L’ambiente artistico e culturale scosso da episodi di molestie mette di fronte a un’evidenza amarissima da digerire: quanto l’abuso sia capillarmente avviluppato al nostro tessuto sociale. Ci interroghiamo spesso sulle azioni e il reato del singolo senza quasi mai scendere nel torbido per affrontare il problema da un punto di vista globale, di sistema. La questione diventa quasi subito di carattere morale, si concentra su chi ha subito abusi, abbattendosi con mille e mille congetture sulle responsabilità della vittima nella vicenda, scandagliando con piglio da detective tutti i suoi atteggiamenti, le situazioni considerate sconvenienti nelle quali si è cacciata, gli eventuali scatti di carriera cronologicamente successivi all’abuso subito. È una dinamica che non spesso tutela chi è stato aggredito o molestato, poiché il soggetto offeso rischia di rimanere schiacciato dal peso della propria testimonianza.
Analogamente, concentriamo l’attenzione sulla condanna, l’isolamento, la punizione del molestatore: il sistema fa gruppo rinnegando la mela marcia, esiliandola, promettendo di essere cambiato, per poi continuare, a porte chiuse, a predicare e praticare i dogmi del sessismo, ad avvolgere tutti nelle spire di potere tossico che si autoalimenta e si garantisce la sopravvivenza.
Il mondo del fumetto non è esente dagli episodi di molestia e tossicità. In quest’ambito (per anni considerato, narrato, vissuto quasi esclusivamente al maschile) le storie di abuso viaggiano per moltissimo tempo sussurrate a mezza bocca, tramandate come segreti di pulcinella tra addetti del settore e appassionati. Poi, la scorsa estate, su Twitter vengono fuori le prime denunce di grooming contro Warren Ellis, uno dei nomi più noti e blasonati del fumetto statunitense. Se ne parla per settimane, le maglie del silenzio si allentano e anche in Italia si alzano le prime voci. A fare il punto della situazione nel Paese, in un suo articolo su StayNerd, è la giornalista Francesca Torre.
Questa è la genesi di Moleste, il collettivo femminista nato con l’intento di sradicare i comportamenti abusanti nel mondo del fumetto attraverso il supporto diretto alle vittime e la sensibilizzazione sul tema. L’approccio di Moleste è inclusivo a 360 gradi e la sua politica si riflette nella scelta di utilizzare un linguaggio che privilegi il neutro, ottenuto mediante il simbolo schwa. Tale scelta ha il doppio pregio di non trascurare nessuno e di garantire l’anonimato completo a chi si avvale dell’aiuto del collettivo o decide di raccontare la propria esperienza. Abbiamo intervistato Carmen Guasco, membro del nucleo operativo:
Come è nato Moleste? C’è stato un evento scatenante che vi ha portato a organizzarvi in collettivo?
«L’articolo di Francesca Torre è stato come una mano tesa in direzione di tuttə coloro che si sono riconosciutə in quelle dinamiche. Una chiamata alle armi, per semplificare il concetto, che ci ha portatə a riunirci, confrontarci e scoprire che non eravamo solə. Chiaramente non avevamo ancora idea di cosa fare e come. Così, giorno dopo giorno, abbiamo messo a punto ogni singolo aspetto di Moleste e siamo ufficialmente nate agli occhi del mondo il 27 ottobre 2020».
Il fumetto, soprattutto mainstream, è stato per molto tempo roccaforte maschile. Ancora oggi le posizioni di potere nel settore sono prevalentemente occupate da uomini. Che correlazione c’è, secondo te, tra gli abusi e la preclusione di quelle stesse posizioni a donne e persone della comunità LGTBQ+? Quali sono gli obiettivi di Moleste per la parità?
«Nutro il bisogno di puntualizzare che, a mio avviso, il fumetto sia diventato roccaforte maschile durante un’epoca ben precisa: quella di regressione sociale portata dalla corrente reaganiana. Senza il lavoro di leadership di donne come Tea Bonelli o delle sorelle Giussani, per esempio, oggi non avremmo i due personaggi più iconici e longevi del fumetto popolare italiano: Tex (Edizioni Audace, poi Sergio Bonelli Editore) e Diabolik (Astorina). C’è una correlazione di carattere meramente culturale, legata a un conservatorismo involutivo riscontrabile non solo nel mondo del fumetto, ma nel contesto italiano globale. L’unico obiettivo che perseguiamo è creare consapevolezza attiva e possiamo raggiungerlo solo attraverso l’informazione e il dialogo, nel pieno rispetto del prossimo».
La vostra decisione di denunciare anonimamente gli abusi e di puntare l’accento più sull’atto che sugli attori vi pone in una posizione diversa da altri movimenti, il più famoso dei quali è certamente il #MeToo. Cosa vi ha spinte a scegliere questa modalità?
«Il movimento #MeToo ha avuto il merito di abbattere un muro prima considerato indistruttibile. Ma cosa è successo, dopo? Ci si è concentrati sui nomi, sulla veridicità di quanto avvenuto e sul mettere in piedi un tribunale alimentato dall’indignazione popolare. Noi non crediamo nel giustizialismo. Chiunque voglia portare avanti una causa avrà il nostro più pieno supporto, ma in tribunale. Non sosterremo alcuna spettacolarizzazione delle vicende, per rispettare ogni singola testimonianza e per far sì che non venga dimenticata a scapito di un nome più grosso. Quello che ci interessa non è far cadere teste, ma far sì che quanto avvenuto non si ripeta più. E per farlo bisogna operare agendo sul lungo periodo e meno chiasso, partendo dall’educazione al problema al fine che non si perpetri. Non soffocandolo senza spiegarne le ragioni».
