Non volendo accodarci a quelli che, anche stavolta, vaticinano la fine del MoVimento 5 Stelle con il rischio di venire smentiti, siamo piuttosto increduli rispetto alle vicissitudini interne ai grillini dal momento che proprio loro, che hanno sempre contestato i partiti in mano ai padroni e la mancanza di legittimazioni dal basso, rischiano di cadere in questa trappola. È inutile girarci attorno, il problema in questione ha un nome e un cognome: Beppe Grillo, l’uomo che quattordici anni fa ha intuito la rabbia, lo scetticismo e il desiderio di cambiamento che tanti nutrivano nei confronti della classe politica tutta. Ma andiamo con ordine.
A gennaio 2020, Luigi Di Maio snoda la sua cravatta come segno di dimissioni da capo politico del M5S. Parliamo di un partito che ha appena perso una valanga di voti, che si è alleato prima con la destra e poi con la sinistra, guidato dallo stesso Di Maio che ha deciso di defilarsi, anche dal punto di vista dell’esposizione governativa, ricoprendo, allora come oggi, il ruolo di Ministro degli Esteri. Da quelle parti è, dunque, necessario un cambiamento, che deve necessariamente partire dalla leadership: la pandemia e la mancanza di alternative ritardano a lungo il processo, con il MoVimento che viene traghettato dal reggente Vito Crimi.
L’apice della carenza di un leader si raggiunge con la nascita del Governo Draghi, quando nessuno è in grado di prendere una decisione sull’eventuale ingresso nella paradossale maggioranza che si sta venendo a delineare ed è proprio il Garante a decidere di scendere a Roma per parlare con l’ex Presidente della BCE, che definisce un grillino e che sceglie di appoggiare in cambio dell’istituzione del Ministero della Transizione Ecologica. Già in questa occasione Grillo dà scarsa prova di lucidità politica, ritenendo che sia giusto entrare in un esecutivo dove c’è persino Forza Italia.
A fine febbraio, resosi conto degli enormi problemi e delle palesi contraddizioni della sua creatura, decide, quindi, di chiedere a Conte di diventare leader del M5S, con l’avvocato che si mette a studiare le carte sin da subito per risolvere questioni arretrate e cercare di strutturare il partito: una visione europeista, una collocazione progressista, una diversa disposizione sui territori, la nascita di scuole di formazione, ma soprattutto – e questo è il tasto dolente – una diversa gerarchia interna, un nuovo statuto, l’istituzione di due vicepresidenti e poteri ridimensionati per il Garante, così da non creare confusione tra questa figura e quella del capo politico.
Il resto è cronaca di questi giorni: il comico genovese non ci sta, dice ai parlamentari di non voler passare per coglione, afferma che Conte deve imparare la storia del M5S; dal suo canto, l’ex Premier convoca una conferenza stampa per raccontare come stanno le cose, ripercorre il percorso avviato da febbraio a oggi, dichiara che consegnerà lo statuto da lui elaborato a Crimi e a Grillo, confidando che questi lo rimettano ai voti degli iscritti, e chiede al suo avversario interno di scegliere se fare il padre padrone o il padre generoso.
Ora, quello che è del tutto evidente è che il fondatore ha paura di perdere la sua creatura, sapendo che, con un ruolo limitato, non potrà fare il buono e il cattivo tempo. Non si rende conto, però, che questo ridimensionamento della sua figura fa bene innanzitutto a lui che in questo modo sarebbe coerente con quello che dice da anni, cioè di voler lasciar camminare il MoVimento con le sue gambe, affidandolo a chi ha dimostrato di potersene prendere cura: è sicuro di trovare un’altra persona disposta a fare per un partito in perdita quello che ha in mente Conte?
In verità, non conviene allo stesso Grillo che il M5S abbia un leader di facciata perché una delle principali mancanze che sentono gli elettori pentastellati è proprio quella di avere persone che ci mettano la faccia, dopo che il già citato Di Maio si è messo da parte e Di Battista ha abbandonato la nave. Nessuno ha intenzione di scommettere sulla riuscita certa dell’impresa del professore, che è alla sua prima esperienza in un partito, ma per Grillo non c’è modo migliore per dimostrare affetto al suo MoVimento, se non quello di lasciarlo crescere e sbagliare, sbattere e cadere da solo. Lasciando la parola agli unici che in tutto ciò ci stanno rimettendo: i militanti.
Il fondatore, invece, non ha affatto capito, al punto tale da aver dichiarato sul suo blog che Conte è un uomo senza visione politica, arrivando a dargli persino dell’incapace, motivo per cui ora lo ritiene inadatto. In attesa della contromossa del professore, comunque andrà a finire, possiamo dire che Grillo ce la sta mettendo tutta per distruggere quello che è rimasto del M5S. E così, oltre a essere un padre padrone, sarà anche un padre egoista.