Dopo l’allegra stagione berlusconiana della politica spettacolo, quella salviniana, fatta di spot, felpe ed effetti speciali, ha fatto scuola tra gli alleati e non solo, con l’allieva – in questo caso, la Giorgia nazionale – che ha superato il maestro. Non sono mancate, poi, emulazioni in diverse regioni della penisola divenute un marchio da difendere, qualcosa di cui andare fieri: basti pensare agli ormai celebri monologhi del Presidente della Regione Campania che, va riconosciuto, tra battute e invettive, ha centrato in pieno, in una stagione particolare, una campagna elettorale che ha fruttato un buon risultato per se stesso, meno per la comunità.
In questi giorni, a Napoli, ha particolarmente sorpreso l’uscita del tutto particolare del giovane segretario metropolitano dei dem Marco Sarracino che, pervaso forse da un vento di sinistra di passaggio, ha affermato: «Necessario parlare anche con pezzi della sinistra radicale che aggregano tra i giovani». Da notare che, soltanto pochi giorni prima, di radicale lo stesso segretario aveva auspicato la discontinuità nei confronti della stagione de Magistris. Ma fa lo stesso, l’importante è aver pronunciato la frase a effetto rimandata al mittente dal candidato Manfredi e da Bonavitacola, colui che dà voce al Presidente De Luca – «Nessuno spazio per lo squadrismo di ieri e oggi» –, forse confuso tra i due schieramenti e le relative liste di riferimento.
Per il suo ruolo, il giovane segretario, messo ancora una volta a tacere, si ritiene conosca bene le realtà politiche della città, anche quelle indicate come sinistra radicale, l’impegno sui territori cittadini a favore dell’infanzia, degli adolescenti, degli anziani, gli ambulatori sanitari, i doposcuola, e tanto altro, tutto quello che, quando lo stesso segretario forse non era ancora nato, si faceva nelle sezioni di quel partito poi approdato alle fondazioni personali, a quello che oggi chiama alle armi il suo popolo soltanto in tempo di elezioni, quella forza dei due suicidi politici nel 2011 e nel 2016, come lo stesso ha ricordato. Altro è il giudizio su quelle realtà, sull’azione politica, il ruolo nell’ambito della sinistra, le chiusure e l’accontentarsi del conteggio dei decimali.
Ancora una volta, a Napoli come altrove, ciò che resta della sinistra si presenterà al giudizio degli elettori frammentata, con candidature di facciata per niente espressione di una forza e di un programma elaborato a seguito di un confronto, ma di una persona – seppur autorevole – estranea al percorso di crescita all’interno di un partito che da tempo stenta a ritrovare una sintesi comune. E, di certo, non basteranno le foto giganti del compianto Enrico Berlinguer postate sui social o portate in strada per qualche improvvisa adunata a recuperare credibilità.
In casa del centrodestra, invece, al colpo di scena ha pensato il candidato magistrato in aspettativa che, nel corso di un’intervista, si è sprecato in elogi all’ex Cavaliere: «Il Paese ha bisogno di una persona come Silvio Berlusconi». Davvero un gran bel biglietto da visita, non bastava l’appoggio a sua insaputa della Lega, c’era bisogno di essere più chiari. Di ben altro tono e stile il magistrato dimessosi dalla magistratura ed entrato in politica amministrando la città di Napoli per dieci anni che, al di là di ogni giudizio sull’operato, mai e poi mai ha espresso valutazioni lusinghiere nei confronti di quel mondo politico e dei suoi esponenti da cui proprio un magistrato dovrebbe prendere le distanze. La coerenza, come ebbe a dire l’indimenticabile Sandro, è comportarsi come si è e non come si è deciso di essere.
Non poteva mancare, in questo breve quadro, quel nuovo della politica che è stato velocemente inghiottito dal sistema combattuto a colpi di vaffa diventando esso stesso sistema. Stavolta, il colpo a effetto è stato imposto dal fondatore dei pentastellati Beppe Grillo che ha giocato la carta Giuseppe Conte, l’ex Presidente del Consiglio a capo di due coalizioni di governo di colori diversi, impegnato a dare una struttura al MoVimento, al momento sospeso nel vuoto e al traino del Partito Democratico, tanto che senza alcun tentennamento e senza alcuna consultazione della base – come, del resto, anche in casa PD –, ha dato il proprio assenso alla candidatura a Palazzo San Giacomo di Gaetano Manfredi. Lo stesso professore che ha voluto sferrare anche lui il suo colpo a effetto dichiarando, da buon juventino, di sperare che il Napoli possa vincere lo scudetto.
Ovviamente, un cenno al re dei colpi di scena su delega, Matteo Renzi, non può mancare nel panorama della confusione politica. Il partito dell’ex Premier, già al 2% e ulteriormente in calo, sembra al momento non appoggiare la candidatura Manfredi a Napoli, ma stiamo pur certi che gli salterà fuori qualche idea. Non saranno di certo gli incontri arabi o con qualche 007 a tenerlo fuori dai giochi e a farlo cadere definitivamente da cavallo.
Vedremo dopo i bagni agostani se il quadro delle alleanze, dei cammini in solitaria e delle candidature sostenute a propria insaputa subiranno variazioni, modifiche e ripensamenti. Al momento nulla di nuovo, se non la solita politica capace di generare un sempre crescente astensionismo.