La natalità è quel concetto abbondantemente e assurdamente discusso che, in Italia, non sembra trovare pace. Di tutti i problemi che affliggono il Paese, il calo delle nascite sembra spesso il più urgente, insormontabile e ingombrante ostacolo alla nostra prosperità. In genere utilizzato per incolpare le donne di non svolgere il proprio dovere – che follia provare a sfuggire al destino biologico! – o per accusare i giovani di non volersi assumere alcuna responsabilità, la bassa natalità italiana è ovviamente un problema serio e reale, trattato e affrontato però nei più surreali e illogici dei modi. Ed è probabilmente a partire da questi presupposti che è stato appena approvato l’assegno unico per i figli.
Il Senato, infatti, ha votato la legge che era passata alla Camera lo scorso luglio e che prevede l’erogazione di un importo che varia tra i 50 e i 250 euro per ogni figlio a carico. Per la prima volta, il provvedimento riguarderà tutte le famiglie italiane, che si tratti di lavoratori dipendenti, indipendenti o di disoccupati, e la sua erogazione non dipenderà dal reddito familiare, il quale influenzerà solo la cifra. L’assegno unico per i figli è detto universale perché sostituirà tutte le altre forme di sostegno attualmente in vigore per le famiglie. Sarà attivato a partire dal settimo mese di gravidanza e avrà validità automatica fino ai 18 anni. Si prevedono deroghe fino ai 21 anni di età, l’aumento dell’importo per i nuclei familiari con più di due figli o con figli con disabilità. Il governo ha, teoricamente, un anno per rendere la legge operativa, ma Draghi ha promesso che i primi sostegni saranno erogati già a partire dal prossimo luglio.
L’assegno unico per i figli giunge in un momento di grave crisi: a causa della pandemia, sono state troppe le famiglie che si sono trovate in difficoltà, soprattutto quelle formate da lavoratori indipendenti che, fino a ora, hanno avuto poche tutele. Del provvedimento, dunque, potranno beneficiare numerosi nuclei attualmente bisognosi e, a dirla tutta, anche quelli che non ne hanno bisogno. I motivi alla base di questo sostegno, però, probabilmente non riguardano l’emergenza pandemica e la conseguente crisi che ha travolto milioni di persone, ma hanno molto più a che fare con il concetto stesso di famiglia. In Italia, infatti, le famiglie sono ormai sempre meno tradizionali e no, non a causa della – lenta – accettazione di quelle omogenitoriali o di quelle sostenute da genitori single: semplicemente, nelle famiglie italiane, non ci sono più figli.
Nell’accezione più tradizionale, la presenza della prole è quasi d’obbligo per acquisire la qualifica di famiglia, eppure in Italia sempre più nuclei sono composti da individui singoli o da coppie senza figli e, nella maggior parte dei casi, da figli adulti che non possono permettersi di lasciare i genitori per istituire nuovi nuclei familiari. Insomma, che ci sia un grave problema di natalità è certamente indubbio e l’istituzione dell’assegno unico ha probabilmente molto più a che fare con questo, con il bisogno di nuove nascite, che con il sostegno a chi è già nato.
La narrazione sulla natalità ha radici profonde e spaventose. Ancora adesso, a sentirne parlare, sebbene sia mossa da motivazioni diverse, richiama gli echi di quel ventennio in cui essa era incentivata per rendere l’Italia più forte e minacciosa, per avere più carne da macello da mandare al fronte. Oggi, che il calo delle nascite è un problema serio e riconosciuto, infatti, la motivazione risiede nella sopravvivenza di un Paese vecchio, dall’età media troppo elevata e in cui il ricambio generazionale non lascia molto spazio alle speranze poiché la produttività dei pochi giovani non riuscirà a sostituire quella dei tanti anziani. Rispetto al passato, dunque, qualcosa non è cambiato: le modalità di sostegno pensate per incentivarle.
Abbiamo sentito dire spesso che con la pandemia nascono meno bambini, che il virus malefico ha tolto la vita, la serenità economica e lasciato vuote le culle, ma non è vero. Il COVID-19 ha solo accelerato un calo in corso da decenni, un calo che era un problema anche due anni fa. Ancora più problematico, però, è l’approccio alla questione, insieme ai maldestri tentativi di porvi rimedio. Perché, se in Italia le nascite per ogni donna sono 1.29 e non riescono a garantire un equo ricambio generazionale, non si può pensare che la soluzione sia regalare soldi, insufficienti per chi ne ha bisogno e totalmente inutili per chi è già benestante.
E ai tanti che additano il femminismo come causa della tragedia, perché fa passare alle donne la voglia di essere madri e dà loro strane idee come quella di perseguire la carriera, è bene ricordare che è proprio il malfunzionamento di questi processi a generare il calo delle nascite. È ingenuo perseverare nella convinzione che basti fare qualche campagna pubblicitaria e regalare 250 euro per ogni figlio per risolvere il problema. Perché la bassa natalità dipende esclusivamente da due fattori: i giovani non hanno lavoro, quindi non possono permettersi di mettere su famiglia; la maternità non è tutelata a dovere e, finché si dovrà scegliere tra mettere al mondo nuova vita o avere i soldi per vivere, sarà difficile cambiare le cose.
L’assegno unico per i figli non è solo un tentativo ingenuo e poco funzionale di risolvere il problema. È un apparentemente generoso modo per ignorarlo, per non investire nella tutela del lavoro femminile e nell’inserimento dei giovani nel mondo professionale. Lascia intendere, inoltre, che per fare figli non è necessario avere una sicurezza economica, ma basta uno Stato che offre un sostegno temporaneo – e in molti casi insufficiente – sul quale non si può fare affidamento a lungo termine e che non investe per creare, ma semplicemente per persistere nell’inerzia.