso il proprio posto di lavoro per questioni politiche. O ancora come Film d’amore e d’anarchia – Ovvero Stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza…, del 1973, che a Cannes valse a Giannini il premio per la migliore interpretazione maschile. La Wertmüller si distingueva per la capacità di produrre opere sotto forma di commedia, dai toni però amari e pungenti, leggere ed estremamente intelligenti.
Tra i suoi lungometraggi entrati di diritto nella storia del cinema italiano e non solo, impossibile non citare Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare di agosto (1974), con la coppia ormai collaudata Giancarlo Giannini e Mariangela Melato. Lei nei panni di una ricca borghese anticomunista, a bordo del suo lussuoso yacht in mezzo al mar Mediterraneo, e lui, umile e insofferente marinaio siciliano, di ideali comunisti. I due saranno costretti a confrontarsi per via di cause di forza maggiore, portando a galla debolezze e contraddizioni.
Poi, l’anno successivo, la Wertmüller portò sullo schermo il film che diverrà il suo biglietto in prima classe per gli Academy Awards. Parliamo di Pasqualino Settebellezze, sempre con Giannini ma stavolta nei panni di Pasqualino Frafuso, soprannominato Settebello – per la presenza di sette donne in famiglia – il quale tenterà di farsi strada nella società, nella Napoli tra gli anni Trenta e Quaranta. La pellicola ottenne un’enorme notorietà anche nel mercato cinematografico statunitense, tanto da essere candidata a ben quattro Premi Oscar nel 1977: miglior regia, miglior film in lingua straniera, miglior attore protagonista e migliore sceneggiatura originale. Quella miglior regia consegnerà a Lina un posto nella storia poiché, per la prima volta, una donna ricevette tale candidatura. Lei, che aveva dovuto sgomitare in un mondo totalmente al maschile ed era diventata esempio di perseveranza. Negli anni, la seguirono solo Jane Campion (1994), Sofia Coppola (2004), Kathryn Bigelow (2010, la prima regista a vincerlo), Greta Gerwig (2018), Emerald Fennell e Chloé Zhao (2021).
«Ho sempre scelto di fare quello che mi piaceva» disse in un’intervista, quando le venne chiesto se avesse avuto problemi dietro la macchina da presa, in quanto donna. «Non si può fare questo lavoro perché si è uomo o perché si è donna. Lo si fa perché si ha talento».
Tanti sono i premi e le onorificenze ricevute nel corso della sua lunga e densa vita – nel 2010 le fu conferito il David di Donatello alla carriera e nel 2015 la cittadinanza onoraria della città di Napoli dal Sindaco Luigi de Magistris – arrivando ad aggiudicarsi addirittura una stella sulla Walk of Fame, al 7065 di Hollywood Boulevard, nel 2019.
Nel 1992 diresse Io speriamo che me la cavo, tratto dal libro di Marcello D’Orta, dove vediamo Isa Danieli e Paolo Villaggio nel ruolo del carismatico maestro di scuola elementare. Un film oggi ritenuto un cult, spiritoso e poetico al tempo stesso. Il suo prezioso contributo riguardò, però, non soltanto il mondo cinematografico ma anche quello televisivo. Fu infatti autrice e regista della prima edizione di Canzonissima e del celebre sceneggiato TV Il giornalino di Gian Burrasca (1964-1965), di 8 episodi, con una giovanissima Rita Pavone nel ruolo del pestifero protagonista. Un’artista a tutto tondo che si è saputa destreggiare tra cinema, TV, teatro, senza lasciarsi sfuggire mai nulla, neppure il doppiaggio. Ce la ricordiamo tutti nonna Fa in Mulan (1998) e il suo iconico «Arruolami per la prossima guerra!» dopo aver visto l’aitante Li Shang.
E, sebbene l’ultimo film, Peperoni ripieni e pesci in faccia (2004), non si annoveri tra le sue opere migliori, l’intera carriera di Lina Wertmüller (vero nome, Arcangela Felice Assunta Wertmüller von Elgg Spanol von Braueich, perfettamente coerente con i lunghissimi e astrusi titoli dei suoi film) lascia un segno indelebile nel panorama cinematografico.
Attraverso talento, dedizione e coraggio, ha saputo affrontare temi non facili, quali terrorismo, guerra, immigrazione, politica. Ha indagato senza mezzi termini la società italiana, le lotte di classe e le controversie politiche, combinando abilmente satira e sapiente ironia. Oggi Lina non c’è più eppure la sua voce è viva e possente più che mai. Appena l’anno scorso le fu assegnato l’Oscar alla carriera, premio di cui fu onoratissima. Le motivazioni furono per il suo provocatorio scardinare con coraggio le regole politiche e sociali attraverso la sua arma preferita: la cinepresa.