Sangue di Giuda è il romanzo d’esordio di Graziano Gala (minimum fax). Inizia con il furto di un televisore Mivar e con due vinti: Giuda, il vecchio, e Ammonio, il suo gatto da guardia malato e incontinente. Il nome è il regalo di un padre ingeneroso che, in questo modo, gli ha appiccicato addosso l’etichetta di delatore infame. Il risultato è che Giuda è solo, è uno che fa i conti con il tempo e con una mente zoppicante dalla messa a fuoco fragile.
Ha una visione semplice delle cose, Giuda. Pensa che Pippo Baudo sia la misura di tutto e ha un vicino di casa, Ferlinghetti, che non si capisce bene se sia inglese o americano. Ma non fa niente. Con Ferlinghetti, lui s’intende a gesti. Anzi, forse un po’ lo invidia pure: quella del paese – Merulana, un luogo immaginario nella terra di mezzo fra la Puglia e la Campania – non è gente con cui vale troppo la pena discutere.
Giuda cammina alla periferia del mondo, ha un’ironia malinconica che gli consente di sopravvivere a un’esistenza sghemba. Ha una figlia che lo tratta con disprezzo e una moglie ricoverata in un istituto di cura. È un lunatico, un dimenticato, uno che la vita l’ha preso a botte e che, nonostante gli anni, continua a essere perseguitato dal fantasma di quel padre disgraziato.
Giuda è un personaggio letterario che appartiene a tutti, fa parte di quelli di cui, fin dalle prime pagine, ti piacerebbe essere amico. Ti suscita un senso di compassione immediato perché le sue peripezie gli hanno confiscato ogni cosa all’infuori della dignità. Tu leggi, vai avanti e speri che ce la faccia mentre attraversa, spaesato e semplice, un’umanità egoista e disperata.
Forse, fra mille avventure, Giuda ha conosciuto una cocciamatte come lui, Bonfiglio Liborio, il protagonista del romanzo di Remo Rapino. Come quella di Liborio, la storia di Giuda è una storia di poveri, di marginali, di epica popolare. Una storia di dialetto, una storia che trova nella lingua la sua forza.
Proprio nel dialetto – un dialetto musicale, immediato, che allo stesso tempo non diventa mai invadente o incomprensibile – Giuda, Liborio e quelli come loro identificano uno strumento per affrancarsi. La lingua di Giuda ha la testa in Campania, il cuore nel Salento e qualche influenza siciliana. Per gioco, ho provato a immaginare come sarebbe stato il suo flusso dei pensieri se Graziano Gala lo avesse fatto ragionare in italiano.
Giuda si sarebbe snaturato, deve parlare proprio così. Il suo esperanto meridionale asseconda l’urgenza che ha di farsi sentire. Il dialetto sgangherato, e allo stesso tempo genuino, profondissimo, è la sua zona di conforto. Ha una tenerezza ruvida che tocca certe corde empatiche particolari e ti mette prestissimo dalla sua parte, ti commuove. È come se attraverso quel modo di comunicare contromano, Giuda rivendicasse una ribellione a bassa intensità, un personalissimo sabotaggio di quella specie di ragnatela che è la vita.
Un contributo a cura di Corrado De Rosa