La Corte antiterrorismo del Cairo ha rinnovato la custodia cautelare di Patrick Zaki di altri quarantacinque giorni. L’attivista per i diritti umani è in carcere da ormai dieci mesi con l’accusa di propaganda sovversiva, diffusione di notizie false e istigazione alla violenza e a crimini terroristici. Imputazioni che si riferiscono a presunti post Facebook che lo studente egiziano avrebbe scritto nel settembre 2019 e che i suoi avvocati non hanno mai avuto la possibilità di vedere, trattandosi molto probabilmente di falsi.
La custodia cautelare è uno strumento che in Egitto viene utilizzato molto spesso a fini repressivi contro coloro che il regime considera dissidenti pericolosi ma, come sottolineato dai legali, la misura non ha alcun fondamento nel caso di Zaki poiché non c’è alcuna prova contro di lui che potrebbe essere manomessa. Inoltre, la sua residenza è comprovata e definita, dunque non sussiste alcuna necessità di una preventiva carcerazione. Il caso è ora giunto in una fase in cui le proroghe non riguarderanno più quindici giorni, ma ben quarantacinque, e la notizia del rinnovo è arrivata proprio nel momento in cui una piccola speranza aveva visto la luce dopo la liberazione di tre attivisti dell’associazione Egyptian Initiative For Personal Rights, di cui anche Patrick fa parte. Gasser Abdel Razek, Karim Ennara e Mohamed Bashir sono infatti stati scarcerati dopo due settimane di detenzione e un appello di numerosi volti illustri, tra cui l’attrice Scarlett Johansson.
La liberazione aveva fatto ben sperare l’opinione pubblica, mentre numerosi dubbi erano stati espressi da Huda Nasraallah, legale di Zaki, che solo pochi giorni fa aveva avuto l’opportunità di incontrarlo nel carcere di Tora per la prima volta da quando è stato arrestato. Nasraallah si era detta molto preoccupata, soprattutto nello scoprire che per tutti questi mesi il giovane non ha avuto neanche un letto su cui dormire, trovandosi in una cella completamente vuota.
Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, ha affermato la necessità di un’azione internazionale che parta dall’Italia stessa, le cui autorità sembrano, però, far finta di nulla. Nessuna dichiarazione del Ministro degli Esteri Luigi di Maio al momento, dopo che pochi mesi fa aveva assicurato di star lavorando per fare chiarezza sulla vicenda Giulio Regeni – della cui morte continua a non sapersi nulla a quasi cinque anni di distanza – ma, soprattutto, per porre fine all’ingiusta detenzione di Patrick Zaki. Eppure, nulla è stato fatto e probabilmente il suo lavoro è stato soltanto orientato a stringere nuovi accordi economici e commerciali con l’Egitto. Basti pensare alla vendita al regime di Al-Sisi di due fregate militari del valore di 1.2 miliardi di euro tramite Fincantieri, azienda pubblica – su cui, quindi, lo Stato esercita il proprio controllo – o all’accordo per successive quattro navi da vendere nei prossimi mesi.
Forse, quanto detto da Emmanuel Macron chiarisce le idee su quella che è la posizione di tutte le democrazie occidentali le quali, ricordiamo, hanno riempito di plausi l’Italia e si sono mangiate i gomiti per non averle soffiato l’affare: il Presidente francese, dopo un incontro con il collega egiziano Al-Sisi, ha avuto modo di sottolineare che i due hanno qualche disaccordo in tema di diritti umani, ma questi non possono condizionare la cooperazione in tema di difesa ed economia. E sembra pensare lo stesso il nostro governo quando, rifiutandosi di ritirare l’ambasciatore in Egitto e chiedere risposte certe, prosegue con la vendita di armi, arricchendo così un regime che porta con sé devastazione e morte. Dal 2016, infatti, le licenze per l’esportazione militare dell’Italia al regime di Abdel Fattah Al-Sisi sono cresciute progressivamente, fino a raggiungere nel 2019 il valore di 871 milioni di euro. Dunque, non può che apparire ambiguo l’atteggiamento del nostro Paese che da un lato, e semplicemente a parole, chiede verità, riempiendosi la bocca di vuoti appelli per Giulio Regeni o Patrick Zaki, ma dall’altro, raddoppia, triplica, centuplica i suoi affari con i carnefici dei difensori dei diritti umani.
E, così, reiterate violazioni, soprusi, violenze, detenzioni ingiuste diventano, con il solo potere del denaro, piccoli disaccordi su cui si può sorvolare, magari giustificandoli con la sovranità dello Stato. Vicende da risolvere con strette di mani, sorrisi e, perché no, qualche miliardo di euro guadagnato con un piccolo aiuto per seminare morte. Intanto, timide reazioni si sono levate dopo la notizia del rinnovo della detenzione per Patrick: Zingaretti ha promesso di tenere alta l’attenzione e la pressione, l’europarlamentare 5 Stelle Fabio Massimo Castaldo ha chiesto un intervento, eppure risuonano ancora come vuote parole che cozzano con i fatti, faccende di cui nessuno sembra avere il tempo di occuparsi, mentre si è troppo attenti ad assicurare alle multinazionali affidamenti in Egitto per giacimenti di gas e armi.
Mentre Zaki rischia venticinque anni di detenzione e – diciamolo con franchezza – persino una morte misteriosa in carcere, tutto tace. Mentre la famiglia di Giulio chiede giustizia, tutto tace. Mentre si getta fango sulla liberazione di Silvia Romano, tutto tace. Mentre i genitori di Mario Paciolla giurano che non può essersi trattato di suicidio, tutto tace. Tutto l’esecutivo tace. Il silenzio incombe e perdura, si fa protettore di abusi e verità nascoste mai richieste dalle nostre autorità, mentre il denaro prende il posto degli uomini, li piega e fa chiudere loro gli occhi. In una democrazia che oramai è completamente dissolta.