La notte porta consiglio, così il rivoluzionario genovese fondatore del MoVimento 5 Stelle, con una telefonata all’avvocato del popolo da lui stesso investito a salvare la forza politica buona per tutte le stagioni, ha comunicato il proprio accordo con qualche modifica a quanto elaborato dal professore. Alle ore insonni di Beppe Grillo certamente avranno influito i sondaggi che da giorni alcuni istituti danno un’eventuale nuova forza politica dell’ex Presidente del Consiglio Giuseppe Conte quotata a circa il 15%, con consensi rivenienti da una consistente parte dei pentastellati e in parte minore dal PD.
Non sono di sicuro le differenze di vedute sui temi importanti del Paese quali la giustizia, l’immigrazione o il fisco ad aver creato le tensioni di questi giorni, bensì il ruolo di controllo sul MoVimento a cui il comico genovese non intende rinunciare. La mediazione del miglior Ministro dal dopoguerra – come Grillo, che farebbe bene a studiare la storia, ha definito Luigi Di Maio – sembra aver trovato la sintesi tra i due per evitare una possibile scissione che avrebbe messo in pericolo anche il suo stesso presente e futuro.
Non interessano a chi scrive e tantomeno a una sana democrazia certe operazioni decise a tavolino che contribuiscono soltanto ad aumentare la confusione e la sfiducia dell’elettorato, in particolare tra quei tanti che hanno espresso, in tempi recenti, un ampio consenso, per vedersi poi progressivamente traditi dalla gestione fallimentare dell’ex capo politico, abile soltanto a restare in piedi dopo le clamorose sconfitte elettorali dovute a scelte scellerate e ad alleanze improponibili che hanno reso corresponsabile il MoVimento delle operazioni razziste e xenofobe del peggior Ministro dell’Interno dal dopoguerra. Un capo politico che in qualsiasi partito avrebbe rassegnato le dimissioni e che, invece, ha preferito saltellare da un incarico di governo a un altro e in qualsiasi alleanza.
Sarebbe ingeneroso addossare ogni responsabilità soltanto a Lugi Di Maio senza fare un passo indietro e portare alla memoria fin troppo labile degli italiani l’operazione Beppe Grillo passata con disinvoltura dai vaffa al sistema, per poi piegarsi con il peggior partito di destra e con nonchalance allearsi con la forza maggiormente ritenuta colpevole di tutti i disastri del Paese finendo con il tornare a braccetto sia con l’una che con l’altro. Un trasformismo che ha superato ogni limite.
La vicenda Casaleggio, per niente politica, resta una questione prettamente commerciale, così come la ragione della crisi perenne del MoVimento è nella sua stessa identità o, meglio, nella inesistenza assoluta di un’identità che nessuno statuto potrà risolvere. La faccenda ruota tutta sulla mancanza di un’idea, di un progetto, di una visione della società, di quella ormai divenuta parola desueta se non sconosciuta nel dibattito dei nostri tempi: ideologia, la base indispensabile di una forza politica, di un partito, di un movimento.
Sarà sufficiente lo statuto elaborato dall’ex Presidente del Consiglio a trasformare il MoVimento da forza di potere comunque e con chiunque a forza politica che abbia una sua specificità e collocazione, una coerenza fino a oggi sconosciuta e, soprattutto, capace di rispettare gli impegni presi con l’elettorato abbandonando quella furbizia buona soltanto per i soliti creduloni del né di destra né di sinistra, un classico per nascondere la propria natura di destra? L’avvocato del popolo, nei fatti, ha dimostrato come questa teoria possa trovare applicazione senza troppi drammi e oggi, sfruttando la sua popolarità, potrebbe far presa proprio su quella massa ondivaga, prettamente no ideology, bacino elettorale dei Cinque Stelle e precedentemente dell’ex Cavaliere e suoi alleati.
L’operazione Conte che il nostro rivoluzionario ha imbastito è basata unicamente sullo sfruttamento di una visibilità che all’indomani delle dimissioni dal suo ultimo governo e la nomina di Mario Draghi, stando ai sondaggi di Demos & Pi pubblicati da Repubblica, risultava seconda soltanto al neo Presidente del Consiglio quotato al 70% contro il suo 66. Tutto questo accadeva nella prima decade di marzo e dopo due mesi, secondo la società di Nando Pagnoncelli, scendeva al 55%, comunque un buon risultato che Beppe Grillo ha sfruttato a favore di un M5S allo sbando, ma sempre con una visione padronale coerente a una gestione che neanche in futuro intenderà per alcun motivo rivedere.
Dal suo canto, Giuseppe Conte, ben consapevole dei motivi ispiratori dell’operazione Grillo e forte dei sondaggi a lui favorevoli, ha lanciato un messaggio chiaro sulla sua disponibilità a certe condizioni e in particolare sul ruolo del comico genovese che appare ancora fermo su quello di padre padrone, chiedendo che la base si esprima chiaramente: «Alla comunità Cinque Stelle chiedo di non rimanere spettatrice passiva di questo processo, chiedo di partecipare a una valutazione sincera di questa proposta di statuto e di esprimersi con un voto. Non mi accontenterò di una risicata maggioranza, mi metto in discussione». E, ancora, più chiaramente: «Una forza politica che ambisce a guidare il Paese non può affidarsi a una leadership dimezzata. Sono stato descritto spesso come uomo delle mediazioni, ma su questo aspetto non possono esservi mediazioni, serve una leadership forte e solida, una diarchia non può essere funzionale, non ci può essere un leader ombra affiancato da un prestanome e in ogni caso non potrei essere io».
Beppe Grillo avrà bisogno di più di qualche notte per riflettere se accontentarsi di un ruolo non più determinante o cercare un prestanome per continuare a essere padrone assoluto della sua creatura. Ipotesi, questa, che sarebbe la più congeniale – e coerente – a tutto il percorso fatto sin dalla nascita della forza politica che l’avvocato del popolo intende oggi strutturare come un partito, dichiarando di fatto la fine del MoVimento.