E alla fine le stelle diventeranno sette. Nell’opera di rifondazione che Giuseppe Conte ha in testa per il MoVimento 5 Stelle, non c’è solo l’idea di cambiarlo. Non pensa solo a dargli una nuova struttura e a farlo uscire dalle numerose ambiguità, ma c’è proprio il tentativo di fornirlo di un volto diverso, di cambiarne le basi per rinascere su novelle fondamenta.
L’ex inquilino di Palazzo Chigi può certamente dire – e lo ha fatto nell’intervento di venerdì scorso davanti a gruppi parlamentari, amministratori locali ed europarlamentari – che il MoVimento non deve perdere la sua identità, ma sa benissimo che, se vuole che il partito riacquisisca lucidità dopo lo smarrimento dovuto agli errori e ai cambi di opinione di questi anni, non è sufficiente gridare alla luna.
Anche perché, parliamoci chiaro, le urla e le visioni complottistiche potevano andare bene quando chi stava dall’altra parte veniva accusato di essere voltagabbana, quando chi sino al giorno prima si contestava reciprocamente si trovava, poi, a governare insieme il giorno dopo. Ma ora che dall’altra parte ci sono proprio loro (ora che sono diventati il tonno, dice qualcuno), per tornare popolari bisogna anzitutto spiegare il perché di alcune scelte e nel frattempo rifondarsi. Non è un caso, infatti, che l’avvocato foggiano abbia affermato che serve una prospettiva impegnativa, perché non significa limitarsi a operare un restyling, un rinnovo superficiale al fine di incrementare il consenso, dopo aver visto i propri voti dimezzarsi.
È anche vero che, nonostante le svolte governiste, le alleanze e i compromessi, le lotte interne hanno dimostrato che c’è ancora una fronda dei 5 Stelle legata alle origini, rimasta ferma ai V-Day e alle parole sul palco di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. D’altronde, questa “corrente” ha trovato varia rappresentanza, a partire dall’ex Di Battista fino a Barbara Lezzi e ai circa quaranta parlamentari che a dicembre volevano inizialmente votare contro la risoluzione sul MES proposta dall’allora Presidente del Consiglio.
Da qui, appunto, nascono le sette stelle, che si muovono dal principio di non scontentare i barricadieri. Motivo per cui Giuseppi ha parlato di rivisitazione delle originarie cinque stelle, dal momento che nessuna di esse è da rinnegare e sono tutte ancora oggi valide. Vuole, però, che la nuova Carta dei Principi si basi sul rispetto della persona, su un’ecologia integrale, sulla giustizia sociale, sul principio democratico, sul rispetto della legalità, sull’importanza dell’etica pubblica e sull’importanza della cittadinanza attiva.
E notiamo, infatti, come Conte, pur rimarcando la coerenza rispetto agli ideali di sempre, torni spesso sull’assunto che una fase si è chiusa, che un nuovo linguaggio è fondamentale e che una scelta di campo va fatta. Sui primi due punti è particolarmente esplicito quando, parlando di cura delle parole, vuole chiaramente sottolineare che è finito il tempo dei vaffa, utilizzato quando ci si doveva scagliare contro il sistema, e che adesso è il momento di stare attenti a quello che si dice perché ogni fase ha la sua storia. Chissà, dunque, se in questa fase ascolteremo ancora parole come quelle pronunciate anni fa da Davide Casaleggio, che disse che il superamento della democrazia rappresentativa sarebbe stato inevitabile e che il Parlamento probabilmente non servirà più.
E, chissà, se tra le libertà fondamentali che il nuovo leader dei pentastellati annovera a proposito del rispetto della persona trovi spazio anche la libertà di stampa, nonostante le regole che Grillo qualche settimana fa ha chiesto provocatoriamente alle tv di applicare quando in televisione ci vanno i suoi. Ci sarebbe da chiarire, inoltre, che tipo di rapporti Conte intenda intrattenere con lo stesso Casaleggio jr, proprietario di Rousseau, dopo che lo stesso è da tempo in disaccordo con i governisti del MoVimento e si è dichiarato contrario alle alleanze con il PD.
In ogni caso, mentre Conte parlava e diceva di voler mostrare lealtà ai valori del M5S, un altro ne veniva meno: quello dell’uno vale uno. Quello, cioè, che ha giustificato anche la presenza di candidati – presenti d’altronde in tutte le forze politiche – e rappresentanti politicamente inadeguati, incapaci e molto poco preparati. Ecco, allora, che dovrà spiegare come intende debba essere effettuata la selezione della classe dirigente e, soprattutto, da chi vuole farsi circondare per espletare questo percorso. La strada è in salita e, anche se ogni fase ha la sua storia, dovrà essere in grado di pagare per gli errori del passato.