L’abbiamo detto sin dall’inizio di questa disastrosa, inaspettata e surreale pandemia: l’Italia ha un problema di comunicazione. Che sia quella dei politici che teoricamente dovrebbero governarci o quella dei divulgatori che dovrebbero rappresentare la voce autorevole della scienza, da marzo 2020 a oggi è tutto un susseguirsi di scelte sbagliate, menzogne dette – teoricamente – a fin di bene e verità esposte nei modi peggiori.
Tutti i disastri comunicativi che continuano ad avvicendarsi, dai lockdown che sarebbero durati poche settimane ai messaggi contrastanti su vaccini e precauzioni, non fanno altro che minare la fiducia delle persone nei confronti di chi prende le decisioni e nei confronti della scienza, ovvero le due autorità sulle quali si dovrebbe contare durante una crisi globale dovuta a una pandemia. E se tutto ciò che è successo nell’ultimo anno e mezzo non basta, le recenti dichiarazioni di Draghi sul vaccino sono state l’ennesima miccia che ha fatto esplodere la già disastrosa questione dell’immunizzazione.
Solo due settimane fa, criticavamo il modo in cui le scelte politiche nei confronti del vaccino AstraZeneca avessero seguito poco la logica e ancora meno la scienza, assecondando invece le ansie dei cittadini. Negli ultimi mesi, infatti, AstraZeneca è stato prima riservato agli anziani, poi ai giovani, poi dato a tutti e poi vietato agli under 60, a cui prima si è negata la scelta in caso di seconda dose e poi si è ripristinata la possibilità di scegliere, cambiando idea talmente tante volte da confondere chiunque. D’altronde, è il rischio che si corre quando, in un momento di crisi, le figure che dovrebbero ispirare fiducia sono abituate ad agire per ottenere consenso e finiscono per assecondare le paure dei cittadini invece che il punto di vista più autorevole degli esperti in materia. Ma cosa accade quando quelle stesse persone contraddicono anche le proprie decisioni e dimostrano di fare le stesse scelte di pancia che fanno i cittadini comuni?
Negli ultimi giorni, si è parlato di come sarebbe stata gestita la vaccinazione del Presidente del Consiglio e tutto ciò che ne è venuto fuori è stata una contraddizione completa di ogni cosa detta dalle istituzioni e dalla scienza. Draghi ha annunciato che dopo aver fatto la prima dose di AstraZeneca, avrebbe fatto la seconda di Pfizer poiché da un test era risultata una scarsa risposta degli anticorpi. Da questa dichiarazione possono essere dedotte giusto un paio di incongruenze.
Prima di tutto, come abbiamo già sottolineato altre volte, AstraZeneca resta un vaccino efficace e approvato per tutti da EMA e AIFA, che non ne hanno mai messo in dubbio l’efficacia, al contrario dello Stato italiano che si è fatto guidare dalle sensazioni delle persone invece che dalla scienza. Inoltre, il problema relativo alla seconda dose eterologa per vaccinati in prima dose con AstraZeneca riguarda solo i giovani, ovvero coloro che rischiano leggermente di più di imbattersi nella rarissima reazione avversa tanto temuta. Il Presidente del Consiglio, però, non è un under 60. Probabilmente, quando Draghi ha annunciato le sue intenzioni relative alla seconda dose di vaccino, era deciso a dimostrare che l’immunizzazione eterologa non è pericolosa, tentando di convincere spaventati e incerti che non c’è nulla da temere, se la fa anche lui. Ma, in realtà, il Premier non rientra nelle categorie a cui tale vaccinazione è destinata.
Mario Draghi, dunque, non ha fatto altro che lanciare il messaggio sbagliato: AstraZeneca non funziona tanto bene o è più pericoloso. Questa dichiarazione assume connotati del tutto differenti se ci si rende conto che i problemi relativi al vaccino britannico sono nati quando gli over 60 a cui all’inizio era destinato l’hanno rifiutato. Quella scarsa fiducia nell’efficacia e nella sicurezza del farmaco è stata praticamente confermata dalle scelte di un uomo che appare abbastanza potente da poter decidere quale vaccino ricevere e, ovviamente, optare per il migliore.
In più, la sua dichiarazione conteneva anche un’altra contraddizione, in questo caso non con le decisioni politiche ma con le linee guida che la scienza – quella vera, non quella fatta da chi presenta le proprie opinioni come fatti comprovati – tenta di spiegare da mesi. Dopo il vaccino, prima o seconda dose che sia, non è necessario fare il test degli anticorpi. Anzi, non andrebbe proprio fatto. Più e più volte la scienza ha spiegato che la risposta immunitaria non arriva solo attraverso gli anticorpi poiché esiste una risposta cellulare – successiva al vaccino o all’infezione – che non può essere misurata. Avere un certo numero di anticorpi risultanti dagli esami, dunque, non può dare alcuna risposta sul livello di protezione, per questo il test è stato ripetutamente sconsigliato. Contro ogni logica scientifica, invece, Draghi ha dichiarato pubblicamente che le sue scelte in merito al vaccino dipendono proprio dalla risposta immunitaria.
Insomma, a una comunicazione diretta a dir poco disastrosa, iniziano ad aggiungersi volontà personali ancora peggiori. Evidentemente, chi prende le decisioni dimentica che si comunica anche con i fatti, con le scelte che ognuno fa per se stesso, perché ognuna di queste assume un significato agli occhi di chi deve fidarsi dell’incoerenza altrui, mentre prova a tenere a bada i propri comprensibili timori. Comunicare qualcosa di contraddittorio rispetto a ciò che si è tentato di affermare per sei mesi non fa altro che confondere le persone, alimentarne le titubanze e generare scelte irrazionali, come decidere di non vaccinarsi o rifiutare un farmaco rispetto a un altro.
Quello che chi ci governa non ha capito – ed è evidente che si tratti di un problema comune a tutti, dati gli errori fatti da due esecutivi differenti – è che per governare bene è necessario comunicare bene, soprattutto in tempo di crisi. E anche, forse, che la scienza non è un’opinione e non può essere soggetta a libera interpretazione.