La villa che Feras Antoon stava facendo erigere per sé a Montreal, pagata 19 milioni, si estendeva per circa 5667 metri quadrati. Diciotto camere da letto, dodici stanze da bagno, un giardino all’inglese, giochi di fontane e piscine, un garage show-room per custodire auto di lusso, un cinema, un centro ricreativo e una palestra occupavano lo spazio in cui, fino al dicembre 2020, sorgeva la distesa di alberi di una riserva naturale. Il terreno, ad Antoon, era costato appena 2 milioni di dollari. Tutto è stato divorato dalle fiamme, l’ultima domenica dello scorso aprile. Si sospetta un incendio doloso.
Antoon è co-proprietario di MindGeek, il colosso del porno al quale appartiene la piattaforma PornHub. Il sito ha rischiato di andare anch’esso a fuoco dopo un articolo del Times a firma di Derek Kristof, che aveva scoperchiato il proverbiale vaso di Pandora accusando il sito di monetizzare e trarre profitto da video di abusi su minori. Nonostante la tech-company controlli l’80% del traffico su siti per adulti nel mondo, moltissime cose su MindGeek e sul suo modello di business restano ancora fumose. Persino la proprietà della compagnia non è definitivamente certa, né lo sono i suoi guadagni. Men che meno i patrimoni dei vertici.
L’ex Manwin era stata acquisita dall’imprenditore tedesco Fabian Thylmann e ceduta ad Antoon e David Tassillo nel 2013 per ragioni ignote (anche se probabilmente legate a presunta evasione fiscale). Dopo l’articolo del Times, MasterCard e Visa avevano sospeso la possibilità di effettuare donazioni e pagamenti sulla piattaforma con le carte afferenti ai relativi circuiti. Ci eravamo già occupati della vicenda, soffermandoci in particolare sulle questioni sollevate da tale intervento in un settore che prospera nelle zone di grigio, negli spazi vuoti lasciati dalla legge. Il modello di business di MindGeek ha fagocitato, negli anni, avvalendosi anche della pirateria, l’intera Industry proponendosi, poi, sul mercato come monopolio. Questo controllo tentacolare dei contenuti pornografici fruibili gratuitamente in rete degenera in una serie di aspetti problematici: la presenza di video di violenza, revenge porn e abuso su minore, purtroppo, ne è soltanto uno.
L’articolo del Times dello scorso dicembre era stato presto impugnato nella crociata contro la pornografia e il sex work di alcune associazioni cristiane estremiste. Curiosamente, però, le condizioni e le battaglie delle e dei sex worker impiegati nel settore della pornografia era stato appena accennato, cancellato dietro l’orrore delle singole vicende prese a campione da Kristof nel suo pezzo. Di recente, dando seguito alla posizione espressa in dicembre, Mastercard ha introdotto un nuovo regolamento per impedire che il circuito venga utilizzato per foraggiare chi trae profitto dall’abuso sessuale. I nuovi standard si applicano a tutti i rivenditori di pornografia e alle loro banche. Le banche devono certificare alla rete Mastercard che il rivenditore effettui opportuni controlli per monitorare, arrestare e, ove necessario, rimuovere i contenuti illegali entro sette giorni lavorativi. Mastercard richiede, inoltre, una verifica documentata di identità ed età dei soggetti rappresentati nei video e di coloro che caricano online il contenuto, nonché una revisione di quest’ultimo previa pubblicazione.
PornHub ha, invece, rilasciato il suo primo report di trasparenza sulla moderazione per rassicurare il pubblico (e soprattutto gli investitori e i circuiti bancari) di aver preso in mano le redini della situazione attraverso una più massiccia e capillare moderazione dei contenuti sul sito. Il periodo in esame va proprio da gennaio a dicembre 2020 (mese in cui Kristof ha pubblicato The Children of PornHub). In quel frangente, una forza combinata di moderatori umani e intelligenze artificiali ha rimosso dalla piattaforma più di 650mila video che violavano la policy del sito. Queste manovre, si spera, renderanno più facile, veloce ed efficace l’individuazione di materiale illegale nonché il sabotaggio economico di chi cerca di lucrare su pedopornografia e violenza sessuale. I regolamenti messi a punto da Mastercard puntano a una identificazione a scopo preventivo e, dunque, a scoraggiare direttamente le banche dal trattare con chi fa porno in maniera poco chiara. Questa è innegabilmente una buona notizia, tuttavia non possiamo esimerci dal fare un paio di valutazioni a margine.
Mentre il mondo della finanza cerca di regolamentare e certificare un’industria miliardaria come quella del porno minacciando il blocco dei flussi di denaro e pretendendo tutele burocratiche, per la politica internazionale il sex work e le sex worker rimangono ai margini, avvolti in fitte nebulose di diritto. Durante la pandemia, i portali della pornografia in rete hanno segnato, per molti lavoratori del sesso, la distanza tra la possibilità di continuare a lavorare e la disperazione. Relegati alla segreta e sfuggente vita notturna, al cibernetico regno delle fantasie erotiche, è sembrato, forse, di poterli cancellare con un coprifuoco, nascondendoli ancora e ancora sotto il tappeto stellato di un buio rotto solo dal suono delle sirene delle ambulanze.
In molti paesi d’Europa e del mondo il sex work (di ogni ordine e grado) risiede in una bolla all’interno della quale non è propriamente legale, ma neppure del tutto illegale. In alcune nazioni, come la Francia, la regolamentazione del sex work guarda al cosiddetto modello svedese: a essere illegale non è esattamente il sex work, ma la retribuzione della prestazione sessuale. I clienti sono perseguibili per legge. Una delle implicazioni è che l’erogazione di prestazioni sessuali sia impossibile da dichiarare in maniera manifesta. Ne consegue che, in piena pandemia, esclusi senza neppure essere considerati in partenza nelle liste di beneficiari ai sussidi, i sex worker abbiano dovuto continuare a lavorare clandestinamente, correndo il rischio elevatissimo di contrarre la Covid-19.
Le attiviste, le lavoratrici e i lavoratori del sesso si battono da anni per la decriminalizzazione della professione. La politica tace, finge di non vedere, si barrica dietro benaltrismo e tabù, fa quadrato intorno a una concezione del mondo puttanofoba, criminalizzante, deumanizzante. Ma il lavoro sessuale è lavoro. Finché non ci sarà solido riconoscimento sociale e politico di questo, dovremmo continuare a chiederci quali e di chi siano gli interessi verso cui finanza e imperatori del porno si muovono a difesa.