Il murale con il volto di Ugo Russo, nei Quartieri Spagnoli a Napoli, sarà rimosso. L’ha stabilito il Tar della Campania con una sentenza che lascia perplessi poiché, negando di fatto la precedente autorizzazione della Soprintendenza, definisce l’opera una trasformazione fisica dell’immobile, assecondando così l’amministrazione comunale che si è appellata alla contrarietà al piano regolatore.
Tutti i murales modificano le strutture su cui sono realizzati, eppure la città di Napoli ne è zeppa, con buona pace del suo piano regolatore e, spesso, con lo stesso contributo dell’amministrazione per il loro finanziamento. Le pennellate per coprire il volto di Ugo, invece, hanno tutt’altra origine e sono frutto di una scelta politica, nonché della pressione dell’opinione pubblica sul caso.
Ugo era un quindicenne. Era, perché nella notte del primo marzo del 2020, è stato colpito da un proiettile ed è morto sul colpo. A quanto pare, il proiettile è partito dalla pistola di un carabiniere fuori servizio che il ragazzino, accompagnato da un coetaneo, aveva tentato di rapinare. Poco è stato ricostruito della notte in cui Ugo è morto, sia della dinamica sia delle responsabilità per le quali è attualmente aperto un fascicolo per omicidio volontario a carico del carabiniere. Eppure, i sapienti giudici dell’online avevano già tratto tutte le loro conclusioni fin da principio, prima appellandolo come baby rapinatore, poi ricostruendo un suo legame con la criminalità organizzata, infine scagliandosi contro la famiglia e definendo la sua una morte che si è cercato. Le polemiche si erano susseguite per giorni, dando seguito ai più beceri sentimenti di vendetta, dimenticando che Ugo aveva quindici anni, che avrebbe potuto essere un qualsiasi ragazzino che vediamo per strada mentre va a scuola. Per tutti uno così non meritava nemmeno di vivere.
Una volta posizionati sulla scacchiera le vittime e i carnefici con così tanta fermezza, vien da sé che una rappresentazione di Russo diventi un tributo alla criminalità. Le vicende contraddittorie sono molte, ma ciò che è certo è che Ugo continua a essere tormentato anche dopo la morte da chi non è in grado di capirlo, mentre il suo volto viene utilizzato per diffondere battaglie politiche spesso inconsistenti.
La piazzetta Santa Maria Ognibene, dove vivono i genitori di Ugo e dove è stato realizzato il murale, è diventata fin da subito teatro di scontri. Da un lato la famiglia Russo, che rivendica l’immagine come monito a tanti giovani, perché ciò che è successo a Ugo non accada mai più e si possa finalmente fare chiarezza. Dall’altro, chi lo considera un tributo alla criminalità organizzata – primo tra tutti, il consigliere regionale Francesco Emilio Borrelli, che tanto si diverte a speculare sulle situazioni di marginalità – fin tanto che il padre del ragazzo si è sentito in dovere di aggiungere all’immagine la frase Contro tutte le mafie, dopo che il murale era stato luogo di tributo da parte di ragazzi in scooter che ricordavano la morte di Emanuele Burgio, figlio di un boss mafioso.
Così come avvenuto nei giorni successivi alla sua morte, anche stavolta si è persa l’occasione per fare una riflessione seria su quanto accaduto e sulle sue ragioni più profonde. Vivere ai margini della società e non avere punti di riferimento saldi può significare spesso perdere l’orientamento. Lungi da noi giustificare gesti di violenza e criminalità, rinneghiamo convinti qualsiasi forma di giustizia fatta al di fuori delle sedi opportune. Aggiungiamo, inoltre, che se tutti coloro che si sono indignati così veementemente avessero messo la stessa determinazione nel combattere le situazioni in cui realmente la criminalità ha trionfato sul territorio napoletano, oggi avremmo una città migliore.
Se l’amministrazione locale e le rappresentanze regionali si sforzassero di andare oltre la superficie – e rimuovere le cause strutturali e sociali per cui certi episodi si verificano – non ci troveremmo, anno dopo anno, a piangere vittime che, checché se ne dica, sono comunque innocenti perché esse stesse intrappolate in un sistema ingiusto. Alimentare ancora una volta la narrazione delle mele marce non ci aiuterà. Fingere che la vita di Ugo sia un errore, che si tratti esclusivamente di responsabilità personali e che non ci riguardi, ci rende una società cieca. Ugo è figlio di un sistema che non ha saputo indicargli quale strada perseguire.
Ma ci sono motivi più profondi per cui a tutti – o quasi – quell’immagine fiera del ragazzino appare così sfacciata, così insolente, così vergognosa. Lo sguardo deciso di Ugo cela fragilità che non siamo in grado di cogliere ma di cui, purtroppo, tutti sentono la smania di parlare. Tutti sentono la smania di inserire quel ragazzino in una categoria che ci aggradi, in un compartimento stagno della società che ci permetta di non sentirci in colpa. Ugo ci sbatte in faccia i nostri fallimenti ed è per questo che ci infastidisce l’idea che sia rappresentato così, quasi a sfidare le leggi anche dopo la morte.
La sua scomparsa è una sconfitta per l’intera società, anche per chi si racconta deciso che non è così, che non è fatto della stessa stoffa di quel ragazzino che va in giro a rubare orologi con una pistola giocattolo. Ugo potrebbe essere il figlio di tutti coloro che inorridiscono al solo pensiero di vederlo sfrecciare sul suo motorino, magari senza casco. Ugo è carne, pelle, occhi grandi e ci infastidisce l’idea che i suoi sogni possano essere stati stroncati. Perché rifiutiamo a priori che uno come lui possa averli, dei sogni. Perché quelli come Ugo ci fanno sentire sconfitti e allora preferiamo non guardarli, dimenticarli. Almeno fino al prossimo.