La crisi è servita. Come previsto, Matteo Renzi ha comunicato – nel corso di una conferenza stampa indetta ieri alla Camera – il ritiro dei Ministri Bellanova e Bonetti e, dunque, la crisi di governo. L’esperienza del Conte-bis potrebbe, quindi, volgere al termine, pare difficile – a oggi – ipotizzare un rimpasto che preveda l’attuale maggioranza in una nuova coalizione con la complicità di Italia Viva.
«La crisi di governo è aperta da mesi, e non è stata aperta da noi», ha dichiarato il senatore toscano. I temi del contendere sono quelli che abbiamo analizzato soltanto lunedì scorso e che hanno scatenato un acceso dibattito sui social network: il piano di accesso al Recovery Fund, l’utilizzo del MES per la sanità, la gestione dei vaccini, il ruolo del commissario Arcuri e la delega ai servizi segreti. «Davanti a questa, il senso di responsabilità è quello di risolvere i problemi, non nasconderli», ha aggiunto.
Avevo titolato il mio ultimo articolo E se Matteo Renzi avesse ragione?, cercando – attraverso una provocazione – di accendere un dibattito costruttivo non tanto su quanto fosse corretto aprire una crisi di governo in un periodo così delicato come l’emergenza pandemica mondiale, quanto per puntare i riflettori sulle negligenze di un governo che – Renzi o non Renzi – dimostrava di non essere in grado di gestire il delicato presente e soprattutto di programmare un incerto futuro.
In poche ore, la disamina che proponevo ai lettori di Mar dei Sargassi delle argomentazioni con cui il leader di IV stava minando all’esecutivo di Giuseppe Conte aveva scatenato un dibattito senza precedenti per questo giornale. Ed eccoci: la crisi è stata ratificata e i dubbi su quale fosse il vero movente di Renzi hanno preso la forma che tutti ci aspettavamo. «Noi non giochiamo con le istituzioni, la democrazia non è un reality show», ha sottolineato l’ex Premier mentre illustrava che i suoi 18 senatori (su 160) stavano gettando l’Italia nell’incertezza politica e programmatica per i mesi a venire.
Insomma, il senso di responsabilità che Matteo Renzi ha più volte invocato per scongiurare la crisi è esattamente ciò che lui stesso ha deciso di non adoperare. Perché se è vero che buona parte delle criticità illustrate dal senatore sono assolutamente condivisibili, è altrettanto onesto registrare l’apertura del Premier Conte sui fondi da dedicare alla sanità e l’ipotesi di una nuova gestione dei servizi di intelligence, dunque a un tavolo di confronto che Renzi ha deciso comunque di far saltare.
Con il passo indietro di Italia Viva, il dibattito si riduce a una semplice lotta di spartizione del grano, una discussione che potrebbe tirare dentro – come per magia – persino le forze di centrodestra (in particolar modo Forza Italia), interessate dall’ipotesi di una larga coalizione condotta da un uomo come Mario Draghi. Un governo di scopo, dunque, istituito al solo fine di guidare l’Italia fuori dall’emergenza coronavirus che garantirebbe una ripartizione dei 209 miliardi comunitari tra tutti i gruppi parlamentari della nuova maggioranza.
Una previsione – quella appena illustrata – di cui, però, Renzi non sembra l’unico colpevole. Certo, il Jep Gambardella in salsa fiorentina della politica italiana pagherà con il calo definitivo dei suoi consensi questa mossa opportunistica e quasi sconsiderata, ma le concause della continua instabilità della XVIII Legislatura vanno cercate anche nelle effimere occasioni in cui il suo antagonista, il Premier Conte, ha pensato di coinvolgere il Parlamento nelle fasi decisionali – gestite unicamente tramite DPCM –, e nello scarso polso del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, quando nel 2018 attese oltre tre mesi la formazione di un governo che cambiò proposte di maggioranza almeno tre volte.
A ogni modo, Renzi ha fatto sapere che non chiuderà all’ipotesi di ritrovare l’intesa con il Premier Conte e i grillini. Maestro di (in)coerenza – e, chissà, abile lettore dei sondaggi che lo darebbero fuori dal Parlamento – non ha lasciato il minimo spazio alla possibilità di un ritorno anticipato alle urne: «Quali sono gli sbocchi della crisi spetta a Conte deciderlo. Non accetteremo ribaltoni che prevedano la destra sovranista e antieuropeista. Poi siamo pronti a discutere di tutto. Non si vota ora, perché in Parlamento ci sono le condizioni per non andare alle urne».
Tradotto: se Italia Viva avrà un ruolo centrale nel progetto della nuova maggioranza, non ci saranno problemi a continuare l’esperienza di governo attuale, altrimenti, toccherà fare la conta. Ogni richiamo alla responsabilità si riduce, così, in un nuovo slogan propagandistico. Ancora una volta, accentra su di sé l’attenzione, svilisce il ruolo dei suoi Ministri e mette a rischio il lavoro di chi si è impegnato – in questi mesi – per la salvaguardia della popolazione, offrendo l’ennesimo assist proprio a quel populismo e alla destra sovranista che dice di voler combattere.
E, allora, il sottoscritto non può non chiudere questo pezzo come ha già fatto solo tre giorni fa e ribadire quanto Matteo Renzi sia un fine stratega, uno straordinario opportunista che, ancora una volta, sta mettendo l’interesse della propria parte davanti a quello dell’intero Paese. A nulla vale il confronto – anche quando i punti di discussione sono tutt’altro che inopportuni – se poi, alla fine, l’eccitazione che gli provoca il dimostrare di poter giocare con il Parlamento, con la politica, con il futuro di un intero Paese a proprio piacimento, vince sempre sulla ragione e sulla cooperazione.