Una delle piaghe sociali che rischia di avere maggiore impatto a causa della pandemia è quella relativa al gioco d’azzardo. Nonostante le limitazioni fisiche abbiano portato a una rimodulazione della fruizione da parte degli utenti, è proprio su questo tipo di gioco che, spesso, le persone fanno affidamento, cercando di rimediare in malo modo a situazioni di disagio e povertà. È in tali casi, però, che si rischia di diventare involontariamente burattini della criminalità organizzata, la quale a sua volta ne approfitta, traendone business illecito.
Di questo e altro abbiamo parlato con Filippo Torrigiani, Consulente della Commissione Parlamentare Antimafia e del Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza, che ci ha offerto un’ampia panoramica della situazione.
In che modo la pandemia influisce sul gioco d’azzardo? Secondo l’ISS, il gioco d’azzardo terrestre è diminuito dal 9% del periodo precedente la pandemia al 2.4% del periodo di lockdown, per poi risalire. Come interpreta questi dati?
Analizzando i dati ufficiali di ADM (Agenzia Dogane e Monopoli), la situazione che si è andata a creare è questa: durante il 2020, per ciò che concerne il quadro nazionale e rispetto al 2019, il gioco fisico è calato del 47.1%, mentre il gioco online è cresciuto del 12.5%. La notizia più importante è ritratta dal fatto che la raccolta di 80 miliardi e 135 milioni di euro rappresenta il ritorno ai valori che si registravano nell’anno 2011, ovvero un balzo indietro di nove anni. Il calo rispetto ai 110 miliardi e mezzo del 2019 è, quindi, del 27.5%.
Per quanto riguarda il gioco “fisico”, in un anno in alcune regioni del Centro-Nord si è più che dimezzato e la contrazione è significativa in Veneto (51.2%), Toscana (51.1%), Trentino Alto Adige (50.4%) e Lombardia (50.2%). Nei territori del Mezzogiorno, invece, il calo è inferiore a quello della media nazionale, probabilmente perché c’è stata meno vigilanza sul rispetto delle chiusure anti-COVID: Puglia 36.7%, Sicilia 40%, Calabria 41.4%, Basilicata 41.8%, Molise 42.9% e Sardegna 43%. Relativamente al gioco telematico – che pur è continuato a crescere – si evince che lo stesso ha rallentato il suo ritmo di sviluppo, che è il più basso degli ultimi cinque anni (range +15.9% tra 2018 e 2019 e +26.2% tra 2015 e 2016). In questa fase, a livello nazionale il gioco online ha superato per la prima volta in valore assoluto di giocato quello fisico (40953 milioni vs 39182) e, in particolare, in alcune regioni del Centro-Sud: Sicilia (+74.5%), Calabria (66.7%), Basilicata (+65.6%), Campania (+33.2%).
Occorre tuttavia osservare che la chiusura obbligata degli esercizi ha dato forzosamente atto a un evento pressoché desueto e inedito nel campo delle dipendenze. Ha generato, in definitiva, un’astinenza forzata per un arco temporale abbastanza importante: questo, se per molti giocatori patologici rappresenterà solo un temporaneo allontanamento da situazioni di gioco d’azzardo, per tanti altri può certamente significare una storica opportunità. Per la prima volta, in molti anni, i giocatori patologici sono stati costretti da cause di forza maggiore a vivere senza gli strumenti necessari al funzionamento della loro dipendenza, con la conseguenza di potersi riappropriare della loro vita comune e della normalità, dei rapporti famigliari. La grande speranza a cui dobbiamo necessariamente guardare con fiducia sta nel fatto che per molti di loro l’astinenza ha rappresentato la dimostrazione che, senza gioco d’azzardo, la qualità della vita propria e degli affetti sia concretamente migliore nel breve e nel lungo periodo.
Esiste un giusto equilibrio nel gioco d’azzardo, cioè giocare restando nei limiti?