Le testimonianze rese in forma anonima sul vostro sito raccontano spesso di abusi perpetrati tra le mura di un’aula. Secondo la tua opinione e la tua esperienza, cosa rende l’ambiente delle scuole di fumetto così vulnerabile agli episodi di molestia?
«Il primo problema delle scuole di fumetto è che sono istituzioni private, composte da professionistə del settore non formatə realmente alla pedagogia. Non fraintendermi: moltə di loro sono ottimə docentə e io stessa sono felice del percorso in cui ho scelto di diplomarmi, poiché ho avuto la fortuna di interfacciarmi con persone che sono per natura mentorə prima ancora che insegnantə. Ma non sempre è così. Spesso l’assenza di obbligatorietà di frequenza, una visione a tratti hobbistica della didattica e la leggerezza insita nella Nona Arte vengono traslate in comportamenti non del tutto appropriati, che non tengono conto dell’impossibilità, da parte dell’allievə, di far rispettare il limite a confidenze avanzate, a volte, senza alcun diritto. Battute indelicate, atteggiamenti mortificanti o addirittura l’avvio di episodi di bullismo da branco sono solo alcune delle dinamiche che si possono riscontrare all’interno di una classe. Episodi che non dovrebbero avvenire, mai. L’insegnante può sicuramente creare un ottimo rapporto con il gruppo classe, ma deve anche mantenere il distacco e il rispetto dei ruoli. All’alunnə non dovrebbe mai essere chiesto di mettere dei paletti, poiché la responsabilità è di chi è sedutə in cattedra. Per di più è totalmente ingiusto, nel preciso istante in cui l’alunnə non riesce a farlo, accusarlə di aver poi permesso il perpetuarsi di situazioni come quelle che ho descritto prima, se non pure peggiori. Insegno fumetto agli adolescenti e scoprire che alcunə miə colleghə hanno abusato di loro alunnə mi ha non solo indignata, ma mi ha anche fatta sentire obbligata a reagire. Costoro offendono prima di tutto il ruolo di docente e la Nona Arte, rendendola invisa a quanti invece potrebbero scoprirla e amarla».
Nel vostro Manifesto fate cenno ai comportamenti abusanti nel mondo del fumetto. Si tratta di un termine che racchiude moltissime sfumature. Ci sono dei campanelli d’allarme? C’è modo per unə giovanə fumettista di capire quando è il momento di chiedere aiuto?
«Molto spesso è difficile riconoscere i campanelli d’allarme, per chi vive una condizione abusante: molte personalità tossiche si rivelano tali dopo aver già segnato profondamente l’altrə. L’unico consiglio che mi sento di dare è di non ignorare le sensazioni di disagio e di non forzarsi a soffocarle. Di non dirsi, insomma: sto esagerando, andrà tutto bene. Se il comportamento di qualcunə, nei tuoi confronti, ti provoca malessere, non sottovalutarlo. Ma soprattutto, non pensare mai di essere solə».
Chi può rivolgersi a Moleste?
«Vogliamo ascoltare e aiutare chiunque si riconosca in una qualche forma di abuso, senza discriminazione di alcun genere. Sì, anche se siamo declinatə al femminile e vestiamo di rosa».
Come contattare Moleste?
«Sul nostro sito esistono tutte le indicazioni per poter contattare i CAV più vicini alla propria posizione geografica, o i contatti e-mail per poterci inviare le testimonianze, iniziare un dialogo con noi o chiederci partecipazioni a eventi e/o interviste. Ovviamente siamo presenti anche sui social (Facebook come pagina e gruppo, Instagram e Twitter), sicché è possibile anche contattarci tramite quei canali».
Che tipo di aiuto o supporto offrite a chi vi contatta?
«Uno dei pilastri del collettivo sono le nostre affiliazioni con i CAV: chiunque necessiti di supporto legale o psicologico, può rivolgersi a uno degli sportelli con i quali collaboriamo o chiederci di effettuare noi un primo contatto. Il parere e la professionalità di una persona esperta sono fondamentali e non possiamo, né tantomeno desideriamo rischiare di fare del male a persone che necessitano di aiuti concreti. Non è ovviamente obbligatorio testimoniare per poter chiedere aiuto: posto che tutto viene effettuato con discrezione e nel pieno rispetto dell’anonimato (garantito da moduli di consenso dal pieno valore legale) nessunə è obbligato a renderci partecipi della sua storia. Infine, stiamo cercando di creare un luogo di dialogo e supporto, all’interno del nostro gruppo Facebook, al quale hanno già aderito in moltə. Lì stiamo cercando di allargare la comprensione del problema e osservare quanti più punti di vista possibili».
Com’è stato accolto il progetto Moleste nel mondo del fumetto italiano? E l’accoglienza ha seguito le vostre aspettative o vi ha sorprese?
«La risonanza è stata incredibile e ammettiamo con molta onestà che non ce lo aspettavamo. Ovviamente non è stato tutto roseo, ma abbiamo accolto con piacere anche le critiche costruttive. Come non mi stancherò mai di dire, la comprensione si può costruire solo attraverso occhi che vedono il mondo in modo differente. E questo genere di dialogo è la base per poter davvero cambiare qualcosa tuttə insieme».