Pochi giorni fa, la Commissione Giustizia ha approvato il testo base per la modifica dell’articolo 4 bis della legge sull’ordinamento penitenziario per modificare il relativo regime dell’ergastolo ostativo. Il testo approvato sostituisce due disegni di legge che erano stati presentati sul tema nelle scorse settimane: quello del MoVimento 5 Stelle, a firma Vittorio Ferraresi – le cui disposizioni sono state in parte utilizzate per il testo di cui parliamo – e quello di Fratelli D’Italia, l’unico partito a non aver espresso voto favorevole in Commissione Giustizia e che ha accompagnato alla sua proposta la modifica dell’articolo 27 della Costituzione.
La necessità di intervenire sul tema è frutto dell’ordinanza n.97 del 2021 della Corte Costituzionale che sanciva l’illegittimità dell’articolo 4 bis o.p. per violazione della Costituzione nella parte in cui fa della collaborazione con la giustizia l’unico strumento a disposizione del condannato per essere ammesso alla liberazione condizionale. In quell’occasione, tuttavia, la Corte precisò che l’accoglimento immediato delle questioni avrebbe rischiato di inserirsi in modo inadeguato nel sistema di contrasto alla criminalità organizzata. Dunque, assegnò al legislatore il termine di un anno per provvedere alla modifica della relativa disciplina in senso conforme a quanto prescritto.
Il Presidente della Commissione Giustizia Mario Perantoni si è detto soddisfatto di quanto approvato perché si tratta di una mediazione tra i valori espressi dalla Consulta e la necessità di mantenere il rigore nei confronti della detenzione dei boss mafiosi, un obiettivo per noi irrinunciabile. A sentir parlare così, ci sarebbe da festeggiare. Tuttavia, il testo è tutt’altro che una mediazione, accogliendo solo formalmente gli inviti della Corte, ma lasciando nella sostanza estremamente difficoltoso l’accesso ai benefici ed esponendo così la disciplina ancora una volta a censure costituzionali e in ambito europeo.
Come sottolineato anche dall’Associazione Antigone, le modifiche prospettate sono peggiorative della normativa attuale e per nulla garantiste. Come si legge nel testo approvato, i benefici potranno essere concessi anche agli ergastolani che non collaborano purché, oltre alla regolare condotta carceraria e alla partecipazione al percorso rieducativo, dimostrino l’integrale adempimento delle obbligazioni civili e delle riparazioni pecuniarie derivanti dal reato o l’impossibilità assoluta di tale adempimento. Inoltre – e qui arriva la parte più difficoltosa – dovranno essere assunti, su specifica allegazione da parte del condannato, congrui e specifici elementi concreti, diversi e ulteriori rispetto alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza, che consentano di escludere con certezza l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica ed eversiva, o con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché il ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali.
Si richiede dunque una probatio diabolica da far ricadere nuovamente sul condannato, cui spetterà provare la negatività di un fatto, di per sé impossibile. In base alle regole di diritto, spetterebbe semmai alle autorità provare la mancanza dei requisiti per l’accesso ai benefici. Ma se questo non bastasse, si innalza il numero di anni da scontare prima di poter accedere alla liberazione condizionale da ventisei a trenta.
Ricordiamo che la Consulta, nella sua pronuncia, ha avuto modo di sottolineare che la presunzione di pericolosità del condannato non è di per sé in contrasto con i parametri costituzionali […]. Tuttavia, tale tensione si evidenzia laddove sia stabilito che la collaborazione sia l’unica strada a disposizione del condannato alla pena perpetua per l’accesso alla valutazione da cui dipende, decisivamente, la sua restituzione alla libertà. È insomma necessario che la presunzione diventi relativa e possa essere vinta da prova contraria, valutabile dal Tribunale di Sorveglianza.
Quanto prescritto dalla Corte non può certamente essere adempiuto con una mera modifica nominalistica e formale della presunzione, rendendo di fatto impossibile l’accesso ai benefici e in particolare al fondamentale strumento di reintegrazione sociale rappresentato dalla liberazione condizionale che consente, secondo determinati vincoli, un rientro in società pieno che risponda realmente al principio sancito dalla Costituzione. Le modifiche prospettate, inoltre, richiedono una serie innumerevole di pareri (difficili da superare in caso di esito negativo) agli organi più disparati – anche tra quelli che hanno chiesto la condanna, che poi non hanno alcun collegamento attuale con l’esperienza detentiva del condannato. Richiedono, poi, lungaggini burocratiche, lontane dalla realtà da valutare, che rischiano di aumentare se venisse accolta l’ulteriore proposta di spostare la competenza per tali decisioni in capo al Tribunale di Sorveglianza di Roma.
Al di là delle difficoltà di carattere pratico che tale organo incontrerebbe per assumere un’ulteriore competenza rispetto a quelle che detiene attualmente – necessitando di personale aggiuntivo – si svilirebbe la stessa natura di giurisdizione di prossimità tipica del magistrato di sorveglianza, chiamato a valutare il percorso personale e detentivo del condannato. Non ci resta, dunque, che esprimere la nostra delusione per quanto prospettato in Parlamento sul tema, seppur non inaspettata, dato il giustizialismo delle forze politiche in campo su cui abbiamo avuto più volte occasione di soffermarci.
Ancor di più sono il rammarico e la preoccupazione per quanto paventato da Fratelli d’Italia: il partito porta avanti una narrazione sul tema faziosa e lontana dalla realtà, diffondendo un video in cui i deputati Andrea Dalmastro e Giovanni Donzelli si fanno portatori di un messaggio del tutto errato. Affermano, infatti, che la modifica richiesta in tema di ergastolo ostativo richiede la liberazione dei mafiosi, anche se non collaborino, perché devono essere rieducati. Così non è, considerato che si tratta esattamente del processo opposto per cui i condannati anche per reati gravi possono essere scarcerarti solo se hanno raggiunto di già – e dunque durante la detenzione – un sufficiente grado di rieducazione. Fatta questa premessa, si ergono poi a paladini della patria, aggiungendo che invece vogliono che i criminali stiano in galera, se pericolosi per la società. Il messaggio è erroneo e fuorviante perché nessuna persona che sia considerata pericolosa per la società ha accesso ai benefici penitenziari.
Dunque, la soluzione prospettata – con prima firma di Giorgia Meloni – è modificare l’articolo 27 della Costituzione, così da evitare anche le temute questioni di legittimità costituzionale, aggiungendo al terzo comma, che stabilisce la funzione rieducativa della pena, che la legge debba tener conto della pericolosità sociale del condannato e che ciò avvenga senza pregiudizio per la sicurezza dei cittadini.
Tale pericolosa proposta non solo inserisce una puntualizzazione che in realtà è già presente nel nostro ordinamento e che poco o nulla ha a che vedere con l’ergastolo ostativo, ma soprattutto rischia di intaccare la Costituzione in un passaggio che la rende una delle più progressive in Europa. Quanto abbiamo appena affrontato, allora, ci dimostra solo la nostra arretratezza su certi temi e la necessità di abbandonare le istanze giustizialiste e di mettere realmente al centro gli uomini per essere considerati una società civile.