Il 21 gennaio 2021 sono trascorsi cent’anni dalla nascita del Partito Comunista d’Italia. C’è, però, anche un’altra data che è entrata nella storia. In quella di un’importante città campana, almeno: era il 20 gennaio 1921 quando i fascisti in camicia nera diedero l’assalto al municipio di Castellammare di Stabia, all’epoca governata da un socialista. L’eccidio di Piazza Spartaco rimane ancora oggi una delle pagine più tristi della violenza squadrista nel Paese.
Castellammare in quegli anni era già città operaia. La città dei cantieri navali, delle fabbriche e delle grandi concentrazioni proletarie. Una storia che avrebbe resistito al fascismo e si sarebbe riversata negli anni della Prima Repubblica, poi in quelli della Seconda. Da un po’, però, il paesaggio a Castellammare non è più lo stesso. Una dietro l’altra, realtà industriali che hanno segnato le vite di migliaia di famiglie hanno lasciato il passo a capannoni vuoti e scheletri di corpi che non sono più. Non è il passato, ma il presente che rischia di tagliare le gambe al futuro.
Il 18 dicembre 2020, a una settimana dal Natale, quando sul posto di lavoro si pensa alle ferie, alla tredicesima, al riposo, ai regali, per gli ottantuno dipendenti della MeridBulloni (MEB) arriva la doccia gelata. Quando ancora il sole combatte con la notte per farsi spazio, chi arriva per timbrare il cartellino viene fermato dalla vigilanza. Non si lavora, decisione dell’azienda. C’è confusione, non se ne capisce bene il perché. Poi, col sole che avanza, la nebbia si dirada e la mazzata arriva in pieno viso. Il brianzolo Gruppo Fontana S.p.A., proprietario della fabbrica di Corso De Gasperi che produce bulloni, viti, rondelle, da ormai cinque lunghi decenni, spiega tutto in una letterina. Gli operai devono capire, il 2021 si annuncia come un anno duro. La crisi del mercato avanza, i tradizionali clienti francesi prevedono tagli alla produzione, dunque agli acquisti, alcuni prodotti non saranno addirittura più sul mercato. C’è bisogno, quindi, di far fronte al cambio di scenario, di efficientare, razionalizzare. Parole che da anni leggiamo sui giornali e nelle lettere dei CEO delle grandi aziende che nascondono una realtà immutabile per i lavoratori: lacrime e sangue.
Gli operai della MeridBulloni vengono messi davanti a un bivio: per chi accetta il trasferimento a novecento chilometri da casa un posto di lavoro c’è alla IBS, l’azienda del Gruppo Fontana in cui la MEB si fonderà per incorporazione. Ma bisogna decidersi in fretta, la data limite è il 1 febbraio. Per gli altri? Per loro si apre lo scenario della disoccupazione, perché il Gruppo Fontana ha deciso: la fabbrica di Castellammare deve chiudere, non ci sono alternative. Scelta? Ricatto? Dipende dal punto di vista che si assume, perché nemmeno pescare una parola dal vocabolario è un’operazione neutra. Per gli operai non c’è dubbio: sono licenziamenti mascherati da trasferimenti, anche perché i provvedimenti governativi impediscono l’espulsione di manodopera fino al 31 marzo. Ed è a questo punto che inizia un altro pezzo di storia, quello della Resistenza MeridBulloni.
Chi li sente nelle prime ore riporta la stessa impressione: sono in stato di shock, ma non quello comico alla Renzi. Quello drammatico di uomini cui sta per cadere il mondo addosso con tutte le poche ma dignitose sicurezze della vita di un manovale. Le prime azioni sono forse dei riflessi quasi pavloviani, apprese alla scuola di una lotta di classe che in qualche modo deve essere entrata nel sangue di operai figli di una città operaia. E, così, si tira su un presidio, che fin da subito si annuncia come permanente, fino alla risoluzione – positiva – della vertenza. Si bloccano le merci in uscita, prodotti dal valore di milioni di euro che pure la proprietà con un’azione maldestra prova a tirar fuori dai magazzini. Da questo momento, la battaglia si gioca su due piani che si intersecano e che, per certi versi, è impossibile scindere del tutto. Da un lato, lo scontro tra l’azienda e i suoi dipendenti, tra la ricerca di maggiori profitti – o salvaguardia di quelli attuali – e il diritto al lavoro e a un salario. Due ragioni, entrambe sostenute da pezzi di legislazione che lasciano ai rapporti di forza l’ultima parola su dove penderà la bilancia. Dall’altro, una battaglia più ampia, che travalica i confini della MEB e interroga una città e un’intera regione sul proprio futuro.
