Proviamo non poca invidia verso quei giornalisti – più di qualcuno a dire il vero – che da settimane non fanno altro che ricordarci le differenze che ci sarebbero tra Conte e Draghi, ora che finalmente è arrivato il momento in cui i competenti, i migliori, hanno invaso il Palazzo, pronti a guidarci nella più difficile delle missioni. E, attenzione, l’invidia che nutriamo non è causata tanto dal loro acume, dalla loro attenzione verso i dettagli o dalla fiducia a scatola chiusa – quindi l’esatto opposto di quello che dovrebbe fare un giornalista – nei confronti dell’ex Presidente della Banca Centrale Europea. Il nostro sentimento, al contrario, è dovuto proprio al fatto che noi, per quanti sforzi facciamo, davvero non riusciamo a percepire questa discontinuità che ci sarebbe tra i due esecutivi.
O, meglio, una prima, evidente ed esplicita differenza riusciamo a scorgerla: dopo un anno e mezzo dal Papeete, la Lega è tornata al governo, con Giancarlo Giorgetti – la vera mente del partito – a guidare uno dei dicasteri più cruciali in questa fase. Persino Forza Italia è riuscita a ottenere tre poltrone. La continuità, quindi, piuttosto che con il Conte bis, sembrerebbe esistere con il Berlusconi quater. Fin qui potrebbe non esserci nulla di strano, se tante esultanze provenissero da Libero o Il Giornale, insomma dai giornali che, anziché essere tali, risultano più che altro strumenti di propaganda al servizio dei partiti di destra e, nel secondo caso, dell’editore.
Il problema, al contrario, è che questo atteggiamento morbido e appiattito nei confronti di Draghi viene messo in atto anche da diverse penne, talune molto autorevoli, alle quali evidentemente bastava la garanzia del nome, visto che il predecessore non aveva mai fatto parte del giro. E fa niente che il nuovo Presidente del Consiglio abbia confermato ben nove Ministri uscenti, tra cui – e non è un elemento trascurabile in questa fase – quello alla Salute.
A voler pensar male, le ragioni di questo comportamento potrebbero persino ritrovarsi nella volontà di diversi editori, ad esempio di quelli vicini a Confindustria, la quale mai aveva fatto mistero di non gradire la presenza di Conte e le misure a sostegno delle classi più colpite durante la pandemia, etichettate da Bonomi come Sussidistan. Tuttavia, volendoci convincere che costoro siano dei rigidi osservatori dell’articolo 21 della Costituzione, evitiamo di additarli per malafede e preferiamo, piuttosto, pensare che la luce di Draghi sia così accecante da non far scorgere loro alcuni evidenti elementi.
In primis, i tanto vilipesi DPCM, che erano fonte di dittatura sanitaria e di deterioramento della centralità del Parlamento, finiscono per essere utilizzati dallo stesso Presidente del Consiglio. Che, intendiamoci, fa bene: se si volesse optare, ad esempio, per i decreti legge, questi dovrebbero essere convertiti entro 60 giorni in legge dalle Camere, il che creerebbe non poche difficoltà in uno stato di eccezionalità se la conversione non avvenisse. Con questo strumento, invece, è permessa una maggiore rapidità e non è comunque sciolto da vincoli, anzi si deve basare su una legge o su un decreto che ne decide i principi e i limiti.
Più volte, inoltre, è stato fatto presente l’eccessivo delegare agli scienziati – sempre da parte di Conte – che veniva visto come un deresponsabilizzarsi della politica, così sostituita dalla scienza. Eppure, Draghi sta continuando ad affidarsi al Comitato Tecnico Scientifico, così come vari Ministeri si dotano delle task force che ritengono necessarie. E in alcuni casi, va detto, non solo è utile, ma è anche giusto e doveroso fidarsi degli esperti: a parte che non si capisce come si possa fronteggiare un’emergenza sanitaria senza il coinvolgimento della scienza, ma questo è quanto avviene in ogni ambito, persino all’interno del potere giudiziario, dove le risultanze scientifiche sono talora necessarie per risolvere determinate controversie.
A tal proposito, un ulteriore fattore di continuità tra i due governi è emerso proprio in queste ore da un colloquio tra la neo Ministra Cartabia e i Presidenti delle Commissioni Giustizia di Camera e Senato. La Guardasigilli, infatti, intende proseguire la strada intrapresa da Bonafede, le cui riforme hanno costituito il principale punto di rottura – insieme alla gestione del Recovery Fund – del Conte bis. Ciò potrebbe significare, innanzitutto, che non viene modificata la riforma della prescrizione – cioè il vero punto di discordia tra gli alleati del precedente esecutivo – e che c’è la possibilità che sulla scrivania del Ministero di via Arenula rimanga anche la riforma della legge elettorale del CSM – per il quale Bonafede voleva introdurre la tecnica del sorteggio per scegliere tra chi votare – e la riforma del processo penale per cui lo stesso pentastellato voleva accorciare i tempi delle indagini preliminari.
Su queste pagine abbiamo sempre detto la nostra sugli errori di Conte e, per onestà, continueremo a farlo con Draghi, ma non è che qualcuno sta avendo difficoltà a vedere ciò che ha di fronte ai propri occhi?