Partiamo con una doverosa e importante premessa: è fondamentale che ci si immunizzi il più possibile. Tutti i vaccini utilizzati contro il Covid-19 non bloccano totalmente il virus, ma evitano che gli individui che ne vengono a contatto sviluppino forme gravi. La circolazione della malattia non è eliminata, ma solo ridotta del 50%, dunque è possibile che chi sia vaccinato stia bene, ma diventi veicolo di trasmissione per chi, non vaccinato, rischia conseguenze pesanti. Per questo, non si può raggiungere l’immunità di gregge, ovvero quel fenomeno per cui se molti sono immunizzati, il virus smette di circolare e anche i non vaccinati sono protetti: finché la gran parte della popolazione non sarà immunizzata, difficilmente si potrà pensare di superare definitivamente la pandemia. D’altro canto, però, se tutti coloro che possono vaccinarsi lo fanno, la circolazione del virus diminuirà e i casi gravi spariranno.
Pochi giorni fa, si sono allargate le iscrizioni per le vaccinazioni a tutta la popolazione adulta, giovani compresi, e anche ai ragazzi dai 12 ai 16 anni, per i quali è stato approvato Pfizer. Sebbene non siano state ancora completate le immunizzazioni delle fasce più a rischio e quella dei sessantenni resti pericolosamente incompleta in gran parte delle regioni, l’apertura delle iscrizioni a ogni fascia d’età rappresenta il segno di un cambiamento, l’intenzione di procedere il più velocemente possibile – sperando che le dosi necessarie arrivino nei tempi stabiliti – per mettere al sicuro quante più persone e dare un forte arresto alla pandemia. Eppure, questa scelta potrebbe non essere una buona idea. O non del tutto.
L’esperienza britannica ha chiarito che vaccinare l’intera popolazione funziona: negli ultimi giorni, infatti, nelle terre della regina le morti da Covid si sono azzerate. Anche in Italia, sebbene siamo ancora al 20% della cittadinanza immunizzata, i decessi stanno calando visibilmente e anche i contagi sembrano diminuiti. Dunque, vaccinarci non farà sparire il virus, ma ne ridimensiona la potenza abbastanza da non rappresentare più una minaccia per la vita delle persone ed è ragionevole credere che con un andamento del genere anche l’economia possa riprendere nel giro di poco tempo. Ci sono però degli aspetti che non sembrano preoccupare le autorità ma sulle quali la comunità dovrebbe riflettere.
L’Italia, insieme alla maggior parte degli Stati occidentali che stanno vaccinando la propria popolazione, è in ritardo nella consegna delle dosi promesse ai Paesi in via di sviluppo. Il programma di collaborazione globale avrebbe l’obiettivo di fornire un accesso equo al vaccino anti-Covid, aiutando gli Stati più poveri e devolvendo le dosi acquistate dai più ricchi a chi non può permettersele. Lo spirito con cui COVAX agisce è quello della collaborazione globale perché mai come durante una pandemia le vite degli individui si rivelano inevitabilmente intrecciate, che si parli dei cittadini la cui salute è tutelata da governi più benestanti, o che si parli degli abitanti dei luoghi più poveri del mondo privi di tali privilegi. Eppure, sin dall’inizio dell’incubo pandemico, è stato chiaro quanto neanche agli occhi del virus siamo tutti uguali.
Sebbene l’epidemia si sia diffusa velocemente e abbia raggiunto ogni angolo della Terra, il peso con cui ha gravato sui vari cittadini del mondo è stato estremamente iniquo. Nei Paesi più ricchi è stato più facile contenere la corsa del virus, che ha invece proliferato nei luoghi in cui la povertà non permette lockdown e distanziamento sociale. I Paesi ricchi hanno accesso a test diagnostici, cure e vaccini, mentre i Paesi in via di sviluppo difficilmente possono permettersi tali risorse. È a questo che COVAX ha tentato e tenta di rimediare, organizzando un sistema di collaborazione globale che permetta di contenere il virus ovunque, e non solo dove le risorse economiche locali bastano. Per questo, forse sarebbe stata un’idea migliore donare le nostre dosi non destinate ai fragili a chi ne ha più bisogno.
Ci siamo spesso interrogati sulle implicazioni morali che la destinazione dei vaccini comportava. Abbiamo protetto prima il personale sanitario e poi si è proceduto con le fasce più a rischio, sebbene contemporaneamente a esse si avviasse l’immunizzazione di categorie forse più esposte ma sicuramente meno in pericolo di vita. Ci siamo lamentati dell’immoralità di coloro che per conoscenze o false dichiarazioni da care giver si sono accaparrati dosi altrimenti destinate a fasce della popolazione più anziane. E anche oggi, che le vaccinazioni sono aperte a tutti, ci chiediamo quanto questo rallenterà l’immunizzazione di coloro che hanno una probabilità più alta di non superare la malattia in caso di forme gravi. Eppure, non si parla delle implicazioni morali che negare le dosi a chi ne ha più bisogno fuori dai nostri confini comporta.
La decisione italiana di permettere l’accesso alle vaccinazioni a tutti rappresenta uno spiraglio per quei giovani che hanno visto le loro vite cambiate e si sono chiesti quando avrebbero ottenuto il vaccino. Ma, probabilmente, non si tratta della scelta moralmente più giusta. Io stessa, mentre scrivo questo articolo, sono felice di aver effettuato la prenotazione per il vaccino poche ore fa, convinta di non poterne avere accesso se non tra molti mesi. Eppure, sebbene il bisogno individuale a breve termine abbia orientato positivamente il mio umore, un occhio rivolto alla coscienza mi ricorda che, anche se la decisione non è stata dei cittadini, ognuno di noi sta approfittando di un privilegio a discapito di qualcun altro. E, in più, un orecchio rivolto alle preoccupazioni della comunità scientifica mi ricorda inevitabilmente che, in questo modo, non abbiamo completamente scongiurato il pericolo. Anzi.
Se infatti le implicazioni morali non hanno fatto abbastanza leva sulla coscienza degli italiani neanche quando la gravità della situazione richiedeva solidarietà tra concittadini – e vaccini accaparrati e regole raggirate ne sono la prova – mi chiedo come la vita di quegli invisibili che in Italia siamo soliti discriminare e scacciare possa smuovere un senso comunitario globale tale da non voler preferire la nostra vita alla loro. Ma, a patto che le coscienze tacciano e non mostrino alcun sintomo di pentimento, che non si creda che il virus sia sconfitto.
La comunità scientifica avverte che lasciare che il Covid proliferi fuori confine rappresenta un concreto rischio anche per noi, sebbene tutti vaccinati. Non c’è nessuna sicurezza, infatti, che i vaccini somministrati oggi siano efficaci contro ognuna delle varianti che potenzialmente possono svilupparsi. La cosiddetta variante indiana ne è un esempio, dato che preoccupa anche la super vaccinata Gran Bretagna. E l’unico modo per impedire la nascita di nuove mutazioni è arrestare la corsa del virus ovunque. Rintanati all’interno dei nostri confini ci sentiamo al sicuro con le nostre dosi di vaccino in attesa di essere somministrate, ma stiamo lasciando che il Covid proliferi liberamente all’esterno, convinti che non possa oltrepassare le barriere convenzionali che ci separano dal resto del mondo. Le stesse barriere che il virus maledetto ha già valicato più volte, dando inizio a questa inimmaginabile crisi globale.