«La Terra dei Fuochi sparirà»: quando all’alba del suo plebiscito lo sceriffo più famoso di Italia si era lanciato in questo pronostico, nessuno gli aveva creduto. E, invece, almeno per una volta, Vincenzo De Luca ha mantenuto la promessa. L’opportunità gli si è presentata la scorsa settimana quando, chiamato alla nomina di nuovi organi di controllo, il Consiglio Regionale – con la sola astensione della pentastellata Maria Muscarà – ha pensato bene di non confermare la commissione speciale istituita per monitorare l’area tra il napoletano e il casertano. Anche l’ultimo baluardo dell’opposizione a Cinque Stelle, oggi alla vicepresidenza della Regione, si è piegato alle logiche partitiche. Con esso, il futuro di un territorio già ampiamente lacerato.
Come preannunciato, dunque, la Terra dei Fuochi, quella porzione di mondo nota per roghi e odori acri, tumori e malavita, non esiste più, non nei piani della nuova vecchia amministrazione con sede a Palazzo Santa Lucia. Eppure, le cose, nell’ex Campania Felix, non sono cambiate. Semplicemente, ora che l’attenzione mediatica è tutta rivolta all’emergenza COVID, non se ne parla, nemmeno nei monologhi-show del venerdì pomeriggio. Intanto, la gente continua ad ammalarsi. Spesso, persino a morire.
Soltanto pochi mesi fa, in piena pandemia e nel più totale silenzio istituzionale, veniva pubblicato l’Atlante di Mortalità 2006-2014 della Regione Campania. Ancora oggi, non è stato presentato o commentato ufficialmente dalle istituzioni, sebbene – si legge – i dati rappresentino un prezioso supporto conoscitivo per l’analisi dello stato di salute della popolazione e un importante strumento di valutazione del sistema sanitario di riferimento. Nel nostro caso, di conferma di una gestione completamente fallimentare.
Come già altri studi e con appena sei anni di ritardo, il report denuncia l’incontrollata nocività del Triangolo della Morte e della sopracitata Terra dei Fuochi sulla base di una serie di fattori quali l’incidenza e la prevalenza delle diverse patologie nelle aree esaminate, il grado di prevenzione e di anticipazione diagnostica, l’accesso e la qualità delle cure, nonché le modalità di presa in carico e la gestione dei pazienti, cui si aggiungono le condizioni socioeconomiche individuali e contestuali che, in modo trasversale, influenzano e modificano i suddetti indicatori. Ciò che emerge è un eccesso di mortalità generale e per alcune cause specifiche che suggerisce di attivare, in Campania, interventi più stringenti sia in termini di prevenzione primaria sia di gestione dell’intero percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale.
Nel dettaglio, a dettare preoccupazione sono le malattie degli apparati digerente e respiratorio, del sistema circolatorio e del sistema genitourinario, nonché la correlazione tra l’alta incidenza tumorale nelle aree analizzate e le vite sempre più in bilico di chi le abita. Dati non dissimili dallo studio sull’impatto sanitario degli smaltimenti e delle combustioni dei rifiuti del 2019 che attesta quanto, nella Terra dei Fuochi, la percentuale dei decessi dovuti al cancro sia maggiore rispetto al resto della regione Campania e dell’intero Sud Italia (periodo 2008-2015), soprattutto nei casi di tumore al fegato e alla vescica, riscontrati in entrambi i sessi, e alla mammella nelle donne.
Dall’indagine risulta, inoltre, che il 37% della popolazione dei 38 Comuni delle province di Napoli e Caserta presi in esame risiede entro 100 metri da almeno un sito di smaltimento dell’immondizia ma, spesso, anche più di uno, per un totale di circa 2767 siti legali e abusivi. Una statistica che ben spiega l’aumento, tra il 2008 e il 2012, delle diagnosi di tutti i tipi di carcinoma con eccessi significativi dei tumori ai polmoni. Di certo, non perché, come sostiene il Presidente De Luca, la Campania ha il più alto tasso di fumatori insieme a Lazio e Umbria. Numerosi sono poi i casi di ospedalizzazione, in particolare per asma e in particolare nei centri con indicatore maggiore, e la presenza di nati pretermine, con aumento dei tumori del tessuto linfoematopoietico tra gli 0 e i 14 anni, tra i quali si registra anche un aumento di più del 50% dei casi di cancro alla tiroide. Il tutto mentre nell’area metropolitana del capoluogo campano si stanno perdendo in modo rapido e progressivo le caratteristiche di zona con fattori protettivi che, in qualche modo, hanno sempre tutelato gli abitanti. Stesso discorso per il casertano.
