Possiamo anche smettere di meravigliarci di quanto succede nella politica di casa nostra – e lo abbiamo fatto –, così come possiamo cominciare a rimanerne disgustati, e accade non di rado. Addirittura, possiamo iniziare a osservarla con occhio cinico e distaccato ma, forse, questo non succederà mai. Gli spettacoli quotidiani di cui ci deliziano i nostri rappresentanti, però, continueranno comunque ad avere luogo e, per chi avrà smesso di disperare, rivelarsi un divertimento assicurato.
Il voto – per fortuna – unanime del Senato sullo scostamento di bilancio, ad esempio, rappresenta solo una pia illusione che non ha niente a che vedere con lo spirito di unità richiesto dal Capo dello Stato, le cui speranze sulla possibilità di una collaborazione tra le forze parlamentari è stata travisata e trasformata in tutto fuorché in quello che aveva richiesto. Eppure non era necessario un interprete per capire che la sua sacrosanta richiesta non corrispondesse a un messaggio subliminale di governissimo, dove mettere tutti dentro, compresi magari anche coloro che si odiano e non governerebbero mai insieme o coloro che hanno governato insieme e ora si odiano e così via. Fatto sta che le parole di Mattarella hanno costituito il pretesto, non per sua volontà, di iniziare a trafficare e inciuciare qua e là o, nella migliore delle ipotesi, per chiedere rimpasti.
Capiamoci meglio: credere che alcuni Ministri siano inadeguati rispetto al ruolo che svolgono perché non all’altezza è del tutto legittimo. E se si pensa che l’inefficienza dei trasporti e dei mezzi pubblici affollati potesse essere risolta diversamente è più che lecito chiederne conto alla Ministra De Micheli, per citarne uno. Quello che, però, è inconcepibile è che questo venga chiesto da membri della maggioranza per colpire la maggioranza stessa. Un metodo che definiremmo tafazziano, se non sapessimo che a chiederlo è Matteo Renzi, storicamente il principale nemico degli esecutivi da lui stesso sostenuti, che oggi pretende di rimescolare i ruoli con la prepotenza di chi guida un partito che non cresce e che rappresenta solo la quarta gamba del governo.
In fondo, stiamo parlando dello stesso soggetto che fino a due anni fa era segretario del PD, ossia il principale partito (per numeri) di centrosinistra, e che qualche giorno fa ha scritto un’imbarazzante lettera nella quale affermava che la sinistra radicale sa fare solo opposizione e che le elezioni si vincono al centro: lettera pubblicata – guarda caso – su la Repubblica, che da tempo sta migrando verso nuovi lidi. Pensate a quanto poco abbia capito Renzi di quello che gli è successo in questi anni e cioè che la gente ha smesso di votarlo – e di ascoltarlo – proprio perché non ha mai rappresentato un’idea o uno schieramento nel quale sentirsi rispecchiati, ma solo posizioni utili per mandare avanti la sua cerchia.
L’unico che, invece, si mostra per ciò che è sempre stato, cioè attento esclusivamente al proprio tornaconto e al proprio portafogli, è Silvio Berlusconi, che utilizza puntualmente lo stesso metodo, con l’interlocutore di turno che ci casca ogni volta: succede con D’Alema ai tempi della Bicamerale, quando fino all’ultimo finge di starci e poi fa saltare il banco. Succede con Monti nel 2012, quando vota la fiducia, lo sostiene e gli rivolge parole dolci prima di dire che ha subito un golpe. Infine, succede con Renzi, con il quale sigla il Patto del Nazareno e poi gli volta le spalle. In tutte queste occasioni, il Caimano dapprima si eclissa, come se sparisse dalla circolazione, mandando avanti i suoi, poi si mostra come padre nobile e responsabile che si dà le arie del vecchio saggio che abbassa le armi e va dagli avversari: sono emblematiche le recenti telefonate in diretta a Che tempo che fa e a Di Martedì, durante le quali ha sincerato tutti sulle sue condizioni, lanciando il suo intento collaborativo proprio davanti a due conduttori con i quali negli anni di certo non ha mancato di scontrarsi. Ora lo sta facendo con questo governo e probabilmente poco gli importa di entrare nell’esecutivo: l’importante è proteggere la roba, e ci è riuscito anche stavolta, ottenendo l’emendamento salva Mediaset – inserito inspiegabilmente nel decreto COVID – che ostacola la scalata di Vivendi al Biscione.
Il tutto avviene – novità degli ultimissimi giorni – mentre Brunetta, uno dei fedelissimi del capo di Forza Italia, dipinge Di Maio come un leader brillante, al quale riconosce la fatica che fanno i veri leader, la più gravosa, quella di rendersi protagonisti della necessaria metamorfosi delle forze politiche che guidano. Ecco, Di Maio sta trasformando un movimento caotico in un partito strutturato e responsabile. E queste imprese non le raggiungi se non sei un leader.
Insomma, riguardando alla nostra politica, capite perché si fatica a non ridere?