Tra i tanti che stanno pagando sulla propria pelle gli effetti della crescente crisi economica ci sono anche i circoli associativi, quelli del terzo settore, che da ormai quasi un anno sono chiusi e non usufruiscono a pieno dei ristori previsti dal Governo. Si tratta di luoghi ricreativi, centri di legame con i territori, dove i più affezionati trascorrono le giornate svolgendo attività varie.
Basandosi quasi esclusivamente sull’autofinanziamento o su iniziative accessorie, adesso rischiano di scomparire, portando via con sé tradizioni popolari e pezzi di vita cittadina. Sono state diverse le manifestazioni e gli allarmi lanciati da queste realtà, tra tutte ACLI e ARCI, che si sono già mosse a livello territoriale e nazionale per denunciare le difficoltà che stanno vivendo.
Ne abbiamo parlato con Elena Pampana, membro della Presidenza Regionale di ACLI Toscana, e con Paolo Martinelli, presidente provinciale delle ACLI di Pisa.
Qual è, al momento, la situazione dei circoli?
«Al momento, i circoli sono chiusi perché la normativa in vigore non consente l’apertura neanche in zona gialla. Regione Toscana ha autorizzato l’asporto, ma questa misura è assolutamente marginale per le nostre strutture. Ovviamente, la chiusura, oltre a creare alla lunga anche problemi di sostenibilità economica, risulta incomprensibile ai nostri soci dato che fin da subito ci siamo attivati per adeguare attività e locali alle normative anti-COVID».
Siete riusciti a ottenere i ristori previsti dal Governo per bar e ristoranti?
«Essendo enti di terzo settore abbiamo caratteristiche totalmente differenti dagli esercizi commerciali: non abbiamo fatturato e abbiamo l’obbligo di aprire partita IVA solo in casi specifici e per attività che non rientrano in quelle istituzionali. Pertanto, non abbiamo i requisiti – se non in casi del tutto marginali – per l’accesso a queste forme di sostegno, ma abbiamo bisogno di fondi i cui requisiti di accesso siano coerenti con la normativa vigente per gli enti di terzo settore. Al momento, praticamente la totalità dei circoli ACLI presenti in regione sta coprendo i costi fissi con i risparmi messi da parte, ma anche queste risorse stanno esaurendosi e abbiamo bisogno quantomeno di poter riattivare le attività di autofinanziamento».
A cosa pensate che sia dovuta la diversità di trattamento tra bar e circoli?
«Mentre per i bar l’attività di somministrazione è di fatto l’attività principale, per noi invece è strumentale alle iniziative associative. Ne consegue che chiudendo queste ultime non può essere esercitata neanche l’attività a esse strumentale. A lungo andare, però, ciò crea dei problemi economici perché le sedi dei circoli hanno costi che vanno coperti anche in caso di chiusura delle attività (es. le utenze, l’affitto) e se il fondo comune dell’associazione non è più in grado di farvi fronte devono pensarci personalmente i componenti del direttivo. Sicuramente l’aver affidato al Ministero dell’Interno il compito di dare delle direttive anche agli enti di terzo settore, senza il necessario raccordo con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – che, invece, è il nostro Ministero di riferimento – ha contribuito a non tenere in debita considerazione le peculiarità delle associazioni».
Su quali misure di sostegno avete potuto contare, per ora?
«Regione Toscana, da questo punto di vista, si è attivata stanziando dei fondi che vanno a coprire i costi che un’associazione deve sostenere anche se resta chiusa, ma la chiusura sine die rischia comunque di non consentire la riapertura dei nostri presidi sociali sul territorio, nonostante questa preziosa misura».
Avete parlato con il Governo centrale o con loro delegati?
«È stato predisposto un emendamento come Forum Nazionale del Terzo Settore con il quale si chiede al Governo e al Parlamento di autorizzare almeno lo svolgimento delle attività di autofinanziamento, data l’eccezionalità del momento. Questa deroga, unita a un ampliamento del fondo straordinario che ha stanziato il Governo per il 2021, potrebbe essere una rete di protezione efficace per evitare la chiusura dei nostri presidi territoriali».
Al di là di questo periodo, vi risulta che ci sia abbastanza attenzione da parte delle istituzioni verso queste realtà locali?
