Lisetta Carmi, nata a Genova nel 1924, prima della fotografia ebbe un altro grande amore: la musica. Si laureò in pianoforte presso il conservatorio di Milano e iniziò a fare concerti in giro per il mondo. Il momento di rottura risale, però, al 1960 quando la musicista, desiderosa di partecipare allo sciopero di protesta indotto dalla Camera del lavoro di Genova, venne richiamata dal suo maestro temendo che una possibile lesione potesse distruggerne la carriera. Ricordo benissimo di avergli risposto che se le mie mani erano più importanti del resto dell’umanità avrei smesso di suonare, scrive Giovanna Calvenzi nel suo Le cinque vite di Lisetta Carmi. E così fu.
La fotografia divenne per lei un mezzo attraverso il quale i suoi ideali e il bisogno di libertà potessero trovare libero sfogo. Sempre nel 1960, grazie all’amico Leo Levi che l’aveva invitata a partire con lui per la Puglia, cominciò ad approcciarsi a questo nuovo mondo scattando con un’Agfa Silette. Il lavoro era di qualità e ricevette subito grandi apprezzamenti che spinsero la Carmi a scegliere la fotografia come carriera. Grazie al fratello Eugenio, si recò poi a Berna dove conobbe Kurt Blum, il suo primo vero maestro che le insegnò a stampare e a sviluppare le fotografie, dandole alcuni consigli cruciali.
La sua fotografia divenne un vero e proprio strumento per la ricerca della verità e di denuncia sociale. Nei primi dieci anni della sua carriera, Lisetta Carmi intraprese un percorso intenso, crudo, diretto, con immagini che smossero l’anima con scatti fatti di pura e cruda realtà, raccontando gli ultimi, i diseredati, gli emarginati. Nel 1965 iniziò a fotografare I travestiti – titolo di quello che diventerà un libro – a Genova, durante una festa di Capodanno dalle parti di via del Campo. Un testo difficile da diffondere e ovviamente nascosto dalle librerie.
Volti androgini, biancheria intima quale segno di conquista, visi truccati e sguardi ammiccanti. «Io stessa in quel tempo ero assillata – forse a livello inconscio – da problemi di identificazione maschile e femminile… E i travestiti (o meglio il mio rapporto coi travestiti) mi hanno aiutato ad accettarmi per quello che sono: una persona che vive senza un ruolo», disse. La sua mano, nel corso del tempo, ha lasciato un segno, perché la differenza tra i suoi scatti e quelli del reportage degli anni Settanta è proprio questa: lo scarto compiuto dalla fotografia risiede nell’urgenza di dare corpo innanzitutto al suo travaglio interiore.
Lisetta Carmi decise quindi di immortalare persone e luoghi come impegno personale verso se stessa e poi come mezzo per illustrare e documentare fatti e persone. Riuscì a conoscersi meglio attraverso ciò che succedeva all’esterno.
Nel 1962, si recò per la prima volta in Sardegna, terrà alla quale rimase sempre legata. Nella sua fotografia di quegli anni emergeranno temi importantissimi: la comunità, il concetto di famiglia, la condizione delle donne, il lavoro, i rituali della tradizione, le realtà sommerse che immortalò sempre con lo scopo di documentazione socio-antropologica, un approccio empatico che sollecita l’impegno sociale.
Saranno proprio le fotografie realizzate da Lisetta Carmi tra il 1962 e il 1976 in Sardegna a essere protagoniste presso il MACTE, Museo di Arte Contemporanea di Termoli. La mostra Lisetta Carmi. Voci allegre nel buio sarà visitabile dal 15 settembre 2021 al 16 gennaio 2022. «Grazie a questa mostra costruiamo un ponte metaforico tra Sardegna e Molise reso possibile dalle straordinarie immagini realizzate da Lisetta Carmi e dall’attenta curatela di Luigi Fassi e Giovanni Battista Martini. Sono felice che un nuovo pubblico possa scoprire il lavoro di una figura centrale del Novecento italiano e abbracciare con lo sguardo un paesaggio naturale, sociale e antropologico comune», ha dichiarato Caterina Riva, Direttrice del MACTE.
Non ho mai cercato dei soggetti; (…) mi sono venuti incontro, perché nel momento in cui la mia anima vibra insieme con il soggetto, con la persona che io vedo, allora io scatto. Tutto qui.
Immagine: Lisetta Carmi, Orgosolo (bambino vicino al murale), 1962, courtesy ©Archivio Lisetta Carmi