Credo che la risposta stia sulla cultura e sulla conoscenza reale della questione. Per anni, siamo stati subissati di messaggi quantomeno ingannevoli e privi di contraddittorio circa le concrete probabilità di vincite nei vari giochi. Il ritornello più o meno era sempre il solito – ti piace vincere facile – ma mai si è raccontato agli avventori quali e quante fossero le reali probabilità di vincita. Gratta e vinci, Il miliardario, le slot ne sono un esempio. I giocatori, spesso, ritengono che le AWP (slot) siano tutte uguali, in realtà non è così: gli apparecchi tradizionali da sala restituiscono il 70% del giocato ogni ciclo di partite che varia da modello a modello, da un ciclo di 12mila partite fino a un massimo di 140mila. E questi dati non vengono mai pubblicizzati. Conoscere le possibilità di vincita, dunque, è fondamentale e il fattore conoscitivo può certamente rappresentare un punto di equilibrio necessario a distinguere il divertimento dall’assuefazione.
Nel 2013, l’allora governo Letta attuò una riduzione del 75% su una multa inflitta dalla Corte dei Conti alle aziende che operano nel settore delle slot. Ritiene che la posizione del legislatore sul tema sia troppo accomodante?
La questione delle cosiddette maxi penali chieste dalla procura per il periodo 2004-2006 risale a un’inchiesta della Guardia di Finanza. In quegli anni, il settore legale stava ampliandosi togliendo spazio a migliaia di slot non regolamentate, ovvero non collegate alla rete telematica dei monopoli. La Corte dei Conti realizzò un calcolo in base alle penali stabilite dalla convenzione del 2004 (circa 50 euro per ogni ora in cui una macchina non era collegata alla rete Sogei) ravvisando che lo Stato avesse subito un danno di circa 89 miliardi: in primo grado, la Corte accertò gli illeciti e la mancanza di controllo, ma ritenne anche che il danno complessivo causato all’erario fosse in realtà pari a 2.5 miliardi di euro.
Occorre, dunque, fare una riflessione di più ampio respiro rispetto al gioco che possiamo sintetizzare così: nel corso di oltre vent’anni i vari governi che si sono succeduti hanno sempre cercato (e chiesto) al comparto dei giochi troppi soldi. Ecco che, nonostante l’Italia rappresenti a livello europeo uno dei mercati più fiorenti, non ha ad esempio una legge organica che disciplini la materia: il gioco è normato da vari decreti di ADM, dal TULPS, dai codici civili e penali e, soprattutto, risponde alle disposizioni del legislatore in merito al gettito generato. Una politica che purtroppo ha pensato molto ai proventi da ascrivere a bilancio senza, tuttavia, curarsi delle ricadute negative che ci sono poi state sui territori a scapito del tessuto sociale.
L’industria del gioco impegna, oggi, migliaia di aziende e lavoratori che lavorano e pagano le tasse e anche molte. Per invertire la tendenza – operazione che va pensata a lungo termine – bisogna iniziare dal diminuire l’offerta del mercato oltremodo smisurata. Si tratta di scelte di carattere politico da assumere tenendo conto di tutti gli equilibri in campo. Certo è che viene quasi da sorridere (uso un eufemismo) a pensare che lo Stato pretenda sempre più denari dal comparto del gioco quando, nel nostro Paese, è accertata un’evasione fiscale annua di oltre 100 miliardi di euro! Sarebbe certamente migliore percorre la via del contrasto alle pratiche di evasione e di elusione per recuperare risorse da destinare alla casse dello Stato, anziché pretendere denari dai giochi che smuove un fiume di denaro abnorme. La politica deve invertire la rotta.
Perché il gioco d’azzardo rappresenta un polo attrattivo per le mafie?
Per comprendere la portata degli interessi malavitosi è importante riportare le dichiarazioni di magistrati come il Procuratore nazionale Antimafia Cafiero De Raho secondo cui quello del gioco d’azzardo, assieme al traffico di sostanze stupefacenti, oggi appare l’affare più lucroso col quale rimpinguare le casse delle cosche. Attraverso l’azzardo la ‘ndrangheta (come pure altre mafie) afferma e consolida il proprio stile parassitario che le consente di trarne enormi guadagni operando in una trama complicatissima nella quale, talvolta, legalità e illegalità si confondono.