«Nella nostra Toscana si è aperto un dialogo costruttivo con alcuni rappresentanti della Regione e di alcuni enti locali, con cui sono state costruite azioni di pressione sui livelli governativi e singole azioni di sostegno, seppur a oggi insufficienti rispetto alle necessità. Lungi dallo stilare graduatorie del bisogno in questa delicatissima fase del Paese, credo che il problema maggiore sia la scarsa consapevolezza da parte di molti amministratori pubblici della funzione che svolgono gli enti del terzo settore e, nel caso specifico, i circoli. Questa sensibilità non può essere lasciata alla buona volontà di qualche amministratore lungimirante, serve il recupero di una cultura della socialità che passi anche dalla formazione di chi amministra. Occorre riuscire a cogliere opportunità per una co-programmazione e co-progettazione condivisa tra istituzioni, imprese profit e terzo settore volta alla costruzione di una prospettiva condivisa del bene comune».
I singoli circoli stanno valutando attività alternative per andare avanti?
«La realtà dei circoli è a un bivio. Attendere inerme il corso degli eventi rischiando di rimanerne schiacciati oppure cogliere questo tempo per ripensarsi. Sperimentare nuove forme di partecipazione e di relazione che passino attraverso i sistemi digitali, approfondire e studiare tematiche utili per il rilancio della mission associativa, scambiarsi idee per preparare al meglio la stagione delle riaperture. Alcuni lo stanno facendo, altri fanno fatica. Chi già nella fase pre-COVID aveva diversificato le attività sviluppando iniziative culturali, di relazione e di prossimità aprendosi all’esterno e a nuove reti è riuscito anche in questa fase a proseguire il proprio impegno valorizzandolo in un momento di bisogno massimo in cui la collaborazione negli aiuti alle famiglie si è rafforzata. Sono nate iniziative di sostegno alla spesa, incontri tematici online, telefonate di compagnia e di sostegno ai soci e agli anziani, supporto digitale alle funzioni religiose delle parrocchie, attività di asporto. Molti altri con le strutture chiuse non sono riusciti a fare questo salto organizzativo o per motivi di contesto o per l’età avanzata dei soci, la fascia più a rischio in questa pandemia».
Tendenzialmente la loro economia si basa sull’autofinanziamento: ci sono difficoltà anche su quel fronte?
«Molte realtà, pur avendo un valore sociale e aggregativo importante essendo punto di riferimento nei paesi della provincia e nei quartieri periferici della città, si reggono su equilibri economici molto delicati dove la spesa corrente degli affitti, delle utenze e delle forniture si coprono proprio sui ricavi del bar, nella quasi totalità dei casi gestiti da volontari. Altre fonti di finanziamento come le quote da tesseramento o saltuarie sponsorizzazioni non sono in grado di garantire il mantenimento delle strutture e delle attività istituzionali».
C’è il rischio, dopo aver a fatica superato il primo lockdown, che possano chiudere definitivamente, se la situazione attuale continuerà a lungo e se non ci saranno aiuti da parte dello Stato?
«Il rischio è più che reale. Col tempo le spese corrono e i ricavi per l’autofinanziamento si azzerano. I legami relazionali basati sulla presenza quotidiana dello stare insieme si allentano. Spegnere la luce in molti casi può significare spegnerla per sempre…».
Avete in mente delle attività innovatrici da portare avanti quando si potrà ripartire?
«Le ACLI pisane, così come molte altre province, hanno lavorato in questo periodo su molteplici fronti. Oltre al supporto per una corretta interpretazione della normativa in continua evoluzione, sono state organizzate svariate iniziative tematiche online finalizzate a tenere unita la rete dando spunti di riflessione in tema di animazione della città, prevenzione e contrasto al gioco d’azzardo patologico, approfondimenti in tema di povertà e dei consumi attraverso la presentazione di strumenti di prevenzione come il bilancio familiare, costruzione della memoria condivisa e molto altro. Sono stati sperimentati inoltre progetti come Telefon’ACLI di contrasto alla solitudine degli anziani, Una mano per la spesa, a supporto delle famiglie in difficoltà durante il lockdown, supporto alla compilazione delle domande di sostegno al reddito e bonus vari. I circoli con la loro ripartenza dovranno fare tesoro di questo piccolo patrimonio di spunti di idee e sperimentazioni o cercarne altre in autonomia per ampliare l’offerta delle strutture ai soci e alle comunità che li ospitano, riuscendo a trovare nei singoli contesti e costruendo in loco nuove alleanze per rispondere più adeguatamente ai bisogni del territorio».