Con AstraZeneca è successo un casino: dosi rifiutate, timori alimentati, poi dosi richieste e, infine, negate. L’opinione pubblica è stata orientata dalla paura invece che dalla ragione, le scelte istituzionali indirizzate dal sentire comune invece che dalla scienza, e niente di quello che è successo a riguardo da gennaio a oggi ha avuto il minimo senso. È inutile girarci intorno: le decisioni prese in merito sono state tutte sbagliate, i cittadini confusi e i loro dubbi assecondati. E, sebbene la campagna vaccinale abbia finalmente preso il ritmo tanto atteso e una flebile luce compaia in fondo all’interminabile tunnel pandemico, tutti gli sforzi rischiano ora di vanificarsi.
Adesso, non sono solo gli sfegatati e convintissimi no-vax a rifiutare i vaccini. Ormai, soprattutto se si parla di AstraZeneca, la paura è generale, l’ansia supera ogni tentativo di razionalizzare i rischi e l’immunizzazione della popolazione sufficiente a scongiurare il Covid è messa in pericolo. I motivi sono molteplici: dalla comprensibile seppur esagerata preoccupazione delle persone, all’inopportuno e iniquo peso che i media hanno dato a certe notizie piuttosto che ad altre, fino ad arrivare alla pessime decisioni comunicative e operative prese da chi ci governa. La verità è che il caso AstraZeneca si era già preannunciato come un disastro e non per la pericolosità del vaccino, ma per la catastrofica gestione di tutto ciò che lo riguarda, a partire dalle scelte di inizio anno, fino ad arrivare alla decisione di venerdì scorso di vietarlo a tutti gli under 60, anche a chi ha già ricevuto la prima dose.
Per comprendere la mala gestione di questa situazione, è necessario ripercorrere tutte le tappe che hanno portato alle recenti novità. I cittadini sono innanzitutto spaventati dalle reazioni avverse gravi che il vaccino può comportare. In questo caso, la percezione del rischio è estremamente superiore rispetto al rischio in sé per sé. E, soprattutto, non è razionalizzata né comparata con i pericoli che invece scegliamo di correre più o meno consapevolmente ogni giorno. Una reazione avversa da farmaco è considerata rara se avviene una volta ogni 10mila casi. La trombosi causata da AstraZeneca riguarda un caso su 100mila: siamo nell’ordine del molto, molto raro. Ma non è questo il punto. La possibilità di reazioni rare gravi è prevista in ogni farmaco che assumiamo, anche quelli da banco, senza ricetta, che acquistiamo quotidianamente senza troppe remore. Il paracetamolo che prediamo senza pensarci due volte per un forte mal di testa o tutti quegli antiinfiammatori di cui in Italia si fa un certo abuso comportano effetti indesiderati gravi ben più variegati e spaventosi di quelli del vaccino. Eppure, vengono assunti regolarmente senza alcun indugio e anzi a volte anche più del necessario.
Nel caso dei farmaci ordinari, infatti, la percezione del rischio è molto bassa, in linea con le percentuali che quel rischio comporta. Con AstraZeneca, invece, la situazione è stata molto diversa sin dall’inizio per svariati motivi. Prima di tutto, il vaccino, qualunque esso sia, è un farmaco che da qualche anno spaventa più del dovuto. Sebbene le ipotesi che correlavano le dosi somministrate ai bambini all’insorgenza dell’autismo siano state smentite da numerosi studi, il terrore di una reazione avversa incontrollata è rimasta incollata all’idea del medicinale immunizzante, generando una paura priva di fondamento. Ogni farmaco e, dunque, anche ogni vaccino comporta degli effetti indesiderati. Eppure, in termini di costi e benefici, assumere un antinfiammatorio per il mal di denti, che alla fine passa anche da solo, pare più sensato che assumere un vaccino per scongiurare una malattia debilitante e in alcuni casi letale.
Confrontando le situazioni e i dati, risulta chiaro che il rifiuto di AstraZeneca sia totalmente irrazionale e anche piuttosto incoerente da parte di una popolazione che sta facendo due pesi e due misure nei confronti di un vaccino che non ha più reazioni avverse di Pfizer o Moderna. Ma la colpa non è dell’irrazionale popolo che si fa guidare dalle emozioni invece che dalla ragione, non è della percezione distorta che le persone hanno, quanto invece della percezione distorta che si inculca loro. I media sono stati infatti i primi colpevoli di questo disastro, dando un peso decisamente squilibrato alle notizie sui casi di trombosi.
