Pochi giorni fa, la Corte di Cassazione ha affermato, a sezioni unite, la necessità di tutelare i figli che siano stati legittimamente adottati all’estero da coppie omosessuali. Essi devono, infatti, essere considerati tali anche in Italia, dove si deve procedere alla trascrizione della sentenza del giudice straniero che certifichi l’adozione avvenuta senza il ricorso alla maternità surrogata. La finalità della sentenza n. 9006 è quella di tutelare il minore, evitare discriminazioni e garantirgli il diritto a famiglia e stabilità.
Tali principi e, in particolare, la necessità per suddetti minori di pari tutele di quelle dei figli delle coppie etero in termini di cura, educazione, istruzione, mantenimento, successione, erano già stati affermati dalla Corte Costituzionale con due sentenze del gennaio 2021. Esse, pur riguardando questioni diverse e dichiarate entrambe inammissibili – i figli di coppie gay e lesbiche concepiti attraverso la fecondazione eterologa e la maternità surrogata – hanno offerto alla Consulta l’opportunità di mettere in evidenza un vuoto normativo che a sua volta crea un vuoto di diritti non più sostenibile.
A tale vulnus legislativo la giurisprudenza ha in più occasioni posto rimedio attraverso la stepchild adoption: il genitore non biologico adotta il figlio concepito grazie al genitore biologico, con l’assenso di quest’ultimo. Con la Legge Cirinnà (n. 76 del 2016), la quale riconosce le unioni civili tra persone dello stesso sesso equiparandole ai matrimoni, si era tentato di riconoscere il legame di genitorialità con i figli nati con tecniche di procreazione medicalmente assistita, ma erano state opposte troppe resistenze politiche.
Se è vero che la Costituzione riconosce la sola famiglia fondata sul matrimonio, si tratta di un testo che è frutto dei tempi in cui è stato redatto e che, anzi, offre innumerevoli spunti per enormi passi in avanti attraverso il riconoscimento di uguaglianza sostanziale e molti altri diritti: le unioni civili sono di fatto equiparate ai matrimoni, dunque non dovrebbe esserci motivo per non legittimare i figli nati – in qualsiasi modo – da tali legami. Eppure, in Italia, la disciplina o, meglio, l’assenza di disciplina in materia continua a essere molto influenzata da un’idea di società non laica e, anzi, strettamente collegata alla religione. Ne sono dimostrazione le leggi sul fine vita.
Alla base della recente pronuncia della Corte di Cassazione c’era il ricorso di un sindaco che impugnava la sentenza della Corte di Appello con cui veniva riconosciuto lo status acquisito da un minore a seguito dell’adozione avvenuta negli Stati Uniti. In Italia, infatti, essa non è permessa da parte di persone dello stesso sesso, ma la pronuncia del giudice straniero, non essendo contraria all’ordine pubblico, va necessariamente trascritta e quindi riconosciuta anche nel nostro Paese. Per tale motivo, la Corte ha precisato che, anche quando uno Stato abbia norme più permissive, i suoi provvedimenti possono essere recepiti se privilegiano il diritto del bambino al benessere e alla tutela dei suoi interessi preminenti, tra i quali quello alla non discriminazione. L’unico limite nelle controversie per l’affidamento dei minori è fissato, infatti, nella necessità di non affidarsi alla maternità surrogata o cosiddetta gestazione per altri. L’orientamento sessuale, invece, non è in alcun modo rilevante.
Alla luce della sentenza, è ora necessario un intervento del legislatore che disciplini in maniera organica la materia e a cui spetta il compito, come ricordato dalla Corte Costituzionale, di trovare il ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti, nel rispetto della dignità della persona umana. La stessa stepchild adoption non appare più sufficiente. Bisogna innanzitutto ricordare che essa, sebbene non inserita nel corpo della Legge 184 del 1983 – che si occupa di tutte le situazioni in cui, pur non essendoci le condizioni per giungere a un’adozione piena, questa risulti essere l’unica soluzione possibile per tutelare il diritto del minore a una famiglia –, è stata ritenuta applicabile alle unioni civili di persone dello stesso sesso grazie al disposto dell’articolo 1 della Legge Cirinnà, la quale stabilisce l’applicabilità a queste di tutte le norme dettate per il matrimonio.
Dopo lunghe dispute giurisprudenziali, inoltre, non si può dubitare che, anche a livello europeo, le unioni omosessuali rientrino a pieno titolo nei modelli familiari riconosciuti. La stepchild adoption è stata così affermata per la prima volta dalla Corte di Cassazione nel 2016, ma adesso non appare più adeguata alle esigenze della nostra società poiché bisogna evitare il rischio di qualsiasi situazione deteriore in cui possano trovarsi i minori in ragione del solo orientamento sessuale dei genitori. Le recenti pronunce sono dunque un flebile passo in avanti, che necessitano di una presa di posizione più forte del Parlamento, ma che vanno accolte con favore in un momento storico in cui è difficile anche solo amare senza temere ed essere se stessi senza la paura di venire discriminati o subire violenze. La strada da percorrere, tuttavia, è ancora lunga.