Eppure, lo stato di degrado della sanità campana di cui tanto si parla non è una novità. Strutture fatiscenti, personale medico e infermieristico scarso, igiene promiscua, liste di attesa infinite, pazienti dirottati in cliniche a pagamento: il pubblico svenduto a favore del privato si conosce da sempre, ma soltanto adesso, che l’emergenza richiede interventi tempestivi, sembriamo accorgerci dei limiti del sistema. L’assenza di prevenzione, ad esempio, di sguardo critico e onesto, del diritto pensato come profitto e del profitto scambiato per tutela. Dell’interesse a difendere una terra, quella campana, che a tutti fa gola ma a nessuno tocca davvero. Basti pensare che qui, ogni mille abitanti, sono garantiti appena due posti letto. La media europea è pari a cinque.
Sembra superfluo, alla luce di questi dati, sottolineare l’importanza di un organo di monitoraggio costante della zona. Soprattutto se la zona in questione è la Terra dei Fuochi, un territorio per anni sulle prime pagine dei giornali ma mai nelle agende dei governi nazionali e locali. Eppure tutti, nessuno escluso, hanno pensato bene di farvi la passerella, di stringere mani e promettere cambiamenti che da queste parti non sono mai arrivati. Ancora ce li ricordiamo Bassolino, Caldoro e De Luca, a turno, giocarsi sempre la stessa partita fino ai giorni nostri. Ancora ce li ricordiamo Berlusconi, Alfano e Carfagna o, in tempi più recenti, Di Maio, Salvini, Conte e Costa abbracciare la piccola Aurora. Cos’è cambiato? Niente, nemmeno i nomi. Perché non basta, come ha provato l’ex Vicepresidente di Pomigliano, parlare di Terra dei Cuori per rendere meno amaro l’odore di bruciato. Non basta parlare di Napoli Nord o Caserta Sud, nel tentativo di camuffare il legame omicida e malavitoso che unisce da sempre le due aree. Non basta asserire che quella denominazione, Terra dei Fuochi, non ha più motivo di esistere per bonificare i terreni coltivati con i rifiuti. Non basta a impedire alla morte di fiorire. Servono interventi e quelli non interessano a nessuno. Nemmeno ai Cinque Stelle, i paladini dell’ambientalismo che hanno abdicato a favore di qualche poltrona in Consiglio Regionale.
Sarebbe interessante, a tal proposito, ricordarne le battaglie – spesso solo verbali – alla Vicepresidente Ciarambino che, quando ancora non conosceva le proprie sorti a Palazzo Santa Lucia, rivendicava la commissione voluta proprio dai pentastellati, mentre oggi ne accusa i poteri limitati e la scarsa efficacia seguita all’opera di denuncia, come se le due cose fossero per forza da valutare insieme o, peggio, come se non sapesse che le commissioni speciali sono, per prassi e per maggiori garanzie, presiedute dalle opposizioni mentre la Commissione Ambiente – che ora definisce luogo istituzionale deputato, salvo poi rimediare su una neonata commissione d’inchiesta – risponde alla maggioranza di turno. In questo caso, la maggioranza del negazionista – così lo definiva – Vincenzo De Luca, da sempre più preoccupato dalla salute delle pummarole di San Marzano che dei suoi concittadini. Sarebbe interessante, poi, se solo fosse possibile una conferenza stampa in sua presenza, rammentare a quest’ultimo l’annuncio di regione più pura di Italia in appena un anno quando la Campania resta tra le aree più inquinate del Paese, dal casertano al Sarno, senza soluzione di continuità.
È anche sotto la sua amministrazione, in fondo, che queste terre hanno continuato e continuano a bruciare. È suo il taglio reiterato al nastro di quella cattedrale nel deserto che è la TAV di Afragola, un santuario sulla munnezza. Per la precisione, su 53 discariche abusive. Sono bastati due anni per saperlo, più di dieci per metterla su, una pandemia per dimenticarcene. È sotto la sua gestione che la chiusura delle strutture ospedaliere ha significato pareggio di bilancio, ma non meno malattie. Non prevenzione, non accesso alle cure, non sicurezza. Se non quella di ammalarsi, persino di morire, dopo aver addirittura pagato le tasse più alte del Paese. Come quella sui rifiuti, ad esempio, o, per restare in tema, i ticket sanitari che, proprio qui e a mo’ di beffa, hanno raggiunto, negli anni, il costo massimo in Italia. Soldi e sacrifici bruciati insieme alla speranza, insieme alle tonnellate di immondizia che da sempre ci invadono i polmoni. E questo De Luca lo sa. Ma pure Ciarambino.