I Campi Flegrei, in latino Phlegraei Campi, dal greco flegraios (ardenti), comprendono il territorio collinoso su cui sorge la stessa Napoli – il cui punto più alto è costituito dai Camaldoli – e si estende dall’antico alveo del fiume Sebeto a Capo Miseno e Cuma. Per secoli, sono stati una tappa fondamentale di qualsiasi visita dell’Italia e un complemento indispensabile dei viaggi a Napoli, come attestano tutti i resoconti legati al Grand Tour. Una fama che trova riscontro nella ricca iconografia, dalle incisioni cinquecentesche alle tele dei pittori settecenteschi italiani e stranieri.
La densità dei monumenti e la stratificazione dei miti, quando ancora era lontana la scoperta di Pompei ed Ercolano, faceva di questi luoghi uno dei siti in cui meglio si manifestava il rapporto con l’antico. Come raccontato nelle Guide d’Italia (Napoli e dintorni), i ricordi dei miti cantati da Omero e Virgilio e della cultura greca che da queste rive si irradiò per tutta Italia, e le memorie del tempo in cui gli imperatori e l’aristocrazia romana vi eressero sontuose ville e fecero di Baia la più lussuosa stazione termale dell’antichità accrescono il fascino della regione, dove la terra, il mare, il cielo e le opere umane si uniscono a comporre uno scenario incomparabile, nonostante l’incontrollata espansione edilizia che minaccia la sopravvivenza fisica dell’ambiente naturale e l’ingente quantità di strutture e monumenti antichi.
Secondo il vescovo scrittore costantiniano Eusebio, Cuma è stata fondata nel 1050 a.C. dall’eolica Kyme. La critica moderna, invece, la fa risalire all’VIII secolo a.C. attribuendone la colonizzazione ai Calcidesi di Eubea. Ciò che è certo è che, tra il VII e il VI a.C., la città raggiunse l’apogeo della sua potenza: il territorio flegreo e del Golfo di Napoli, allora chiamato golfo cumano, si popolò di eroi, miti e leggende di origine greca. Ai cumani, nel V a.C., si deve anche la fondazione di Neapolis.
All’inizio del Seicento furono ritrovati, nel territorio di Cuma, statue e ipogei funerari. Tuttavia, soltanto dal 1852 al 1857 furono condotte delle esplorazioni più approfondite, seguite da quelle del periodo 1878-1893. Infine, nel 1912 fu esplorata l’acropoli. Dal 1924 al 1932 e poi negli anni Cinquanta, invece, fu realizzato un programma di esplorazione e sistemazione a parco che portò alla scoperta di alcuni luoghi oggi amati e molto conosciuti: l’Antro della Sibilla, la Cripta romana, la via d’accesso all’acropoli e al Tempio di Giove sulla sommità del colle.
Il Parco Archeologico di Cuma nacque nel 1927. Le campagne di scavo furono eseguite sotto la direzione di Amedeo Maiuri: da quel momento, sono state tantissime le ricerche condotte e le campagne di scavo che hanno permesso al parco di estendersi. Oggi, lo spazio a esso riservato è di circa cinquanta ettari. L’area che è tuttora possibile visitare è composta dall’acropoli che racchiude l’Antro della Sibilla; salendo sulla rocca vi è la Torre Bizantina con il Belvedere, la terrazza inferiore chiamata Tempio di Apollo e la terrazza superiore – che si trova sulla cima del Monte di Cuma – chiamata Tempio di Giove. La città bassa è interessata da lavori di valorizzazione ed è visitabile soltanto in occasioni di eventi o specifiche manifestazioni culturali. Tra i monumenti della città bassa vi sono il Foro, le Terme del Foro, la Cripta Romana, l’Abitato, la Porta Mediana e la Necropoli Monumentale.
L’Antro della Sibilla è una galleria rettilinea scavata a sezione trapezoidale nel banco tufaceo del monte; dei primi ventisei metri restano soltanto gli stipiti dell’ingresso e il nascimento delle pareti, mentre nell’ulteriore sviluppo è perfettamente conservata. È illuminata da sei grandi fenditure nel fianco destro verso il mare, mentre all’incirca a metà si aprono, a sinistra, tre bracci minori nei quali in epoca romana furono adattate altrettante grandi cisterne e che, in età paleocristiana, accolsero semplici sepolture. È possibile notare gli interventi successivi nel canale di adduzione che incide il fianco sinistro dell’antro e in un arcosolio. In fondo alla galleria si apre una camera rettangolare, con copertura a volta più alta e con tre nicchioni, nella quale è stata identificata la stanza oracolare dove la Sibilla avrebbe pronunciato i vaticini.
La Sibilla non era altro che un’indovina che offriva servigi ai pellegrini che frequentavano i santuari dell’antichità. I suoi responsi sono stati raccolti in libri e la sua fama di divinatrice è durata davvero a lungo, ripresa anche nelle tradizioni ebraiche e cristiane. La ricerca dei suoi luoghi iniziò già in epoca tardo-romana e a quel tempo, così come oggi, la fonte che permise il riconoscimento dell’antro fu il testo poetico di Virgilio che, a sua volta, attinse a tradizioni stratificate. L’interpretazione tradizionale dell’antro è stata ridiscussa: infatti, la galleria corre parallela alla costa al di sotto delle mura che collegavano l’acropoli alla città bassa e questo ha fatto supporre che, confrontandola con altre opere difensive contemporanee, avesse un’originaria funzione militare, come il disimpegno per le truppe, il controllo del porto, e così via.
L’Antro della Sibilla è forse il monumento più famoso del Parco Archeologico di Cuma e il suo nome si deve proprio a Maiuri che, nel 1932, scavò il monumento in nome dell’affannosa ricerca dei luoghi descritti da Virgilio che si protraeva da secoli. Sicuramente, la galleria corrisponde ai versi che alludono a un luogo misterioso, oscuro, con cento porte dalle quali il vento faceva turbinare le foglie su cui la Sibilla scriveva i responsi. Le aperture laterali sono state associate dall’archeologo alle cento bocche.
Questo monumento ha goduto e gode di grande fama. Conosciuto in tutto il mondo, attira visitatori italiani e stranieri conquistati dalla sua meravigliosa suggestione che crea la forma peculiare della galleria e dei suoi giochi di luce.