La Domus Ars, in via Santa Chiara, a Napoli, da anni è diventata un contenitore di eventi musicali e teatrali di elevato profilo nonché una palestra e officina per altre discipline. È una struttura al servizio della città la cui direzione artistica è affidata all’etnomusicologo Carlo Faiello, maestro nel togliere il velo all’“opacità semantica” che copre i suoni e le melodie della tradizione campana.
In questi giorni, Faiello ha registrato, col contributo della Regione Campania, Miserere, sintesi di una ricerca specialistica e ventennale, sul campo, che viene riproposta in questo periodo pasquale. L’ evento lo si può seguire gratuitamente sulla pagina Facebook della Domus Ars al seguente link: https://www.facebook.com/DomuArsCentroDiCultura.
Chi frequenta le feste della tradizione che si tengono in questo periodo (Procida, Sorrento, Sessa Aurunca, ecc.) può, grazie a Faiello, reimmaginarsi in una processione di vattiente lunga dal 2021 d.C. al 1000 a.C. grazie a sonorità e timbri ora arcaici ed essenziali (percussioni rudimentali), ora vibranti come corde di cetre appese ai salici. Notevole le capacità vocaliche delle interpreti (Isa Danieli, Patrizia Spinosi, Fiorenza Calogero, Elisabetta D’Acunzo, Mariarita Carfora) nonché l’esecuzione (archi, fiati) del Quartetto Santa Chiara.
Il clima è profondo, è acqua di pozzo e aceto (la posca fatta bere al figlio dell’uomo sulla croce) e sarebbe stato suggestivo, per un partenopeo, assistere allo spettacolo-preghiera dopo aver passeggiato tra il barocco del Gesù Nuovo e il gotico-angioino di Santa Chiara: i due stili, infatti, sono presenti nell’architettura sonora di questo Miserere, quasi, riprendendo Schneider, Pietre che cantano.
Miserere è il salmo 51 di Davide, lungo come un fiume che si è inoltrato, con defluenti e sedimenti, in tutte le culture popolari e orali del Mediterraneo. Chi prega e innalza lamenti sono, secondo una significativa iconografia, le donne, le stesse che per prime andarono al sepolcro. Le vediamo nella Domus Ars con i costumi da prefica e non manca il grido, raccolto e passato di voce in voce, mara a me, cioè amarezza su di me, tipico del mondo contadino, quando il morto viene “bestemmiato” per la sua decisione di passare nell’aldilà rinunciando all’orto, al maiale, a tutto ciò che aveva in abbondanza nella casa.
Questa “bestemmia” la si ritrova nel Miserere come dispetto e rivalsa d’amore: Sei morto? Non ci interessa, provvediamo noi a farti alzare di nuovo. Si noti, in questo, un elemento della morte di Carnevale, riproposta ogni anno a Montemarano. Ascoltando Faiello, abbiamo avuto la sensazione che i rilievi di Laodamia (un Orfeo femminile che torna dagli inferi con un uovo) si agitassero freneticamente e non abbiamo potuto non ricordare l’Homo Sacer di Agamben in quanto la biopolitica, la “vita nuda” e il suo rapporto col potere e la legge, si compie, precisamente, nella figura del Cristo.