Per Daniel Masclet, il fotografo José Ortiz-Echagüe è stato uno degli ultimi giganti della fotografia e in particolare di quella fotografia speciale che si qualifica pittorica. Nato a Guadalajara nel 1886, José Ortiz-Echagüe si è avvicinato alla fotografia all’età di 12 anni iniziando a scattare con una Kodak 8×9 che poi ha sostituito, nel 1901, con una Photosphère 9×12, un apparecchio compatto in metallo che ha avuto parecchio successo.
Uno dei suoi lavori “capolavori” più famosi, creato proprio con la Photosphère, è stato Sermón en la aldea del 1903: si tratta di una grande composizione fotografica realizzata mettendo in posa ventinove modelli tra i quali vi era anche il parroco della chiesa in cui aveva allestito una scena religiosa davvero imponente. Erano gli anni in cui José Ortiz-Echagüe utilizzava per la stampa positiva il Papier Fresson che non ha mai abbandonato se non per procedimenti molto simili come la gomma bicromatata.
Il fotografo di Guadalajara era membro di una famiglia molto ricca, grazie alla quale ha potuto studiare all’Accademia militare laureandosi in ingegneria militare. Un’altra sua grande passione è sempre stata l’aviazione, della quale è stato anche pioniere. Questi suoi due grandi amori si sono spesso uniti, infatti José Ortiz-Echagüe ha realizzato molte fotografie aeree, anche se queste non sono mai state diffuse né fatte conoscere in quanto lontane da quelli che erano i suoi schemi artistici.
Come scrive Italo Zannier (L’occhio della fotografia), la fotografia è stata la sua grande passione e vi si è dedicato per tutta la vita, con un impegno e una professionalità che l’hanno sempre sottratto all’edonismo dell’evasione fotoamatoriale; allo stesso tempo egli è però emblematico proprio della fotografia dilettantesca dei primi anni del solo, quando il pittorialismo sembrava essere l’unico modo per sottrarsi alla “meccanicità” della nuova e più semplice tecnica fotografica, con cui si era avviata, già dopo il 1880, la massificazione di questo genere espressivo.
José Ortiz-Echagüe si è dedicato anche all’editoria fotografica, pubblicando grossi volumi di immagini sul costume e il paesaggio spagnolo: Tipos y Trajes, Pueblos y Paisajes, “España Mistica e Castillos y Alcázares. In particolare, di Tipos y Trajes sono state vendute settantaduemila copie e Pueblos y Paisajes è stato stampato in novantamila esemplari; numeri che per quanto riguarda un libro di fotografia sono ancora oggi incredibili.
L’intento di Ortiz-Echagüe era quello di ricostruire l’immagine di una Spagna antica che non esisteva più. Il suo scopo era evitare le trasformazioni che il territorio aveva subito, immortalando i paesaggi ancora intatti e riuscendo a far assumere sempre a personaggi, architetture e paesaggi, un valore epico e comunque fiabesco, immune da volgarità e banalità folkloristiche. I personaggi inseriti nell’immagine non sono quasi mai abitanti autentici di questi luoghi, ma spesso sono modelli, filodrammatici, messi in posa secondo le regole dei tableaux vivants che molti fotografi ottocenteschi, come Robinson o Rejlander in Inghilterra, e poi Guido Rey in Italia, avevano più volte in passato adottato e che Ortiz-Echagüe ha prolungato nel tempo fino in anni recenti.
I suoi scatti hanno un’atmosfera arcaica, le immagini si presentano con un’elevata morbidezza di chiaroscuro, con una superficie bruna che tende al seppia. Per avere questi risultati, Ortiz-Echagüe ha sfruttato le tecniche di stampa, la gomma bicromatata, il bromolio e il Carbondir. Il suo pittorialismo ha preso forma anche per la drammatica evocatività della fotografia, dove le manipolazioni, i ritocchi e le pose appaiono funzionali al sentimento, realistico in effetti, che paradossalmente connota tutta la sua opera; egli non si è infatti abbandonato ai languori e alle malinconie romantiche tipiche del coevo pittorialismo di maniera, scrive ancora Zannier.
José Ortiz-Echagüe è stato l’ultimo dei grandi pittorialisti che ha usato tecniche ampiamente superate e proposto il pictorialism quale ideologia dell’immagine che il fotogiornalismo aveva ormai lasciato indietro dalle ricerche delle avanguardie negli anni Venti.