Indubbiamente, la morte di un giovane fa molto scalpore, tanto che tutti i giornali titolano anche ripetutamente sulla vicenda, ma neanche un trafiletto sui cento morti quotidiani causati dal Covid. E, sebbene una notizia del genere resti più facilmente impressa, è chiaro che se viene ripetuta e riproposta continuamente con quei toni allarmisti a cui ci siamo abituati, quell’uno su 100mila inizia a essere percepito come qualcosa di molto più frequente, reale, imminente. Non è dunque colpa delle persone se AstraZeneca fa paura. Non è colpa di chi si affida alle notizie che gli giungono per trarre le proprio conclusioni. Le responsabilità andrebbero cercate tra chi la realtà la distorce e il rischio lo gonfia. Ma alle colpe dei media si aggiungono quelle di chi questa crisi avrebbe dovuto gestirla.
AstraZeneca continua a essere approvato per tutti, dai 18 anni in su, dalle autorità competenti. Consci che le rarissime reazioni avverse riguardano più frequentemente i ragazzi, però, si è inizialmente pensato di destinarlo agli over 60. Tuttavia, questi, i primi a dover essere vaccinati, lo hanno rifiutato e, pur di proteggerli, si è deciso di somministrare loro Pfizer e Moderna, tentando di smaltire AZ con i vari open day destinati ai giovani. Una strategia tutto sommato sensata che ha permesso di mettere al sicuro i più fragili e non compromettere la salute di nessuno. A un certo punto, si è deciso, però, di assecondare le paure già fin troppo persistenti e di sconsigliarlo ai ragazzi. Sconsigliare qualcosa, in effetti, non rappresenta un programma d’azione chiaro, soprattutto considerando che non si sono date indicazioni specifiche e ogni regione ha continuato ad agire indipendentemente. Si è dunque trattato di una mossa che a livello operativo non ha avuto alcun effetto e che, invece, ha avuto l’unica conseguenza di confermare le titubanze che hanno circondato il farmaco fin dall’inizio.
Intanto, per i giovani era rimasto solo AstraZeneca. E proprio loro, coloro che – è bene ricordarlo – rischiano molto meno la fatalità del virus, sono corsi in massa a vaccinarsi con un farmaco che per le età di riferimento è leggermente più pericoloso. E sempre loro, i giovani, sono diventati in poche settimane la forza trainante delle vaccinazioni, dimostrando molta più lucidità dei propri genitori e nonni ultrasessantenni che quel vaccino per loro salvavita l’hanno rifiutato. Ma oggi, che migliaia di ventenni e trentenni hanno già fatto la prima dose, AstraZeneca viene vietato agli under 60. E si preannuncia un altro disastro.
Lo Stato prende decisioni sulla base della paura irrazionale della popolazione che esso stesso ha alimentato, ignora le direttive delle autorità competenti e vieta la seconda dose dello stesso vaccino a chi ha già fatto la prima. Parte della comunità scientifica insorge e anche quei divulgatori competenti che, finora, avevano avuto una voce autorevole e oggettiva hanno iniziato a confondere ulteriormente le persone. Intanto, i giovani si chiedono se sia meglio saltare la seconda dose e nessuno li avvisa del pericolo che una copertura a metà comporterebbe. E sebbene qualche tentativo fatto all’estero confermi che somministrare due vaccini diversi non comporti gravi conseguenze, il sospetto in questo caso è più che comprensibile.
Intanto, si iniziano a registrare i primi focolai della variante Delta, quella che ha fatto aumentare i casi anche nella vaccinatissima Inghilterra e dovrebbe risultare chiaro che il pericolo non è affatto scongiurato. Anzi, il rischio che molte persone saltino la seconda dose comporta una maggiore esposizione a una variante che ha già dimostrato di essere pronta a insinuarsi tra le crepe del sistema. A rischiare, adesso, sono sia gli individui, assolutamente ignari delle conseguenze delle proprie azioni proprio perché non hanno avuto accesso a informazioni chiare e precise, sia la comunità, che non può permettersi altre chiusure né altre morti dovute all’incompetenza di chi prende le decisioni.
Dopo oltre un anno di pandemia, dopo mesi ad attendere il vaccino, dopo settimane in cui l’immunizzazione sembrava privilegio di pochi, le decisioni ancora non vengono prese per mettere le persone al sicuro, ma solo ed esclusivamente per assecondarle. È questo il compito di chi ci governa? Ignorare la voce degli esperti e ascoltare le paure delle persone che loro stessi hanno alimentato? È questo che ci si aspetta da chi oggi ha tra le mani le nostre vite? Che conferisca autorevolezza a chi non ne ha, pronto a rischiare l’incolumità dei suoi cittadini?