Molto in voga è la pratica del match-fixing: nel 2020, ad esempio, generati 1113 alert su partite sospette, il 65% in UE. Per anni, ci hanno raccontato che se lo Stato avesse ampliato l’offerta del gioco lecito, si sarebbe affossato il mercato dell’illegalità. Quali i risultati? Modesti, purtroppo. Il mercato dell’illegale prospera, su di un binario “parallelo”, con un giro di affari difficilmente quantificabile ed è stato accertato da decine e decine di inchieste delle forze dell’ordine, della magistratura e della Commissione Parlamentare Antimafia che maggiore è l’offerta del gioco legale, più semplice è per i clan malavitosi trarre profitti attraverso pratiche di usura, riciclaggio, estorsione, imposizione. Sono quaranta le associazioni malavitose che traggono utili dal comparto del gioco d’azzardo in Italia. Si va dai Casalesi ai Mallardo, dai Santapaola ai Condello, dai Mancuso ai Cava, dai Lo Piccolo fino ad arrivare alla famiglia degli Schiavone.
Si pensi che nel corso del 2013, presso l’Unità d’informazioni sospette istituita dalla Banca d’Italia e che si occupa di riciclaggio di denaro, sono pervenute ben 774 segnalazioni inoltrate dagli operatori del comparto del gioco, a fronte di 283 pervenute nel 2012. Nel 2019 ben 6470. D’altro canto, per capire fino in fondo la portata del fenomeno, è sufficiente leggere quanto evidenziato nei rapporti trasmessi al Parlamento italiano dalla DIA, relativi all’attività criminale consumata negli anni.
Ci sono decisioni legislative che hanno – involontariamente o meno – danneggiato la lotta al gioco d’azzardo?
Torno a ribadire ciò che ho detto prima: le questioni da affrontare da subito sono due: 1) regolamentare una volta per tutte e seriamente il comparto dei giochi, iniziando da una contrazione dell’offerta che è insostenibile (in Italia ci sono più apparecchi in esercizio che posti letto in ospedale e si vendono circa 3600 gratta e vinci al minuto, ventiquattro ore su ventiquattro). Non vietare, certamente – dal momento che le politiche proibizionistiche, la storia ce lo insegna, sono infruttuose –, ma nemmeno perseverare con scelte così scellerate; 2) invertire la politica relativa al gettito prodotto dai giochi per le casse statali. C’è un aspetto del quale non si parla e sta nel fatto che sia la cura della malattia generata dai giochi che la repressione delle violazioni sul gioco illecito ma, anche, su quello lecito hanno un costo altissimo che, purtroppo, non si è mai provato a quantificare e che ricade sulle spalle dell’intera collettività. Sarebbe l’ora di provare a calcolarlo poiché si tratta di denari che vanno sottratti al computo dei proventi del gioco d’azzardo.
Considera che abbia avuto effetti positivi la norma presente nel Decreto Dignità del 2018 che mirava a diminuire fortemente la pubblicità del gioco d’azzardo?
Sì. È una vittoria culturale, oltre che politica, fortemente voluta dall’associazionismo e, più in generale, da tutti quei soggetti, anche istituzionali come gli Enti locali, che ogni giorno con immensa fatica aiutano le tante persone che cadono nella rete della dipendenza da gioco.
In genere, il giocatore ludopatico è cosciente di essere tale e del fatto che, in alcuni casi, il suo gioco ingigantisce i guadagni della criminalità?
Sulla base della mia esperienza posso dire che spesso il giocatore che cade nella dipendenza ne prende consapevolezza grazie all’aiuto di persone care, familiari e amici. La criminalità si fa forte nel momento in cui il giocatore che affonda nella disperazione si rivolge ai criminali in cerca di soldi: ecco che si manifestano pratiche di usura, minacce e, talvolta, il giocatore stesso diventa “collaboratore” forzato della delinquenza organizzata in questioni di malaffare.