A poche ore dall’annuncio del Gruppo Fontana S.p.A. si fa largo una voce inquietante sui reali motivi della chiusura decisa dai brianzoli. Alcuni quotidiani iniziano a parlare dell’interesse di non meglio precisati gruppi imprenditoriali per i terreni su cui insiste il sito della MeridBulloni. Corso De Gasperi, infatti, affaccia sul mare, che alcuni considerano risorsa non adeguatamente sfruttata. Sono gli stessi che preconizzano da anni un futuro radioso per la città purché la faccia finita con l’industria e si butti a capofitto nell’economia turistica, vero volano dello sviluppo di tutto il litorale. Pare che la pandemia non sia mai esistita a mostrare tutte le fragilità della monocultura turistica. Ma tant’è… Si parla addirittura della cifra sul tavolo: alla MEB sarebbero giunte offerte da 50 milioni di euro per cedere i terreni. Soldi che servirebbero a spianare la strada per la costruzione di alberghi e strutture turistiche.
C’è però, a questo punto, un altro dubbio che si insinua: che i rumors siano in realtà introdotti ad arte per sviare dai veri interessi in campo. Un video che girava su Facebook già nel 2018, infatti, disegnava il masterplan per quell’area di Castellammare. Al posto della MeridBulloni non era prevista la costruzione di alberghi sul mare, bensì di un mercato ittico, di una struttura che qualcuno definirebbe di interesse collettivo e non turistico. Definizioni che possono sembrare ridondanti, secondarie, quando in campo c’è la necessità di salvare ottantuno posti di lavoro. Eppure, hanno la loro importanza. Perché, ad esempio, servono a capire quanto accade alla vigilia di Natale al Consiglio Comunale di Castellammare di Stabia. In quell’occasione, viene approvato all’unanimità un ordine del giorno che prevede che il Comune, nel caso la MeridBulloni dovesse davvero andar via, non possa destinare quei terreni a un uso turistico. Buona notizia, a leggerla superficialmente. In effetti, così l’area diminuisce il suo valore e diviene meno appetibile per gli speculatori. Allo stesso tempo, però, l’ordine del giorno non prevede il vincolo industriale: in parole povere, significa che in futuro non è necessario che lì sia impiantata una nuova attività di industria. E allora per cosa potrà essere usato quel pezzo di città? Destinazione a strutture di interesse comune, recita il documento. Un mercato ittico rientra in questa casistica?
Che qualcuno stia provando a sgomberare l’area? Anche a leggere i più recenti sviluppi questo sospetto non svanisce. Negli ultimi giorni si è fatto avanti un compratore, l’emiliano Vescovini. Un concorrente del Gruppo Fontana che, in un’uscita pubblica su Facebook, ha dichiarato di essere pronto ad assumere cinquanta, sessanta dipendenti della MeridBulloni, proponendo loro un anno di formazione a Monfalcone (GO), in Friuli Venezia Giulia, in attesa di tornare a Sud una volta terminate le operazioni di installazione dei nuovi impianti. Tuttavia, nello stesso comunicato, Vescovini afferma di essere interessato esclusivamente alla professionalità degli operai e non alla fabbrica e ai macchinari. Conseguentemente, è disposto ad avviare le attività produttive anche in altra zona. Così il rebus, a oggi, non ha ancora soluzione. In questo modo, a guadagnarci potrebbe essere il Gruppo Fontana, nelle condizioni di fare tranquillamente armi e bagagli nell’infamia pubblica, ma senza alcuna ripercussione e avendo portato a termine l’operazione che aveva in testa fin dall’inizio. Anzi, laddove riuscisse nell’intento di cedere i terreni a qualche danaroso compratore, potrebbe portare al Nord un bel po’ di quattrini.
A guadagnarci, però, potrebbe essere anche Vescovini: se tutto andrà a buon fine, potrà dirsi contento per aver acquisito manodopera altamente qualificata, orgoglio di Castellammare, nei numeri e alle condizioni a lui più congeniali. Guadagnerà, inoltre, i galloni di salvatore della patria, ricavandone un debito di riconoscenza che potrebbe esigere successivamente. A guadagnarci, infine, potrebbe anche essere quel pezzo di imprenditoria interessato alla costruzione di un mercato ittico o, comunque, di strutture di interesse collettivo: chiusa la MEB, potrebbe acquisire i terreni e portare avanti i progetti tenuti nel cassetto da tempo. Siamo dunque in una situazione win-win, dove vincono proprio tutti? Al momento, chi rischia di perderci sono i lavoratori.
Rispetto al 17 dicembre, il giorno precedente la doccia gelata, la possibilità di un passo indietro è concreta. La paura della chiusura, della disoccupazione, del ricatto dei trasferimenti ha giocato e gioca un ruolo fondamentale. Bisognerà continuare a monitorare gli sviluppi di questa battaglia affinché il nuovo proprietario assuma tutti i dipendenti a oggi in organico e lo faccia a condizioni uguali o migliori rispetto a quelle in vigore. In tal caso, forse, si potrà parlare di vittoria anche per loro e per tutta Castellammare, che nelle notti di questo inverno freddo ha saputo riscaldare gli ottantuno lavoratori nelle tende in presidio permanente col calore della solidarietà, di pizze donate la sera, chiacchierate e visite ai cancelli, di costruzione di una comunità intorno a un pezzo di città che può rispolverare nobili antenati e andare fiero della propria storia e del proprio presente.
Immagini di Romano Maniglia ©