«Mi sarebbe piaciuto fare l’Assessore alla Cultura per questo ho mantenuto la delega a questo settore» ha dichiarato il neo Sindaco. «Così posso distrarmi, no?». Proprio come per la Regione Campania, anche Napoli rinuncia all’Assessore alla Cultura, una scelta politica che sembra dettare una linea di (retro)pensiero tutta italiana secondo cui l’arte sia qualcosa da ascrivere soltanto a un passatempo, un’attività in cui adoperarsi per svago in mancanza di altro di più importante a cui dedicarsi.
Lo stralcio qui riportato dell’articolo di Alessandro Campaiola, pubblicato su queste pagine lo scorso lunedì, ben sintetizza quanto la cultura, nel nostro Paese, ancora stenti a essere considerata per ciò che è e per ciò che vale. Una visione che rappresenta le ragioni del degrado socioculturale della nostra amata Italia, tipica della politica di bottega, di contributi quasi sempre clientelari che ignorano progetti elaborati con competenza e realtà che, invece, meriterebbero attenzione e incoraggiamento. Una limitatezza culturale figlia del gretto provincialismo di una classe dirigente mediocre, incapace persino di percepirla, e che per tale motivo rischierà di investire le ingenti risorse in arrivo con quegli stessi criteri di cui sopra, senza alcuna possibilità di sviluppo e rispetto delle tradizioni artistiche e letterarie, finendo con il relegare la cultura alla gestione di un budget che, se anche più corposo, avrà parametri semplicemente contabili e chiaramente politici di basso livello.
Capita quasi sempre di non ricordare i nomi di quei Primi Cittadini che sono passati alla storia nell’indifferenza, per l’inconsistenza del loro operato, per non aver inciso in maniera determinante nelle città amministrate, cosi come i responsabili della cultura quasi sempre ricordati unicamente per aver gestito grandi eventi scollegati da contesti più ampi. Rari esempi di competenza, efficienza e soprattutto capacità di ascolto sono stati, invece, Renato Nicolini, a Roma e, più recentemente, Nino Daniele a Napoli.
Quel geniale Nicolini re dell’effimero, così come fu bollato da subito, dalla metà degli anni Settanta a metà degli Ottanta segnò uno dei periodi più felici della vita culturale della capitale con L’estate romana, una politica che negli anni successivi nessun altro è stato capace di riproporre, anche se con tentavi di imitazione falliti sul nascere. Fu anche Assessore alla Cultura della giunta di Antonio Bassolino non lasciando, però, particolari tracce del suo operato anche in considerazione del breve mandato. Nel suo libro Per amare Napoli scrisse che il capoluogo campano è una miniera di energie, in riferimento alle sue potenzialità in quanto a vivacità fondata su un immenso patrimonio culturale e tradizione artistica.
E, in qualche misura, limitatamente alle scarse – se non nulle – risorse a disposizione, a quelle energie ha dato ascolto e disponibilità, avallando progetti che hanno segnato un periodo culturale carico di eventi nonché l’aumento significativo del turismo in città – non più vista come luogo da evitare, ma come terra da scoprire attraverso le tante iniziative che hanno ridato vita e dignità a quartieri da sempre evitati e oggi tra i luoghi più visitati e vissuti – quel Nino Daniele sacrificato dopo poco più di sei anni di mandato per salvare equilibri precari e che ha lasciato da galantuomo, senza sterili polemiche, il suo incarico. Un atto che, seppur politicamente comprensibile, resta inaccettabile per la privazione di un autorevole ed efficiente esponente dell’Amministrazione comunale il cui grande e proficuo lavoro è trasversalmente riconosciuto.
Daniele, autore insieme a Tano Grasso e Antonio Di Florio del libro La camorra e l’antiracket vincitore del Premio Elsa Morante 2012, nonché autore di altri scritti sul Mezzogiorno e una biografia su Filippo Turati, mi piace ricordarlo per quella sua capacità di ascolto, per la disponibilità autentica, senza finzioni e promesse disattese, per la curiosità tipica dell’intellettuale e la conoscenza di fatti e accadimenti della città, felice di poter contribuire al recupero della memoria storica di personaggi e pezzi di territorio dimenticati, restituendo così una lettura più autentica e completa della storia millenaria di Napoli.
Una figura che in una democrazia compiuta, autentica e seria, sarebbe ancora una risorsa da tenere in debita considerazione, ponendola a servizio della città senza pregiudizio alcuno, certi che la sua azione non avrebbe alcuna motivazione di superficialità, distrazione o sfizio. Elementi del tutto estranei alla personalità e alla cultura di Nino Daniele.